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Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE e il suo corretto uso da parte dei giudici nazionali: riflessioni a margine di due ordinanze della Corte di Giustizia (con un occhio alle Sezioni Unite).

A cura di Maria Barbara Cavallo • 30 dicembre 2020

Nota a Corte giustizia UE sez. VIII, ord. 16/01/2020, in C-368/19 e sez. IX, ord. 28/05/2020 in C- 17/20.


1.Premessa

Con l’ordinanza dello scorso 28 maggio 2020, la IX sezione della Corte di Giustizia ha dichiarato manifestamente irricevibile, per mancanza di precisazioni dettagliate sui motivi del rinvio così come invece previsto dall’art. 94 lett. c) del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, con ordinanza del 27 novembre 2019.

Pochi mesi prima, anche la VIII sezione si era pronunciata nel medesimo senso, investita dal rinvio nell'ambito di una controversia, sempre italiana, sull'interpretazione del diritto dell'Unione in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (Cons. St., ord. 14 marzo 2019).

Sorvolando sui contenuti di merito, non rilevanti in questa sede, le pronunce in questione stimolano una riflessione ulteriore sul rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e sul ruolo, non sempre esente da critiche, dei giudici nazionali remittenti.[1]

In particolare, al momento attuale, la non corretta applicazione dell’art. 94 del regolamento di procedura consente di offrire una lettura critica, in chiave costruttiva, delle numerose ordinanze dei giudici di casa nostra che troppo spesso assegnano alla Corte di Giustizia il ruolo di risolutore di conflitti di giurisprudenza o, addirittura, di arbitro nei rapporti tra plessi giurisdizionali diversi.

L’ultimo ma più eclatante esempio è rappresentato dalla recente ordinanza con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiesto alla Corte di Giustizia di verificare la compatibilità con il diritto eurounitario dell’art. 111 co. 8 della Costituzione[2], ed in particolare della scelta dell’ordinamento interno di affidare la giurisdizione su diritti soggettivi e interessi legittimi a due plessi giurisdizionali diversi, con al loro vertice due organismi tra loro del tutto indipendenti, sicchè alla Corte di Cassazione è precluso il sindacato sulle sentenze del Consiglio di Stato salvo che per ragioni inerenti alla giurisdizione.

Le Sezioni Unite chiedono alla Corte di Giustizia, attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale, di valutare se l’art. 111, co. 8 Cost. violi il diritto europeo nel momento in cui esclude dal sindacato dell’organo di vertice della giurisdizione ordinaria, e giudice unico della giurisdizione, anche le sentenze amministrative che si ritenga abbiano violato le norme comunitarie.

Pertanto, oltre a sollecitare la valutazione della compatibilità con il diritto dell’Unione dell’impossibilità per la Corte di Cassazione di sindacare, quale motivo inerente alla giurisdizione, l’errore processuale del Consiglio di Stato che, in ipotesi, abbia violato l’obbligo di rinvio alla Corte di Giustizia, le Sezioni Unite si sono spinte, a monte, a rimettere alla Corte europea proprio “la scelta di fondo dell’ordinamento interno, consacrata in una norma costituzionale, di affidare la giurisdizione sugli interessi legittimi al giudice amministrativo, con la conseguenza che le sentenze del suo organo di vertice non possano essere sindacate, in rito o in merito, dalla Corte di cassazione, anche nello specifico caso di violazione di norme comunitarie”. [3]

Il tutto in aperto contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018, che sembrava aver messo la parola fine alle ipotesi di sindacabilità da parte delle Sezioni Unite del cd. eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, ribadendo la costituzionalità del sistema pluralistico di organizzazione della giurisdizione.

Ecco che dunque una riflessione sulle ordinanze della Corte di Giustizia che circoscrivono la portata e i contenuti dei poteri e del ruolo dei giudici nazionali nell’affidarsi al meccanismo del rinvio pregiudiziale per ottenere dalla Corte di Giustizia risposte a questioni di diritto interno non chiaramente motivate nel loro collegamento alla normativa comunitaria, né esplicitamente descritte nei loro elementi fattuali, non può che giovare al dibattito attualmente vivacissimo seguìto alla pubblicazione dell’ordinanza delle Sezioni Unite sopra citata.

Dibattito che si alimenterà di ulteriori contenuti una volta che la Corte di Giustizia si pronuncerà sul rinvio pregiudiziale operato dalle Sezioni Unite, con la prospettiva che possa anche fare uso dell’interpretazione ormai pacifica dell’art. 94 del regolamento di procedura quale disposizione dirimente sul corretto utilizzo del procedimento ex art. 267 TFUE da parte dei giudici nazionali.

In finale, le ordinanze in commento acquistano un’importanza che va ben oltre i contenuti apparentemente poco rilevanti delle pronunce in sé, che di fatto, essendo in rito, non forniscono alcuna soluzione di merito ai quesiti sollevati dai giudici a quo sulla interpretazione della normativa nazionale in rapporto a quella comunitaria.

 

2. La Normativa eurounitaria richiamata.


L’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che:

La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione.

Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile.


Esso va letto unitamente all’art. 94 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia dell’Unione europea (Contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale), che dispone quanto segue:

Oltre al testo delle questioni sottoposte alla Corte in via pregiudiziale, la domanda di pronuncia pregiudiziale contiene:

a)      un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni;

b)      il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie e, se del caso, la giurisprudenza nazionale in materia;

c)      l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale.


3.Le ordinanze della Corte di Giustizia sez. VIII del 16 gennaio 2020 e sez. IX del 28 maggio 2020.


Con l’ordinanza del 16 gennaio 2020 in C-368/19, la Corte di Giustizia ha ritenuto violato l’art. 94 lett. c) del Regolamento di procedura in quanto il giudice del rinvio – nella specie il Consiglio di Stato italiano, - non ha illustrato i motivi per i quali una decisione resa dalla Corte medesima, riguardante l'interpretazione degli articoli 3 e 8 della direttiva «servizio universale» (direttiva 2020/22, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009) sarebbe utile ai fini della soluzione delle controversie che esso è chiamato a dirimere, in conformità dell'articolo 267 TFUE, così come interpretato dalla Corte nella sua giurisprudenza.

Analogamente, il 28 maggio 2020 la Corte ha dichiarato manifestamente irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal T.a.r. della Puglia - Bari (ordinanza del 27 novembre 2019), e riguardante la compatibilità con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione, degli artt. 91, 92 e 93, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare una informativa antimafia interdittiva.

Le ragioni della declaratoria immediata di irricevibilità, ex art. 53 reg. proc., sono le stesse in entrambi i casi di rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale e riguardano la violazione dell’art. 94 lett. c) reg. proc.


Le questioni di merito sono invece completamente diverse, ma devono essere sinteticamente riproposte al fine di capire il ragionamento seguito dal giudice comunitario.

Nella fattispecie oggetto di rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato, varie imprese titolari di una licenza di gestione del servizio pubblico di telefonia fissa e mobile sul territorio italiano avevano presentato delle domande ai fini dell'installazione di impianti per telefonia mobile sul territorio del Comune di Roma.

Il Comune aveva respinto le domande, in applicazione del Regolamento comunale di Roma Capitale, a norma del quale l'installazione di tali impianti è vietata in determinati siti o in un perimetro attorno ai siti stessi.

Il Regolamento era stato impugnato davanti al T.a.r. del Lazio, che aveva respinto i ricorsi, con sentenze successivamente appellate davanti al Consiglio di Stato.

È in sede di appello che le ricorrenti contestano la legittimità del suddetto regolamento comunale, facendo valere che quest'ultimo sarebbe stato adottato in violazione della normativa italiana in materia (artt. 86, paragrafo 3, 87, paragrafi 1 e 9, e 90 del Codice delle comunicazioni elettroniche, nonché in violazione della legge quadro), la quale, conformemente al diritto eurounitario e alla giurisprudenza della stessa Corte sul punto, favorirebbe l’accesso degli utenti finali ai servizi e alle applicazioni, nonché alla loro utilizzazione, mediante le reti di comunicazioni elettroniche, limitando la possibilità di assoggettare l'autorizzazione delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica ad obblighi diversi da quelli previsti dalla normativa europea.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, ricorda che nella propria sentenza del 13 marzo 2018, n. 1582 aveva esso stesso interpretato l’art. 8, paragrafi 1 e 6, della legge quadro nel senso di ammettere che Regioni e Comuni possano stabilire, nei limiti delle loro rispettive competenze, criteri di localizzazione degli impianti di telefonia mobile, eventualmente sotto forma di divieti; interpretazione potenzialmente contraria alle direttive applicabili in materia e con la giurisprudenza dell'Unione, che sembra escludere che gli enti territoriali siano legittimati a introdurre restrizioni all'installazione di impianti di telefonia mobile, stabilendo dei criteri di distanza generali e eterogenei.

Pertanto, il Consiglio di Stato aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell'Unione europea osti a una normativa nazionale (come quella di cui all'articolo 8, comma 6, della [legge quadro]) intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia».


Nel caso trattato dal T.a.r. di Bari, una Prefettura italiana aveva emesso una interdittiva antimafia nei confronti di una società edile, a seguito di una istruttoria alla quale la società non aveva partecipato, ignara come era del procedimento in corso, avviato su istanza del Comune nel cui territorio la società risultava concessionaria di un terreno utilizzato per lo svolgimento della sua attività. Peraltro, a seguito dell’interdittiva, la concessione era stata revocata.

Secondo il Tribunale pugliese, nonostante l’informazione interdittiva antimafia comporti la dissoluzione del rapporto giuridico tra l’impresa interessata e la pubblica amministrazione, con effetti durevoli e indelebili, l’ordinamento non prevede la partecipazione obbligatoria dell’impresa al procedimento condotto dalla Prefettura, in quanto l’eventualità che si instauri un contraddittorio dipenderebbe dalla valutazione discrezionale del prefetto competente, alla luce delle proprie esigenze istruttorie. L’interdittiva, infatti, è stata qualificata, dalla giurisprudenza del giudice amministrativo (vedi Ad. Pl. Cons. St., 6 aprile 2018 n. 3) come una misura cautelare di polizia preventiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale per assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata.

Per il T.a.r., invece, l’informazione antimafia costituirebbe un vero provvedimento lesivo, per cui il contraddittorio sarebbe necessario per consentire all’impresa interessata di tutelare la sua situazione giuridica, pena la violazione dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE a mente del quale “i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’articolo 41 della Carta e del principio generale del diritto dell’Unione a un procedimento in contraddittorio ed era così articolata: “ E’ rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione se gli artt. 91, 92 e 93, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare una informativa antimafia interdittiva, siano compatibili con il principio del contraddittorio ex art. 7, l. 7 agosto 1990, m. 241, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione.


Per la soluzione di entrambe le questioni, la Corte di Giustizia ha applicato l’art. 53, paragrafo 2, del Regolamento di procedura, in base al quale quando una domanda di pronuncia pregiudiziale è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l'avvocato generale, può decidere in qualsiasi momento di statuire con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.

La Corte ha censurato l’uso del procedimento di rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 TFUE, ricordandone in primo luogo la finalità quale strumento di cooperazione tra la Corte medesima e i giudici nazionali per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell'Unione a questi necessari per la soluzione della controversia che essi sono chiamati a dirimere.[4]

Alla luce di questo, ha ritenuto (par. 35 e ss. ordinanza del 16 gennaio 2020) che “nell'ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita all'articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, che è investito della controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle specifiche circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l'interpretazione del diritto dell'Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire [sentenza del 25 luglio 2018, AY (Mandato d'arresto - Testimone), C-268/17, EU:C:2018:602, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata]”, in quanto, un a volta che giudice nazionale definisce contesto di fatto e di diritto sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l'esattezza, “le questioni relative all'interpretazione del diritto dell'Unione sollevate dal nel che esso definisce, godono di una presunzione di rilevanza”

In questo contesto (par. 36) “il rigetto, da parte della Corte, di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l'interpretazione del diritto dell'Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l'oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte [sentenza del 25 luglio 2018, AY (Mandato d'arresto - Testimone), C-268/17, EU:C:2018:602, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata].”

Per la Corte è quindi “indispensabile che il giudice nazionale chiarisca, in tale decisione, il contesto di fatto e di diritto nel quale si iscrive la controversia oggetto del giudizio a quo, e fornisca un minimo di spiegazioni in merito alle ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell'Unione di cui esso chiede l'interpretazione, nonché al collegamento che esso stabilisce tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia sottoposta alla sua cognizione (v. in tal senso, segnatamente, sentenze del 26 gennaio 1993, Telemarsicabruzzo e a., da C-320/90 a C-322/90, EU:C:1993:26, punto 6, nonché del 9 marzo 2017, Milkova, C-406/15, EU:C:2017:198, punto 73)”, così come previsto dall’art. 94 del regolamento di procedura, ripreso nelle raccomandazioni della Corte di giustizia dell'Unione europea all'attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale[5].

Le critiche mosse all’ordinanza del giudice a quo riguardano la circostanza che, “ sebbene il tenore letterale della questione sollevata verta sul «diritto dell'Unione» in generale, risulta dalla decisione di rinvio che il Consiglio di Stato si riferisce, in particolare, all'articolo 1, paragrafo 3 bis, e all'articolo 8 della direttiva quadro, all'articolo 9, all'articolo 11, paragrafo 1, e all'articolo 13 della direttiva «autorizzazioni», nonché all'articolo 3, paragrafi 1 e 2, all'articolo 4 e all'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva «servizio universale»”, senza tuttavia precisare i motivi che hanno portato il giudice ad interrogarsi sull'interpretazione di tali disposizioni, né il collegamento che esso stabilisce tra queste ultime e la normativa nazionale in discussione nei procedimenti principali.

Parimenti, anche per quanto riguarda la direttiva «servizio universale», la Corte di Giustizia ha rilevato carenze nella ordinanza di rimessione [6] e quindi (par. 48) “non ha illustrato i motivi per i quali una decisione resa dalla Corte, riguardante l'interpretazione degli articoli 3 e 8 della direttiva «servizio universale», sarebbe utile ai fini della soluzione delle controversie che esso è chiamato a dirimere, in conformità dell'articolo 267 TFUE, così come interpretato dalla Corte nella giurisprudenza ricordata al punto 34 della presente ordinanza.”


Per quanto concerne la fattispecie sottoposta dal T.a.r. di Bari, la Corte ha ritenuto che il giudice del rinvio “non ha dimostrato l’esistenza di un criterio di collegamento tra, da un lato, il diritto dell’Unione e, dall’altro, l’informazione antimafia interdittiva adottata dalla prefettura o la decisione del Comune, che ha dato origine all’indagine sfociata nell’adozione di tale informazione, di revocare la concessione di un terreno utilizzato dall’impresa per lo svolgimento della sua attività economica”.

In sintesi, secondo la Corte, “la normativa oggetto del procedimento principale non sembra ricadere nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione o attuarlo, ed anche a voler ritenere che il giudice del rinvio intenda interrogare la Corte in ordine al principio del rispetto dei diritti della difesa, occorre ricordare che quest’ultimo costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa dell’Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (sentenza del 22 ottobre 2013, Sabou, C‑276/12, EU:C:2013:678, punto 38)”.


4. Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE in relazione all’art. 94 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Non è questa la sede adatta per dilungarsi a illustrare l’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, strumento di vitale importanza nell’evoluzione del diritto eurounitario[7], e, quindi, nazionale di derivazione europea, in quanto consente l’immediato accesso alla Corte da parte dei giudici degli Stati membri.[8]

È la stessa Corte a ribadire costantemente che il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione fra la Corte ed i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere.[9]

Decisamente “ abusato” nei primi decenni di operatività della Corte (in quanto il diritto primario, Trattati e statuto della Corte di giustizia, non fissa i requisiti di ricevibilità degli atti introduttivi della domanda di decisione pregiudiziale, per cui è stata la Corte stessa ad elaborare nel tempo delle regole di procedibilità), esso ha subito un discreto ridimensionamento dopo l’entrata in vigore, nel 2012, del Regolamento di procedura della Corte di giustizia dell’Unione europea, il cui art. 94 fissa i requisiti essenziali del contenuto del rinvio pregiudiziale, codificando le condizioni di ricevibilità enunciate nella giurisprudenza della Corte. Se tali condizioni non sono rispettate, la Corte di giustizia dichiara irricevibile il rinvio pregiudiziale e non si pronuncia nel merito.

Ciò accade, in particolare nei casi in cui è stata constatata l’assenza di precisazioni sul contesto di fatto e di diritto, la mancanza di pertinenza dei quesiti sollevati ed infine le ordinanze motivate dalla constatazione che il procedimento nazionale riguarda “situazioni puramente interne”.

In base all’art. 94, la domanda di rinvio pregiudiziale deve contenere un’identificazione precisa della questione che si intende porre alla Corte, una descrizione completa dei fatti di causa e una ricognizione precisa del quadro di diritto nazionale pertinente: in sostanza, dall’ordinanza di rinvio devono emergere tutti gli elementi necessari per permettere alla Corte di fornire una risposta utile senza che si riveli necessario acquisire informazioni supplementari.[10]

Sul punto si veda Corte giustizia Grande Sezione, 5 luglio 2016, C-614/14, Atanas Ognyanov, la quale ha appunto ribadito che nel rinvio pregiudiziale alla Corte ”ai sensi dell'art. 267 TFUE, l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del diritto dell'Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che questi definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno l'ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. I giudici del rinvio, pertanto, devono esporre nella domanda di pronuncia pregiudiziale il contesto di fatto e di diritto del procedimento principale. “[11]

Il procedimento ex articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d'interpretazione del diritto dell'Unione loro necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a dirimere.[12]

Nella citata pronuncia (par. 17 e ss), la Corte ha ribadito che “l’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora ritengano che, nell'ambito di una controversia dinanzi ad essi pendente, siano sorte questioni che implichino un'interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell'Unione necessarie per definire la controversia di cui sono investiti.” [13] L'esigenza di giungere ad un'interpretazione del diritto dell'Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che questi definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno l'ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate [14].

Inoltre, dal rapporto fra il secondo e il terzo comma dell'art. 267 del T.F.U.E. deriva che i giudici dispongono del potere di stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell'Unione onde consentire loro di decidere e non sono pertanto tenuti a sottoporre una questione di interpretazione del diritto dell'Unione sollevata dinanzi ad essi se questa non è rilevante, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull'esito della controversia; ciò in quanto la ragione d'essere del rinvio pregiudiziale non è la formulazione di opinioni consultive su questioni generiche o ipotetiche, ma il bisogno inerente all'effettiva soluzione di un contenzioso (T.A.R. Lazio) sez. II, 6 aprile 2017, n.4295 ).[15]

Parimenti, l'obbligo del giudice nazionale di ultima istanza di rimessione di una questione alla Corte di giustizia UE non sussiste se: a) la questione di interpretazione di norme comunitarie non è pertinente al giudizio (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull'esito della lite); b) la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso; c) la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione (Cons. St., sez. VI, 12 ottobre 2017, n.4732).[16]

Di recente, con l’ordinanza del 24 settembre 2020, n. 5588, la VI sezione del Consiglio di Stato ha, preliminarmente, invitato la Corte di Giustizia dell’Unione Europea a chiarire se il “convincimento” richiesto al giudice di ultima per escludere la necessità del rinvio ai sensi dell’art. 267 TFUE, debba essere accertato in senso soggettivo o, come ritenuto dalla Sezione, in senso meramente oggettivo. In secundis e per l’ipotesi in cui la Corte di Giustizia dovesse propendere per un accertamento in senso soggettivo, i giudici di Palazzo Spada hanno sollevato ulteriori questioni pregiudiziali, riguardanti l’interpretazione e la corretta applicazione di principi e disposizioni europei rilevanti nell’ambito della telefonia mobile e fissa.

Il Consiglio, pertanto, se da un lato ha escluso la ricorrenza di ragionevoli dubbi interpretativi nella soluzione da fornire alle questioni pregiudiziali rilevanti nel caso di specie, dall’altro ha evidenziato di non riuscire a dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare alle pertinenti disposizioni si affermi soggettivamente, con evidenza, anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri e presso la stessa Corte di Giustizia.

Così facendo, esso mette in discussione le condizioni poste dalla Corte di Giustizia, per escludere l’obbligo di rinvio ex art. 267 TFUE, gravante sul giudice di ultima istanza, rilevando che risultano di difficile accertamento nella parte in cui fanno riferimento alla necessità che il giudice procedente, certo dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto unionale rilevante per la soluzione della controversia nazionale, debba provare in maniera circostanziata che la medesima evidenza si imponga anche presso i giudici degli altri Stati membri e la Corte. 

In tali casi, la prova circostanziata di una tale evidenza si tradurrebbe in una probatio diabolica, con la conseguenza che il giudice nazionale di ultima istanza sarebbe costretto al rinvio pregiudiziale ogniqualvolta la questione interpretativa posta nel giudizio nazionale, rilevante ai fini della soluzione della controversia, non sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale.


Sui rapporti tra giudice nazionale a quo e la decisione della Corte di Giustizia e su quello che è l'effetto vincolante della decisione della Corte  si veda anche TAR Calabria, sez. I 16 aprile 2018, n. 878.[17]

Prima ancora il Consiglio di Stato, sez. IV, 1 giugno 2016 n.2334, che aveva rimesso alla Corte di Giustizia la questione dei rapporti tra giudice di ultima istanza e Corte costituzionale ai fini del rinvio pregiudiziale. [18]  [19]


Le ipotesi in cui il giudice deve procedere al rinvio pregiudiziale delle questioni di interpretazione del diritto UE sono state illustrate da Corte di giustizia UE sez. I, 20 dicembre 2017, n.322: l’art. 267 par. 3, TFUE deve essere interpretato nel senso che il Giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’UE anche nel caso in cui, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di cui trattasi abbia valutato la costituzionalità delle norme nazionali alla luce delle norme di riferimento aventi un contenuto analogo a quello delle norme del diritto dell’UE.[20]

Le informazioni contenute nelle domande di pronuncia pregiudiziale servono non solo a permettere alla Corte di fornire risposte utili ai quesiti sollevati dal giudice del rinvio, ma anche ad offrire ai governi degli Stati membri e agli altri interessati la possibilità di presentare osservazioni. Dunque, dato che la domanda di pronuncia pregiudiziale serve quale fondamento per il procedimento dinanzi alla Corte, è indispensabile che il giudice nazionale illustri, in tale domanda, il contesto di fatto e di diritto della controversia in esame nel giudizio a quo e fornisca chiarimenti in ordine alle ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell'Unione di cui chiede l'interpretazione, nonché in ordine al collegamento che esso stabilisce tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia portata alla sua cognizione. In particolare, in un caso vertente su un eventuale ostacolo ad una libertà fondamentale, in mancanza di indicazioni precise quanto al contenuto delle disposizioni nazionali applicabili alla fattispecie, la Corte non è in condizione di valutare l'esistenza e l'entità di un simile ostacolo e, se del caso, di procedere utilmente all'esame della giustificazione dell'ostacolo stesso, ivi compresa, più specificamente, la verifica della sua proporzionalità.


5. L’ordinanza di rinvio pregiudiziale delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 18 settembre 2020, n. 19598.


Nel contesto dei rapporti tra giudici nazionali e Corte di Giustizia sopra illustrato, si resta perplessi di fronte all’ordinanza con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi, ex art. 267 TFUE, sulle questioni di interpretazione del diritto dell’Unione che riguardano i rapporti tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato, in ordine al sindacato giurisdizionale della prima nei confronti delle sentenze del secondo nei casi di violazione di norme comunitarie e quindi anche al di fuori dei casi strettamente inerenti alla giurisdizione, per come interpretati fino ad ora.  [21]

Si pensava infatti che la parola definitiva su un dibattito che va avanti da anni, per via dei tentativi delle Sezioni Unite di ritagliarsi spazi di intervento in un ambito che la Costituzione riserva alla giurisdizione speciale, fosse stata messa dalla sentenza della Corte Cost. 6/2018, la quale aveva ribadito che “i Costituenti, nel vergare i commi settimo e ottavo della Costituzione, hanno dunque operato la consapevole scelta di fondo di consolidare il più che secolare assetto pluralistico delle giurisdizioni”.[22]

È stato infatti evidenziato che le Sezioni Unite, pur non lesinando le occasioni per esercitare il sindacato sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 110 c.p.a., ove si richieda l’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della giurisdizione amministrativa per il riscontro di vizi che riguardano l’essenza della funzione giurisdizionale, avevano in più occasioni escluso il sindacato sul modo dell’esercizio della funzione, e quindi sui limiti interni della giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo.

L’ordinanza delle Sezioni Unite n. 1958/2020 va quindi inquadrata nell’ambito dell’orientamento che la Corte Costituzionale ha qualificato come “ minoritario” e che, “in aperto contrasto con le norme di legge e della Costituzione, ha di fatto esteso il sindacato della Corte di cassazione ad ipotesi di violazione di legge processuale o sostanziale, facendo leva su un concetto più ampio di giurisdizione, “dinamico” (o “funzionale” o “evolutivo”), in virtù del quale sarebbe possibile sindacare non solo le norme sulla giurisdizione, ossia quelle che individuano «i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale», ma anche quelle che stabiliscono «le forme di tutela» attraverso cui la giurisdizione si estrinseca.” [23]

Non solo la dottrina, ma soprattutto la Corte Costituzionale hanno ritenuto che il concetto di giurisdizione dinamica è contrario a quello accolto dalla Costituzione all’art. 111 ottavo comma, che cristallizza l’assetto plurale delle giurisdizioni delineato dai Costituenti.

Peraltro, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza citata, aveva messo in evidenza che la verifica richiesta dal giudice remittente [24] avrebbe dovuto essere operata “ tenendo presente che nella specie non si tratta di un'ordinaria questione di giurisdizione, avente ad oggetto la natura della situazione giuridica soggettiva azionata, ma l'interpretazione ed applicazione di norme costituzionali, e in particolare del comma ottavo dell'art. 111 Cost.” e che quindi “ la questione rientra, dunque, nella competenza naturale di questa Corte, quale interprete ultimo delle norme costituzionali e - nella specie - di quelle che regolano i confini e l'assetto complessivo dei plessi giurisdizionali.”[25]

Inoltre, in un altro passaggio fondamentale (par. 14.1 - 15.), la Corte aveva chiarito che “ l'intervento delle sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell'Unione o della CEDU, non essendo peraltro chiaro, nell'ordinanza di rimessione e nella stessa giurisprudenza ivi richiamata, se ciò valga sempre ovvero solo in presenza di una sentenza sopravvenuta della Corte di giustizia o della Corte di Strasburgo. In ogni caso, ancora una volta, viene ricondotto al controllo di giurisdizione un motivo di illegittimità (sia pure particolarmente qualificata), motivo sulla cui estraneità all'istituto in esame non è il caso di tornare. Rimane il fatto che, specialmente nell'ipotesi di sopravvenienza di una decisione contraria delle Corti sovranazionali, il problema indubbiamente esiste, ma deve trovare la sua soluzione all'interno di ciascuna giurisdizione, eventualmente anche con un nuovo caso di revocazione di cui all'art. 395 cod. proc. civ., come auspicato da questa Corte con riferimento alle sentenze della Corte EDU (sentenza n. 123 del 2017). L'«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l'avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.”

Dopo la sentenza n. 6 del 2018 e in continuità con essa, le Sezioni Unite hanno sconfessato e riassorbito l’orientamento minoritario, per le ragioni già illustrate e in particolare in quanto è stata ritenuta inammissibile ogni interpretazione che consenta una più o meno completa assimilazione del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per “motivi inerenti alla giurisdizione” con il ricorso in Cassazione per violazione di legge (punto 11 delle ragioni in diritto della sentenza della Consulta 6/2018), visto che l’intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della Cedu. [26]

Appare dunque corretta la valutazione di chi ritiene che con l’ordinanza sopra citata, l’intervento della Corte di giustizia è stato invocato per avallare un orientamento minoritario e ormai superato delle Sezioni unite medesime, “volto a stravolgere l’assetto delle giurisdizioni disegnato dalla Costituzione italiana, che esclude il controllo nomofilattico della Corte di cassazione sulle sentenze del giudice amministrativo e del giudice contabile, costituenti plessi giurisdizionali autonomi e con propri organi di vertice aventi anche funzione nomofilattica (l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite della Corte dei conti). “


6. Conclusioni

Alla luce dell’orientamento della Corte di Giustizia sulle finalità e sulle modalità di proposizione del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, potrà essere considerato ammissibile un intervento di un giudice nazionale, per quanto di massimo livello, che miri a stravolgere l’assetto delle giurisdizioni domestiche, consacrato in una norma costituzionale che caratterizza la struttura fondamentale dello Stato e che non può essere regolato dal diritto dell’Unione?

Sembrerebbe di no, considerando l’equivoco nel quale le Sezioni Unite sono ricadute, posto che” il giudice nazionale, che decida una controversia violando una norma dell’Unione, non esercita affatto un’attività di produzione normativa, ma – molto semplicemente e al pari di quello che accade nel caso di violazione di una norma interna – erra nell’esercizio dell’attività giurisdizionale “ e che “ nelle materie interessate dal diritto dell’Unione il potere giurisdizionale non esiste affatto «esclusivamente» in funzione dell’applicazione del diritto dell’Unione”, ma esiste “sempre e solo in funzione della risoluzione delle controversie tra cittadini: il ruolo del giudice nell’ordinamento, pertanto, non cambia ove alla regola di giudizio che deve somministrare per la risoluzione della controversia concorra l’applicazione del diritto dell’Unione. “

Peraltro, le stesse Sezioni Unite, con la recentissima decisione 30 ottobre 2020 n. 24107, successiva all’ordinanza di rinvio pregiudiziale, hanno ribadito che “la funzione interpretativa (del diritto UE) riservata dall’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia e la vincolatività che deriva dalla pronunzia adottata dalla stessa Corte non può dunque confondersi con la funzione giurisdizionale riservata al giudice nazionale anche quando è in discussione una controversia per la quale rileva il diritto UE, al cui interno si inserisce il rinvio pregiudiziale: al giudice nazionale appartiene in via esclusiva il potere (…) di interpretare il diritto interno”.

Poiché la scelta di quanti e quali gradi di giudizio assicurare alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive (anche) comunitarie è, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia, rimessa agli Stati membri, quale chiara espressione della loro autonomia procedurale, “spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario», dal momento che «il Trattato non ha comunque inteso creare mezzi d’impugnazione esperibili dinanzi ai giudici nazionali, onde salvaguardare il diritto comunitario, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale» , e tale discrezionalità, ovviamente, attiene anche alla conformazione dei motivi di ricorso per cassazione. [27] [28].

Va altresì ricordato che le stesse Sezioni Unite hanno affermato che il sindacato sulla giurisdizione del giudice speciale «non include il controllo sull’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia» [29], trattandosi di mero error in procedendo interno alla giurisdizione amministrativa, e non consente alla Corte di cassazione di operare essa stessa il rinvio pregiudiziale, essendo il Consiglio di Stato, in quanto organo di vertice nell’ordinamento giurisdizionale di appartenenza, il giudice di ultima istanza ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE, cui spetta garantire, nello specifico ordinamento di settore, la compatibilità del diritto interno a quello dell’Unione.


La sorte dei quesiti posti dalle Sezioni Unite con l’ordinanza del 18 settembre 2020 sembrerebbe dunque segnata, non potendosi immaginare che la Corte di Giustizia, sempre attenta a lasciare agli ordinamenti nazionali la massima autonomia e indipendenza nella configurazione dei propri sistemi giurisdizionali, arrivi a sovvertire – almeno limitatamente all’ipotesi di violazione del diritto comunitario – l’assetto plurale delle giurisdizioni previsto dalla Costituzione.


----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- [1] Sull’argomento i contributi sono svariati ed è impensabile citarli tutti. Tra i più recenti ADELINA ADINOLFI, I fondamenti del diritto dell'Ue nella giurisprudenza della corte di giustizia: il rinvio pregiudiziale, in Dir. Unione europea, 2019, 441; CARLO ROMANO, L'illustrazione dei fatti e del diritto nazionale nel contesto delle procedure di rinvio pregiudiziale avanti alla corte di giustizia, in Dir. e pratica trib. internaz., 2019, 443; GIOVANNI AMOROSO, La doppia pregiudizialità — costituzionale ed europea — nel quadro della giurisprudenzadella Corte costituzionale e della Corte di giustizia, in Foro it. 2020, parte V, col. 265; SERENA CRESPI, Il rinvio pregiudiziale e i giudici amministrativi italiani alla luce della recente giurisprudenza Ue, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2019, 19; SARA SPUNTARELLI, Il ruolo del rinvio pregiudiziale alla Cgue nella giurisdizione amministrativa, in  Riv. trim. dir. pubbl., 2018, 985;  CELESTINA IANNONE, Le ordinanze di irricevibilità dei rinvii pregiudiziali dei giudici italiani, in Dir. Unione europea, 2018, 249; ROBERTO CONTI, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Dalla pratica alla teoria, in Questione giustizia online, 2012.

[2] Si tratta di Cass. civ., Sez. Un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598, già oggetto di numerosi commenti, per lo più in senso critico dei contenuti del provvedimento, che per la prima volta espone al giudizio di compatibilità comunitaria una norma della Costituzione. Si veda per tutti PIER LUIGI TOMAIUOLI, Il rinvio pregiudiziale per la pretesa, ma incostituzionale, giurisdizione unica (nota a Cass. civ., Sezioni unite, ord. 18 settembre 2020, n. 19598), in Consulta on line, III, 2020, 689 ss.

[3] Così TOMAIUOLI, cit.

[4] Sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, C-370/12, EU:C:2012:756, punto 83 e la giurisprudenza ivi citata.

[5] Pubblicata in (GU 2018, C 257, pag. 1). Il punto 15, terzo trattino, indica che la domanda di pronuncia pregiudiziale deve contenere “l'illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull'interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell'Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale”.

[6] Il giudice del rinvio ha fatto riferimento alla sentenza del 17 febbraio 2011, The Number (UK) e Conduit Enterprises (C-16/10, EU:C:2011:92, punto 38), nella quale la Corte ha statuito che l'articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva non può essere interpretato in un modo che ampli la portata della designazione di imprese prevista dall'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva stessa, tale per cui uno Stato membro potrebbe imporre ad un'impresa così designata obblighi diversi da quelli previsti dalle disposizioni della direttiva summenzionata. Tenuto conto di tale sentenza, per la Corte (par. 44) “ il giudice del rinvio sembra nutrire dei dubbi riguardo alla questione se la direttiva «servizio universale», e in particolare gli articoli 3 e 8 di quest'ultima, possano ostare ad una normativa nazionale, quale quella in discussione nei procedimenti principali, che permette alle diverse amministrazioni locali di stabilire dei criteri di installazione degli impianti di telefonia mobile, anche sotto forma di divieti, come quello di installare impianti in determinate zone o ad una certa distanza da immobili rientranti in una determinata categoria.” Tuttavia, il giudice comunitario rileva che “ da un lato, come risulta dall'articolo 8 della direttiva «servizio universale», quest'ultima riguarda unicamente la designazione, da parte degli Stati membri, di imprese che forniscono un servizio universale. Dall'altro lato, i servizi di comunicazione mobile sono, per definizione, esclusi dall'«insieme minimo di servizi» definito nel capo II di tale direttiva, in quanto la loro fornitura non presuppone un accesso e una connessione in postazione fissa ad una rete di comunicazioni pubblica (sentenza dell'11 giugno 2015, Base Company e Mobistar, C-1/14, EU:C:2015:378, punto 37). Nel caso di specie, da un lato, la decisione di rinvio non indica in alcun modo che le ricorrenti di cui ai procedimenti principali siano state designate dalla Repubblica italiana come fornitrici di un servizio universale, ai sensi dell'articolo 8 di detta direttiva. Inoltre, risulta dalla formulazione stessa della questione sollevata dal giudice del rinvio che la normativa nazionale in discussione nei procedimenti principali si applica proprio all'installazione di impianti di telefonia mobile, i cui servizi sono, in via di principio, esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva «servizio universale».

[7] Per Cass. Civ. sez. lav., 16 marzo 2020 , n. 7309, l'interpretazione delle norme Eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale perchè a tali sentenze, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito dell'Unione.

[8] In argomento vedi il recente e esaustivo contributo monografico di FABIO FERRARO, CELESTINA IANNONE, Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020. Gli Autori sottolineano l’importanza dell’istituto e il ruolo cruciale rivestito nell’evoluzione del diritto comunitario, per effetto del massiccio ricorso allo stesso da parte dei giudici nazionali. Infatti, il numero dei rinvii pregiudiziali è costantemente aumentato nel corso degli anni: nel 1961, anno nel quale per la prima volta la Corte è stata investita di un rinvio pregiudiziale, tale rinvio è stato l’unico depositato nel corso dell’anno, nel 1980 il numero di rinvii è salito a 99, per poi passare a 224 nel 2000 e a 538 nel 2017. I giudici italiani sono tra i maggiori utilizzatori dell’istituto. Fino al 2017, tre sono i rinvii introdotti dalla Corte Costituzionale, 150 provengono dalla Corte di Cassazione e 151 dal Consiglio di Stato. Gli altri rinvii pregiudiziali sono stati sollevati dalle giurisdizioni inferiori, anche se negli ultimi anni si è registrato un maggiore slancio delle magistrature superiori, stante la modifica della normativa sulla responsabilità dei magistrati per violazione del diritto comunitario (responsabilità che ricade principalmente sui giudici di ultima istanza).

Vedi anche PAOLO PASSAGLIA, Corti costituzionali e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in www.cortecostituzionale.it.

[9] Vedi sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, C‑370/12, cit., punto 83, nonché ordinanza dell’8 settembre 2016, Google Ireland e Google Italy, C‑322/15, cit., punto 14). Nella sentenza C-614/15, La Corte ricorda che il procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall'articolo 267 TFUE costituisce la chiave di volta del sistema giurisdizionale nell'Unione europea il quale, instaurando un dialogo da giudice a giudice tra la Corte e i giudici degli Stati membri, mira ad assicurare l'unità di interpretazione del diritto dell'Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l'autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell'ordinamento istituito dai Trattati.

[10] I requisiti concernenti il contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale figurano in modo esplicito nell’articolo 94 del regolamento di procedura, che il giudice del rinvio, nel quadro della cooperazione prevista all’articolo 267 TFUE, deve conoscere e osservare scrupolosamente (ordinanze del 3 luglio 2014, Talasca, C‑19/14, EU:C:2014:2049, punto 21, nonché dell’8 settembre 2016, Google Ireland e Google Italy, C‑322/15, cit., punto 15). Tali requisiti sono inoltre richiamati ai punti 13 e 15 delle raccomandazioni della Corte all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (GU 2019, C 380, pag. 1) nonché nelle sentenze 16 dicembre 2008, Cartesio, C-210/06; 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10; 14 aprile 2011, Vlaamse Dierenartsenvereniging e Janssens, C-42/10, C-45/10 e C-57/10. Nella sentenza Cartesio, la Corte ha affermato che le norme nazionali di procedura (nel caso in esame il giudice di primo grado invocava quelle che impongono la formulazione dei motivi entro il termine di decadenza) non possono ridurre la competenza e gli obblighi incombenti su di un giudice nazionale in quanto giudice di rinvio ai sensi dell’art. 267 TFUE. Il giudice nazionale ha quindi l'obbligo di garantire la piena efficacia del sistema di rinvio pregiudiziale, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, senza doverne attendere la previa soppressione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

Poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale funge da fondamento per il procedimento dinanzi alla Corte, è indispensabile che in tale domanda il giudice nazionale chiarisca, in particolare, il contesto di fatto e di diritto del procedimento principale. Tale obbligo deve essere osservato, in particolare, in taluni settori, caratterizzati da situazioni di diritto e di fatto complesse (v., sentenza del 26 gennaio 1993, Telemarsicabruzzo e a., da C‑320/90 a C‑322/90, EU:C:1993:26, punti 6 e 7; ordinanza del 19 marzo 1993, Banchero, C‑157/92, EU:C:1993:107, punti 4 e 5; 12 dicembre 2013, Ragn-Sells, C‑292/12, EU:C:2013:820, punto 39, nonché ordinanza del 25 aprile 2018, Secretaria Regional de Saúde dos Açores, C‑102/17, EU:C:2018:294, punti 28 e 29).

[11] Di conseguenza, l'art. 267 TFUE e l'art. 94 del Regolamento di procedura ostano a una normativa nazionale, come quella bulgara, ai sensi della quale l'esposizione da parte del giudice del rinvio, nell'ambito della domanda di pronuncia pregiudiziale, del contesto di fatto e di diritto della controversia in esame nel procedimento principale è considerata come formulazione di un parere provvisorio da parte di tale giudice, che comporta non soltanto la sua declinazione di competenza e l'annullamento della sua decisione definitiva, ma altresì l'avvio, nei suoi confronti, di un'azione di responsabilità per illecito disciplinare. Una siffatta normativa, infatti, comporta il rischio che un giudice nazionale preferisca astenersi dal porre questioni pregiudiziali alla Corte per evitare o che venga declinata la sua competenza e gli vengano inflitte sanzioni disciplinari, o di proporre questioni pregiudiziali irricevibili.

[12] V. ordinanze dell'8 settembre 2011, Abdallah, C-144/11, non pubblicata, EU:C:2011:565, punto 9 e giurisprudenza ivi citata; del 19 marzo 2015, Andre, C-23/15, non pubblicata, EU:C:2015:194, punto 4 e giurisprudenza ivi citata, nonché sentenza del 6 ottobre 2015, Capoda Import-Export, C-354/14, EU:C:2015:658, punto 23.

[13] I giudici nazionali sono d'altronde liberi di esercitare tale facoltà in qualsiasi momento da essi ritenuto opportuno (v. sentenze del 5 ottobre 2010, Elchinov, C-173/09, EU:C:2010:581, punto 26 e giurisprudenza ivi citata, nonché dell'11 settembre 2014, A, C-112/13, EU:C:2014:2195, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, la scelta del momento più opportuno per interrogare la Corte in via pregiudiziale è di loro esclusiva competenza (v. sentenze del 15 marzo 2012, Sibilio, C-157/11, non pubblicata, EU:C:2012:148, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 7 aprile 2016, Degano Trasporti, C-546/14, EU:C:2016:206, punto 16).

[14] V. ordinanze dell'8 settembre 2011, Abdallah, C-144/11, cit., punto 10 e giurisprudenza ivi citata; del 19 marzo 2015, Andre, C-23/15, cit., punto 5 nonché sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvíos, C-235/14, EU:C:2016:154, punto 114. La mancata indicazione del contesto di fatto e di diritto rilevante può costituire una causa manifesta di irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale (sentenza Abdallah, cit., punto 12; del 4 luglio 2012, Abdel, C-75/12, non pubblicata, EU:C:2012:412, punti 6 e 7; del 19 marzo 2014, Grimal, C-550/13, non pubblicata, EU:C:2014:177, punto 19, nonché del 19 marzo 2015, Andre, cit.,punti 8 e 9).

[15] Cfr. C. Giust.,sez. IV, del 18 luglio 2013, C- 36/12; sez. III, del 27 febbraio 2014, C-470/12.

[16] E anche C. giust., 6 ottobre 1982, Cilfit, C-283/81.

[17] Secondo il T.a.r. calabrese, la decisione pregiudiziale ha portata vincolante per il Giudice remittente, con l'obbligo di discostarsi in via eventuale anche dalla diversa interpretazione offerta alla stessa normativa dal giudice nazionale di ultimo grado e vincola anche le giurisdizioni di grado superiore chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa (v. sentenza 5 ottobre 2010, Elchinov, cit., e 15 gennaio 2013, causa C-416/10, Križan). Infatti, "l'obbligatorietà è tale che il rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza della Corte può implicare l'apertura di una procedura di infrazione e la presentazione da parte della Commissione del ricorso di inadempimento di cui all'art. 258 TFUE. Se è vero tuttavia che le decisioni della C.Ue. hanno valenza di fonte del diritto (v. Corte Cost., 23/04/1985 n. 113) e vincolano in primis il Giudice che la ha interpellata, il sistema del rinvio pregiudiziale di cui all'art. 267 TFUE ripartisce nettamente i compiti delle autorità, conferendo alla Corte il ruolo di interpretazione del diritto dell'Unione, senza attribuzioni nella risoluzione del caso, ed al Giudice nazionale il ruolo di decisione della controversia in virtù delle emergenze processuali e del diritto interno, tramite eventualmente la disapplicazione della norma nazionale contraria al diritto dell'unione (v. punti 8 ed 11 delle Raccomandazioni all'attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale 2016/C 439/01; v. per tutte C. Giust. Cee 27 marzo 1963. Da Costa en Schaake NV e a.c. Amministrazione olandese delle imposte). Con la restituzione degli atti al Giudice a quo ed il riavvio del giudizio emergono, quindi, i profili di autonomia dell'autorità nazionale la quale potrebbe ritornando sulla disamina degli atti anche ritenere irrilevante la disposizione normativa per cui si era sollevata la questione pregiudiziale o rinterrogare la Corte ritenendo la decisione non chiara (art. 158 Regolamento procedura della Corte) o non esaustiva (proposizione di ulteriore questione pregiudiziale).”

[18] Sono rimesse alla Corte di giustizia dell'Ue le seguenti questioni pregiudiziali: a) se l'art. 267, par. 3, TFUE possa essere interpretato nel senso che non sussiste l'obbligo incondizionato del giudice di ultima istanza di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto europeo qualora, nel corso del medesimo giudizio, la Corte costituzionale abbia valutato la legittimità costituzionale della disciplina nazionale, alla luce degli stessi parametri normativi di cui si chiede l'interpretazione alla Corte di giustizia Ue, benché attinti dalla Costituzione e non dai Trattati europei; b) qualora la Corte risolva la questione di interpretazione dell'art. 267, par. 3, nel senso che sia obbligatorio il rinvio pregiudiziale, se le disposizioni e i principi di cui agli articoli 26, 49, 56, 63 tFUe e 16 della Carta dei diritti fondamentali UE e il principio del legittimo affidamento ostino alla adozione ed applicazione di una normativa nazionale che sancisce, anche a carico di soggetti già concessionari nel settore della gestione telematica del gioco lecito, nuovi requisiti ed obblighi per il tramite di un atto integrativo della convenzione già in essere.

[19] Si veda in dottrina CRISTIAN PETTINARI, Ordine delle “pregiudiziali” e rapporto fra ordinamenti: nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza n. 2334 del 2016, in Dir. Process. Ammin,, 2017, 2, 652.

[20] SUSANNA FORTUNATO, I rapporti tra obbligo di rinvio pregiudiziale e questione di costituzionalità, il caso italiano dei giuchi d’azzardo, in Foro it. 2018, 9, IV, 424.

[21] Come già precisato, per il commento all’ordinanza delle Sezioni Unite si rimanda al fondamentale contributo di TOMAIUOLI, cit., che riporta anche i riferimenti agli Autori che hanno commentato l’ordinanza nell’immediato, nonché fornisce il quadro completo della giurisprudenza e della dottrina esistente in materia, in particolare dopo la sentenza della Corte Costituzionale 6/2018.

[22] Come chiaramente illustrato da TOMAIUOLI, cit., 691, l’ordinamento giuridico italiano (art. 111 ottavo co. Cost.) accoglie un sistema di giurisdizione pluralista, nel quale il giudice amministrativo esercita la giurisdizione generale per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie (le cosiddette ipotesi di giurisdizione esclusiva), di diritti soggettivi (art. 103, settimo comma, Cost. e art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo), mentre al giudice ordinario è attribuita la cognizione dei diritti soggettivi (al di fuori delle ipotesi di giurisdizione esclusiva). Conseguentemente, il codice di procedura civile (art. 362, comma 1, c.p.c.) e il codice del processo amministrativo (art. 110) escludono dal controllo nomofilattico della Corte di cassazione le sentenze del giudice amministrativo, che possono essere sindacate non per violazione di legge processuale o sostanziale (ossia per aspetti di rito o di merito della controversia, i cosiddetti errores in procedendo o in iudicando) ma per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, laddove avverso le sentenze pronunciate dagli altri organi giurisdizionali, ordinari e speciali, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., «è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge».

[23] Così TOMAIUOLI, cit. 693. Secondo l’A., alla stregua di questa impostazione, rientrerebbero nel controllo sulla giurisdizione anche le ipotesi in cui il giudice amministrativo o quello contabile deneghi una particolare forma di tutela astrattamente prevista dalla legge, ovvero adotti una interpretazione di una norma processuale o addirittura sostanziale che impedisca la piena conoscibilità della domanda, e cioè l’esame del merito della questione. In questi casi, la Corte di cassazione ha sostenuto che il rifiuto di giurisdizione non si avrebbe solo quando il giudice speciale affermi di non avere giurisdizione in astratto (come è sempre stato pacifico), ma anche quando, pur affermando (anche implicitamente) la sua giurisdizione, per «un ostacolo di carattere generale» (id est per l’erronea interpretazione di una norma processuale o sostanziale) non somministri la forma di tutela prevista dalla legge ovvero non esamini nel merito la domanda, e quindi deneghi in concreto la giurisdizione.

[24] Si trattava anche in quel caso della Corte di cassazione, sezioni unite civili, che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, seguita poi da ordinanze del Tar Campania e del Tar Lazio.

[25] Secondo la Corte (par. 11 e ss) “ la tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall'ottavo comma dell'art. 111 Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale. Quest'ultima attinge il suo significato e il suo valore dalla contrapposizione con il precedente comma settimo, che prevede il generale ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, contrapposizione evidenziata dalla specificazione che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per i «soli» motivi inerenti alla giurisdizione. Ne consegue che deve ritenersi inammissibile ogni interpretazione di tali motivi che, sconfinando dal loro ambito tradizionale, comporti una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso. In una prospettiva di sistema, poi, la ricostruzione operata dal rimettente, parificando i due rimedi, mette in discussione la scelta di fondo dei Costituenti dell'assetto pluralistico delle giurisdizioni.”
[26] Tra le tante sentenze, si vedano Sezioni unite, 21 agosto 2020 n. 17580; 26 maggio 2020, n. 9775; 13 maggio 2020, n. 8842 e n. 8843, ove si legge: «La sentenza della Corte costituzionale, nella parte sopra richiamata, benché abbia dichiarato inammissibile la questione scrutinata, ha carattere vincolante, dato che detta pronuncia ha identificato gli ambiti dei poteri attribuiti alle differenti giurisdizioni dalla Costituzione, nonché i presupposti ed i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, così decidendo una questione che involge l’interpretazione di norme costituzionali e l’identificazione dei confini tra poteri da queste stabiliti (con riguardo a quelli tra le giurisdizioni contemplate dal parametro), che non può non spettare alla Corte costituzionale, quale interprete ultimo delle norme costituzionali»; nonché Sezioni unite, 13 marzo 2020, n. 7215; 18 giugno 2019, n. 16338; 14 giugno 2019, n. 15992; 12 giugno 2019, n. 15744; 16 maggio 2019, n. 13243; 25 marzo 2019, n. 8311; 20 marzo 2019, n. 7926; 19 dicembre 2018, n. 32773; 17 dicembre 2018, n. 32621; 30 luglio 2018, n. 20168. Le sentenze Sezioni unite, 21 agosto 2020, n. 17580; 6 marzo 2020, n. 64601; 6 maggio 2019, n. 13243 con riferimento ad ipotesi in cui la lamentata violazione di legge cadeva su norme del diritto dell’Unione. Sezioni unite, 10 giugno 2020, n. 11125. Merita di essere sottolineato, poi, che anche dopo l’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia le Sezioni unite hanno continuato, graniticamente, a respingere la teoria della giurisdizione dinamica e ad escludere che il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione possa essere utilizzato per lamentare violazioni di legge, processuali o sostanziali, interne o europee, del giudice amministrativo (Sezioni unite 20 ottobre 2020, n. 22811; 27 ottobre 2020, n. 23592; 27 ottobre 2020, n. 23596; 29 ottobre 2020, n. 23899; 30 ottobre 2020, n. 24103; 30 ottobre 2020, n. 24104; 30 ottobre 2020, n. 24107, 30 ottobre 2020, n. 24108; 10 novembre 2020, n. 25208)

[27] Infatti, “il diritto dell’Unione, in linea di principio, non osta a che gli Stati membri, conformemente al principio dell’autonomia processuale, limitino o subordinino a condizione i motivi che possono essere dedotti nei procedimenti per cassazione, purché siano rispettati i principi di effettività e di equivalenza” (Corte di giustizia, sezione prima, 17 marzo 2016, Abdelhafid Bensada Benallal, C-161/15). Basti ricordare, al riguardo, che per le stesse Sezioni unite è «chiara la implausibilità del tentativo di configurare un eccesso di potere a danni del legislatore rinvenendolo in una attività di individuazione interpretativa. È stata anche di recente affermata da queste Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 20698 del 2013; Cass., S.U., n. 24411 dei 2011; Cass., S.U., n. 2068 del 2011) la non configurabilità del preteso eccesso di potere le volte in cui il Giudice speciale od ordinario individui una regula juris facendo uso dei suoi poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione anche analogica del quadro delle norme. Si è in particolare ricordato che, con riguardo ai limiti al sindacato delle Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è figura di rilievo affatto teorico, in quanto – dovendosi ipotizzare che il giudice applichi, non già la norma esistente, ma una norma all’uopo creata – detto eccesso potrebbe ravvisarsi solo a condizione di poter distinguere un’attività di produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice, da un’attività interpretativa; attività quest’ultima certamente non contenibile in una funzione meramente euristica, ma risolventesi in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto (Cass., S.U., n. 20698 dei 2013, cit.)» (Cass. civ., Sezioni unite, 23 dicembre 2014, n. 27341).

[28] Per una ipotesi in cui le Sezioni unite hanno escluso che la violazione del diritto dell’Unione sia sindacabile quale sconfinamento nell’attività legislativa si veda la sentenza 17 gennaio 2017, n. 956. Più in generale, sulla eccezionalità della c.d. invasione della sfera legislativa, si vedano, tra le altre, le decisioni delle Sezioni unite, 15 aprile 2020, n. 7839; 19 marzo 2020, n. 7453; 13 marzo 2020, n. 7215; 14 gennaio 2020, n. 413; 20 aprile 2017, n. 9967; 10 aprile 2017, n. 4094; 27 marzo 2017, n. 7758; 21 marzo 2017, n. 7157; 1° febbraio 2016, n. 1840; 21 novembre 2011, n. 24411. Sulla rara ipotesi dell’invasione del potere giurisdizionale nei confronti del potere legislativo si veda anche l’ordinanza n. 334 del 2008 della Corte costituzionale, la quale esclude che la selezione e l’utilizzo del materiale normativo rilevante per la decisione (gli errores in iudicando) possano ricondursi a «meri schemi formali per esercitare» «funzioni di produzione normativa o per menomare l’esercizio del potere legislativo del Parlamento».

[29] Cass. Sez. Un., 17 novembre 2015, n. 23460 e 1° marzo 2012, n. 3236. Secondo Cass. 6 marzo 2020, n. 6460, “neppure può accedersi alla richiesta di rinvio pregiudiziale: la quale inutilmente si fonda (Cass. Sez. U. 22/5/2017, n. 12796) sulla denuncia dei medesimi vizi dedotti nei mezzi di censura ed attinenti alle modalità con le quali il Consiglio di Stato ha esercitato la propria giurisdizione nell’interpretazione delle norme alla stregua dei parametri Europeo e costituzionale: da un lato, tale richiesta così postula la soluzione, in senso favorevole alla ricorrente, di questioni sulle quali, come si è appena detto, questa Corte è priva di potestà di sindacato e sarebbe quindi non pertinente (o, con terminologia nazionale, irrilevante); e, dall’altro lato, difetta in radice il potere di questa Corte di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, omesso dal Consiglio di Stato nella sentenza impugnata, siccome spetta a queste Sezioni Unite solo di vagliarne il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell’Unione Europea su cui possano ipotizzarsi quesiti interpretativi (Cass. Sez. U. 08/07/2016, n. 14042; Cass. Sez. U. 19/09/2017, n. 21617)»; nonché Sezioni unite, 18 dicembre 2018, n. 32622; 15 novembre 2018, n. 29391; 17 dicembre 2017, n. 30301; 17 gennaio 2017, n. 956; 14 dicembre 2016, n. 2403; 20 maggio 2016, n. 10501; 8 luglio 2016, n. 14042”. In questo senso anche Corte di giustizia, Grande sezione, 13 marzo 2007, Unibet, C-432/05, cit.

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