(L’UBI CONSISTAM della perdita di chance nel diritto amministrativo)
dalla relazione svolta durante il Corso di formazione “Questioni controverse di diritto amministrativo – Un dialogo tra Accademia e Giurisprudenza”
I. Generalità
Definire la “chance” non è compito facile e lo è ancor meno se la definizione deve trovare concreta applicazione nel diritto amministrativo.
La “chance” è concetto volubile e ambiguo (qualcuno dice incorporeo, a marcare la differenza rispetto alla dimensione fisica dei beni contenuto di diritti), perché ha a che fare con la probabilità di un’acquisizione futura ed è un’idea che, nella società liquida, che valorizza e premia la mera possibilità di sviluppo piuttosto che l’effettiva consistenza, all’attualità, delle capacità, in senso lato, del soggetto, come di qualsiasi sistema, è destinata ad affermarsi addirittura come prevalente rispetto alla dimensione statica dei diritti di matrice classica.
O meglio, come espansiva, giacché, in astratto, qualunque situazione soggettiva può essere riguardata nella sua dimensione diacronicamente rivolta al futuro; nella sua potenzialità, dunque, piuttosto che nella sua essenza statica fisicamente apprezzabile nel presente [1].
Il diritto deve dunque occuparsene, avendo la funzione di regolare (ossia di dare una regola) ai fenomeni reali.
Le prime emersioni del concetto si registrano attraverso il naturale sviluppo applicativo dell’art. 1223 c.c. [2], ossia nell’ambito della regolazione dell’inadempimento contrattuale, cui deve conseguire l’integrale risarcimento del soggetto danneggiato; regola che vale, per l’intermediazione dell’art. 2056 c.c., anche per l’illecito extracontrattuale.
La “chance” è dunque la possibilità di conseguire un bene, è caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza ed entra nel diritto allorché se ne accerti la “perdita” per effetto di un fatto di inadempimento o di illecito extracontrattuale, come danno o componente di danno.
Si tratta di un interesse “meritevole di tutela”, giacché parte integrante della dimensione prospettica del soggetto, e dunque la sua lesione diventa risarcibile per il tramite della clausola aperta di cui all’art. 2043 c.c.
A voler approfondire in che cosa consista effettivamente la “perdita”, coerentemente con la natura volubile della “chance”, occorre considerare che ciò che si apprezza (e che richiede, in caso di lesione, il risarcimento a carico del danneggiante) è la normale proiezione futura della persona, ossia la sua dimensione dinamica e i suoi probabili sviluppi; l’idea classica della causalità viene utilizzata non solo per collegare il fatto dannoso all’evento lesivo ma anche per individuare i possibili conseguenti di una situazione data, tale essendo il momento in cui è persa la “chance”.
La chance si qualifica allora come naturale (probabile) sviluppo di una situazione data (“hoc post hoc” o, forse meglio, secondo il principio di regolarità causale, “hoc propter hoc”), interrotto dal fatto dannoso che tale sviluppo preclude.
Non si tratta, dunque, di reintegrare una lesione o un pregiudizio subiti rispetto ad un bene concreto, sensibile, ricompreso nel patrimonio fisico del danneggiato, ma di considerare un bene ulteriore, non empiricamente percepibile, ma ugualmente presente nel patrimonio giuridico del danneggiato, nella forma di stadi intermedi di un processo evolutivo avente come risultato finale la produzione di un vantaggio fisicamente apprezzabile.
L’indagine sul nesso causale, normalmente rivolta all’indietro a ricercare le cause dell’evento dannoso, nel caso della “chance” è volta “in avanti”, al fine di individuare i possibili sviluppi della situazione data, a partire del fatto dannoso.
È qui che entra in gioco la “probabilità”, che è il nesso che collega il fatto certo con l’incerto futuro, e che, ove apprezzabile in grado elevato, si confonde con la certezza [3].
II. Le varie definizioni della chance e la perdita di chance
La intrinseca ambivalenza del concetto di “chance”, divisa tra effettiva diminuzione attuale delle possibilità di sviluppo e perdita naturalmente rivolta al futuro, ha condotto dottrina e giurisprudenza ad avvicinare la “chance” all’idea, più rodata, di aspettativa di diritto, anche in chiave differenziatrice dall’aspettativa di mero fatto, ovvero al danno futuro [4].
E tuttavia la “chance” assume rilevanza per il diritto quando è “perduta”.
Infatti, l’interruzione della serie causale che conduce dalla potenza all’atto, ossia dalla mera “chance” all’effettiva realizzazione del risultato atteso per effetto della situazione data, ove determinata dall’inadempimento o dall’illecito, comporta il risarcimento del danno.
Il danno consiste allora, per l’appunto, nella perdita della “chance”, che assurge così a “bene” autonomo e diverso dalla mancata realizzazione dell’evento [5].
In tale logica, non rileverebbe affatto il grado di probabilità della realizzazione del risultato atteso ai fini della enucleazione della “chance”; il grado di probabilità, per contro, riassumerebbe rilevanza ai fini della concreta quantificazione del danno [6].
La perdita di “chance” è considerata, in tale prospettiva, come “danno emergente”, posto che determina un decremento nel patrimonio del soggetto, che, a seguito del fatto di inadempimento o illecito, perde la possibilità di conseguire il bene (o di evitare un pregiudizio).
Non si ha riguardo, come detto, al bene finale, dunque, ma alla possibilità di conseguirlo.
La apparente chiarezza della definizione, tuttavia, per la indissolubile connessione con la proiezione futura della situazione cui accede, nella concreta applicazione continua a risentire della sua intrinseca fluidità; anche a voler considerare lo sviluppo della situazione e il suo risultato finale (auspicato) come elemento utile alla sola quantificazione del danno, resta indubbia la rilevanza delle tecniche di accertamento del nesso causale (oramai portate, già dalla giurisprudenza civile, dal piano della certezza a quello della rilevante probabilità).
Assumendo dunque che detto accertamento resti comunque rilevante, i problemi connessi al risarcimento della chance perduta sono almeno due:
- è apprezzabile e risarcibile qualsiasi chance, e dunque anche la “minima chance”, ovvero, per essere valorizzata agli effetti risarcitori, la “chance” deve avere una minima consistenza (che si traduce in un “certo” grado di probabilità di naturale suo sviluppo favorevole)?
- come si quantifica il danno da “chance” perduta?
III. Il trattamento della perdita di chance (ovvero della chance perduta) per la giurisprudenza civile
Il primo quesito ci riconduce alla stessa enucleazione dell’idea di “chance”, come indissolubilmente legata al concetto di “probabilità” e dunque di un non certo collegamento tra la “chance” stessa e il suo potenziale sviluppo.
In effetti, se detto collegamento fosse certo (e se, dunque, fosse certa la perdita) non potrebbe più parlarsi di perdita di “chance” ma, tout court, di perdita di un bene già autonomamente risarcibile.
Il problema non è nuovo ed è stato già affrontato dalla giurisprudenza civile.
Che ha dapprima definito la “chance” come “concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione” [7], e, conseguentemente, onerato il preteso danneggiato di provare, sia pure solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta [8].
Va subito detto che, nell’evoluzione della giurisprudenza civile, ha giocato un ruolo non indifferente l’essersi, il danno da perdita di “chance”, spesso accompagnato (e cumulato) a componenti di danno diverso, come, ad esempio, il danno alla salute; questo spiega perché, una volta riconosciuto, appunto come danno emergente, il danno alla salute, i giudici hanno preteso la “prova” rigorosa del preteso danno ulteriore (perdita di “chance” come “danno patrimoniale futuro”), che si assumeva anch’esso conseguente alla riconosciuta esistenza di postumi invalidanti; in tale senso si è ritenuto spettare al danneggiato “l’onere di provare, anche presuntivamente, che il danno alla salute gli ha precluso l’accesso a situazioni di studio o di lavoro tali che, se realizzate, avrebbero fornito anche soltanto la possibilità di maggiore guadagni” [9].
Risulta evidente l’esigenza di verifica, insieme, di causalità “all’indietro” (come nesso causale tra l’evento dannoso e il danno lamentato) e “in avanti” (come presumibile sviluppo causale della situazione data).
In tal caso, il danno da perdita di chance è riguardato come una “componente” del danno, da provare e da considerare in via autonoma [10].
Ma l’ubi consistam della “chance” è davvero nella elevata probabilità di verificazione del risultato favorevole?
Qui il ragionamento si fa più confuso.
Il giudice richiede la “ragionevole” certezza dell’esistenza di una non trascurabile probabilità favorevole (non necessariamente superiore al 50%, ovvero secondo il criterio del “più probabile che non”) non la “probabilmente certa” esistenza di una probabilità (probabilità di secondo grado).
Occorre dunque fissare ex ante una percentuale fissa minima di probabilità risarcibile? [11]
Seguendo tale ordito argomentativo, sembrerebbe ineludibile la valutazione del “potenziale” della “chance”.
E torniamo al problema: tale valutazione occorre ai fini della stessa configurabilità della “chance” ovvero solo per la sua valutazione quantitativa ai fini risarcitori?
Quanto, poi, alle tecniche di quantificazione del danno da perdita di “chance”, indubbiamente raffinata è l’elaborazione sviluppata dal giudice civile.
Nel calcolo del danno da perdita di occasione favorevole, secondo la giurisprudenza, deve utilizzarsi il c.d. “coefficiente di riduzione”: si assume come parametro di riferimento il bene finale cui si aspirava, diminuito del detto coefficiente di riduzione, parametrato al grado di probabilità di conseguirlo in relazione al caso concreto.
Così facendo, tuttavia, la perdita di “chance” finisce per confondersi con la perdita del bene sperato, costituendone solo una percentuale [12].
La progressiva consapevolezza di tale confusione concettuale riconduce alla distinzione tra filone “eziologico” e “ontologico” della perdita di “chance”, che si fonda sulla richiesta, ai fini risarcitori, di una minima percentuale di verificazione dell’evento per la stessa configurazione della “chance,” o meno.
Nel caso si acceda alla ricostruzione eziologica, si valorizza la perdita del risultato finale che il soggetto avrebbe conseguito se non ci fosse stato il comportamento illecito ovvero l’inadempimento contrattuale.
Nel lucro cessante, tuttavia, il danno è certo, non probabile (in quanto conseguenza immediata e diretta dell’illecito), mentre la perdita di “chance” attiene al (diverso) pregiudizio, potenziale o eventuale, collegato in modo incerto con l’evento dannoso.
Mediante la tecnica del lucro cessante, si collega direttamente la condotta illecita o non adempitiva con la perdita del risultato finale, che è intermediata dalla situazione di “chance” autonomamente lesa [13].
Esclusa quindi la possibilità di utilizzare la tecnica del lucro cessante, si è ripiegato sul danno emergente, che presuppone che la “chance” costituisca una posta attiva del patrimonio del danneggiato, e dunque un bene autonomo differente dal bene finale cui si aspirava, e, per altro verso, la risarcibilità delle conseguenze mediate indirette della condotta lesiva.
Altra ricostruzione rimanda invece alla tematica del “diritto in attesa di espansione”, spiegandosi la perdita di “chance” non come perdita di un risultato favorevole (ad esempio, il posto di lavoro cui si aspirava), ma piuttosto della possibilità di conseguire un risultato utile nella prospettiva dell’acquisizione del risultato finale (ad esempio, poter sostenere gli esami per ottenere quel posto di lavoro), possibilità che già esisterebbe nel patrimonio del soggetto nel momento in cui fosse inciso dal comportamento illecito; in tal caso, la lesione del diritto sarebbe configurata come lesione di una legittima aspettativa tutelata.
Non manca, come spesso accade, una tesi intermedia, secondo cui la “chance” costituirebbe una posta attuale del patrimonio, ossia un bene della vita autonomo e tutelabile in sé; in tal senso, altro è il risultato avuto di mira (vincere un concorso), altro è la possibilità di conseguirlo.
Secondo tale ricostruzione, la “chance”, intesa come possibilità di un risultato, è un bene della vita autonomamente apprezzabile, purché ovviamente si tratti di una possibilità statisticamente seria.
La perdita di “chance” presenterebbe dunque al suo interno entrambi i profili (ontologico ed eziologico).
IV. Le applicazioni concrete nella giurisprudenza civile
La giurisprudenza civile si è occupata da tempo della perdita di “chance”.
Sembra utile, dunque, ripercorrere, succintamente, la relativa casistica per rimarcarne le differenze rispetto al diritto amministrativo.
I settori maggiormente interessati sono stati quelli sanitario, della responsabilità professionale e giuslavoristico.
L’ambito sanitario è stato uno dei primi ad essere indagati sotto il profilo di interesse.
Si è rimarcato come il risarcimento, per essere globale, dovesse comprendere anche le conseguenze sulle potenzialità espansive del soggetto, anche a costo di ridurre la percentuale di “certezza” sulle dette conseguenze.
La chance, dunque, sembra ricondotta ad una duplice funzione, in quanto autonomo bene della vita (sotto forma, ad esempio, di “chances” di sopravvivenza) ma anche tecnica di dimostrazione della causalità a tutela del bene vita; in tale senso, la “chance” assume rilievo in quanto significativa e tale da rendere la probabilità di verificazione (o di esclusione) dell’evento morte, al fine di riconoscere o escludere la responsabilità dei sanitari, vicina alla certezza, dunque, in definitiva, come tecnica di accertamento del nesso causale.
La domanda per perdita di “chance”, per quanto sopra detto, è tuttavia ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato. Infatti, in questo secondo caso, la stessa collocazione logico-giuridica dell’accertamento probabilistico attiene alla fase di individuazione del nesso causale, mentre nell’altro caso attiene al momento della determinazione del danno; in sostanza, nel primo caso le “chances” substanziano il nesso causale, nel secondo caso sono l’oggetto della perdita e quindi del danno [14].
Il danno da mancato raggiungimento del risultato sperato è ontologicamente diverso da quello per perdita di “chances” che non è neppure un minus rispetto all’altro.
Quanto alla “misura” della perdita di “chances”, sembra sufficiente dedurre una possibilità non meramente simbolica di danno per ottenere il risarcimento del danno, parametrato alla lesione lamentata.
Purché sia certa l’inadeguatezza dell’adempimento prestato dal debitore, il creditore danneggiato potrà ottenere il risarcimento per le “chances” perdute, senza che rilevi la reale efficacia impeditiva della condotta dovuta (ed omessa).
La responsabilità medica, settore nel quale si inquadrano i precedenti evidenziati, suggerisce una casistica improntata sull’inadempimento contrattuale sub specie di obbligazione di mezzi; quindi non è richiesta la prova analitica del nesso esistente tra condotta e evento lesivo, che diventa invece più rigorosa ove si agisca per il mancato raggiungimento del risultato sperato [15].
Questo consente di superare le tradizionali tecniche di accertamento causale mutuate dal diritto penale e caratterizzate dalla regola dell’accertamento causale basato su presunzioni e regole di esperienza e della alta probabilità logica o razionale, sostituendola con quella, di matrice nordamericana, del “più probabile che non”.
L’approfondimento delle tematiche sulla natura della perdita di “chance” ha consentito di estendere la sua possibile enucleazione ad altre ipotesi di responsabilità professionale, ad esempio in materia di responsabilità del legale per tardiva proposizione di un atto di appello.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, che ha riconosciuto l’esistenza di un danno da perdita di “chance” del cliente, il pregiudizio è ravvisato non già nell’impossibilità di ottenere l’esito favorevole della lite, ma nella perdita di serie ed apprezzabili possibilità di successo, conseguenti alla proposizione del gravame [16].
La perdita di chance è stata ravvisata in ipotesi preclusive della possibilità di conseguire una promozione [17].
Anche in tale caso, si è distinto con chiarezza tra l’effettivo conseguimento della promozione (bene della vita) e la mera possibilità di aspirarvi (chance).
V. E per la giurisprudenza amministrativa?
La prima questione da porsi è se la “chance” si atteggi diversamente per il diritto amministrativo rispetto al diritto civile [18].
Il dubbio deriva dalla ineludibile naturale intermediazione del potere pubblico, tipico del diritto amministrativo, nell’esercizio delle facoltà connesse alla situazione giuridica soggettiva.
Se il fatto illecito interrompe la serie causale conducente al vantaggio, così ledendo la “chance” di conseguirlo, la stessa serie causale, in diritto amministrativo, non è lineare, essendo necessario il superamento di uno “step” ulteriore soggetto esclusi i casi di potere vincolato, a valutazione discrezionale.
Questo determina un ulteriore passaggio intermedio all’interno della serie causale riconducibile al fatto illecito (che si interpone, in tesi, nella naturale proiezione futura della sfera soggettiva individuale) costituito dall’obbligato riesercizio del potere (sub specie di potere discrezionale), che rende (ancora) più complessa la ricostruzione del nesso causale “in avanti”.
La “chance” potrebbe, in tal senso, essere identificata con la tensione verso il risultato favorevole derivante dall’eventuale positivo enuclearsi del procedimento in favore del richiedente ovvero, per altro verso, con lo stesso interesse legittimo, nella sua forma pretensiva [19].
Nel caso di lesione dell’interesse legittimo pretensivo, dunque, potrebbe ritenersi che il risarcimento dell’interesse legittimo leso assorba il risarcimento da perdita di “chances”.
Le tecniche di quantificazione del danno da perdita di “chances”, che fanno riferimento alla “probabilità” di conseguire il bene della vita finale (sia pure attraverso la mediazione procedimentale), non agevolano la distinzione.
Ma proprio la ridetta necessaria intermediazione del potere e la natura stessa della norma di comportamento violata (di azione, si direbbe, secondo un’antica terminologia) potrebbe condurre invece ad una autonoma ricostruzione della perdita di “chances” nel diritto amministrativo.
Al riguardo, un primo punto da chiarire è se davvero si abbia lesione da perdita di “chances” solo quando sia accertata definitivamente l’impossibilità di conseguire un risultato favorevole.
Sottesa al quesito sopra posto, è tuttavia, più incisivamente, l’indagine sul rapporto tra “chance “e interesse legittimo.
Se dovessimo ragionare come nel diritto civile, ove la “chance” è contenuto proprio del diritto (nella sua proiezione dinamica), autonomamente tutelabile e risarcibile, anche nell’interesse legittimo dovrebbe analogamente ritenersi contenuta la “chance”.
A tale automatica sovrapposizione, osta tuttavia la sostanziale diversità tra le due figure di situazione giuridica soggettiva.
Torniamo al nostro quesito.
La riedizione del potere che consegue all’annullamento di un provvedimento, secondo le modalità conformate dal giudicato amministrativo, ricostituendo, di regola, la possibilità di conseguire il risultato, non potrebbe, per definizione, determinare la perdita di “chances” ma ricostituirebbe, integra, la “chance” nel patrimonio del soggetto.
Si potrebbe, tuttavia, pensare che la riedizione del potere non determini affatto la ricostituzione della “chance” originaria, ma costituisca una sorta di “seconda chance”, a sua volta integra e suscettibile di “lesione”.
Ogni attivazione procedimentale integrerebbe così una “chance”, autonomamente valutabile, di conseguire il risultato favorevole.
Nel primo caso, la “chance” si sovrapporrebbe all’interesse pretensivo, mentre, nel secondo caso, piuttosto all’interesse procedimentale.
Se poi si accertasse che il risultato del procedimento non potrebbe che essere favorevole al preteso danneggiato, ciò che si andrebbe a risarcire non sarebbe affatto la perdita di “chances” ma la perdita patrimoniale connessa al mancato risultato favorevole, come lucro cessante o danno emergente, essendo certa la verificazione dell’evento ove non fosse stata impedita dall’illegittimo esercizio del potere.
La mera probabilità di conseguire il vantaggio sarebbe dunque, in tale caso, assorbita dalla certa perdita del vantaggio conseguibile per effetto del fatto lesivo intermedio.
VI. Perdita di chance e appalti pubblici
Il campo privilegiato di esercizio del giudice amministrativo a confronto con la perdita di “chance” è stato quello degli appalti pubblici, come naturale precipitato delle questioni risarcitorie fin da subito rilevanti per il diritto dei contratti pubblici innervato dagli acquis unionali.
Ogni procedimento concorsuale, in effetti, dà agli operatori che vi partecipano una “chance” di aggiudicazione; il procedimento in sé costituisce una sequenza che progressivamente avvicina il concorrente al risultato finale favorevole; la sua interruzione e/o il suo esito sfavorevole determinano, dunque, la perdita di “chance” che, ove illegittimamente procurata, in astratto configurerebbe ex se una lesione risarcibile.
Per contro, ove neppure vi fosse una procedura concorsuale ma, in ipotesi, un affidamento diretto, la perdita di “chance” sarebbe, ancora in astratto, ugualmente ravvisabile nella condotta dell’Amministrazione che avrebbe impedito il sorgere stesso di una “chance”.
La “chance” è dunque ricostruibile come la possibilità, per l’operatore economico (naturalmente interessato al settore di attività e al mercato rilevante), di risultare affidatario della commessa e l’affidamento ad altri di per sé vanifica tale “chance”.
Questo spiega perché la materia degli appalti sia quella più direttamente incisa dalla tematica in questione.
Sta di fatto che, ad oggi, la perdita di “chance” è diventata una sorta di clausola di stile di tutte le domande risarcitorie connesse alle questioni in materia di appalti, sia nella forma di “chance perduta di ottenere l’aggiudicazione dell’appalto”, sia nella forma di “chance perduta di potersi aggiudicare l’appalto”.
Un risalente caso si è occupato della “prima forma” di perdita di “chance” [20].
La complessa vicenda (passata anche per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia) si è conclusa con l’annullamento dell’aggiudicazione disposta in favore della controinteressata, con obbligo di rinnovazione della procedura, ma con contestuale riconoscimento del risarcimento del danno da perdita di “chance”.
L’interesse pretensivo a base della richiesta di tutela è stato dunque soddisfatto mediante l’obbligo rinnovatorio; da questo, tuttavia, è stata distinta la “chance”, connessa al procedimento esitato negativamente per l’istante ma autonomamente riguardata, la cui perdita è stata risarcita.
La pronuncia sembra dunque divergere dall’indirizzo secondo cui la perdita di “chance” deve essere “definitiva” rispetto all’interesse pretensivo azionato [21].
Oppure, implicitamente, la pronuncia intende affermare che l’illegittimità accertata della prima aggiudicazione, mentre riespande l’interesse pretensivo, ricostituendolo, non riespande affatto la “chance” originaria, che è definitivamente persa (e deve essere dunque risarcita); il nuovo procedimento, dunque, determina di fatto l’insorgere di una nuova “chance”, oggettivamente diversa da quella originaria e perduta giacché, a tacer d’altro, “conformata” dal giudicato.
Nel caso di specie, giova precisare, l’obbligo conformativo si riferiva all’intera procedura valutativa, alla quale avrebbero dovuto applicarsi criteri necessariamente diversi da quelli originariamente utilizzati dalla Stazione appaltante.
Tuttavia, nella sentenza si legge che il danno da perdita di “chance” consegue alla lesione “definitiva” dell’interesse pretensivo dell’impresa esclusa da una gara d’appalto, non soddisfatto attraverso il bene della vita cui il partecipante alla gara aspirava.
Tale danno (perdita di “chance”) si distingue dalla lesione dell’interesse pretensivo, che si soddisfa di norma in forma specifica attraverso la rinnovazione dell’esercizio del potere e che, per tale ragione (per la possibilità di una diversa forma di tutela, in forma specifica), non deve essere risarcito.
Solo dal nuovo esercizio del potere può, infatti, a rigore, derivare certezza in ordine alla spettanza del bene cui il privato aspira per la necessaria intermediazione del potere pubblico che deve essere ri-esercitato.
Dunque, per definizione, non può dirsi spettante ex ante il bene della vita rivendicato (vertendosi in ipotesi di potere discrezionale) e non può dunque trovare risarcimento l’interesse legittimo leso.
Ma ben può invece trovare tutela, invece, la perdita di “chance” [22].
La lesione da perdita di “chance” opererebbe, dunque, quando non sono più possibili il riesercizio del potere, quantomeno nella originaria conformazione, e la piena reintegrazione dell’interesse pretensivo [23].
Spiega la pronuncia in esame che, non essendovi prova possibile dell’aggiudicabilità della gara all’ATI ricorrente, in ragione del metodo discrezionale di aggiudicazione (in ragione, diciamo noi, della necessaria intermediazione del potere da riesercitare), l’interesse pretensivo violato deve essere stimato come perdita di “chance” di aggiudicazione, parametrabile non solo alla perdita di quote di mercato, ma anche alla probabilità di aggiudicazione concretamente raggiunta nella specie. In tali ipotesi, il risarcimento dei danni dovrebbe essere negato fino alla rinnovazione degli atti di gara che, tuttavia, avvenendo in un altro momento e contesto storico, “non è detto che possa coinvolgere nuovamente le parti in causa nello stesso modo e sulla base dei medesimi presupposti che erano a base dell’azione amministrativa giudicata illegittima”.
Il giudizio sulla spettanza, si afferma significativamente nella richiamata sentenza, “ossifica eccessivamente, in tali casi, l’azione amministrativa e posticipa irragionevolmente le possibilità di ottenere il risarcimento”; il giudice sarebbe, dunque, costretto a pronunciare una sentenza di inammissibilità dell’azione risarcitoria per difetto di presupposti.
Ove non sia agevole o possibile la rinnovazione delle attività amministrative o delle operazioni di gara nella stessa conformazione originaria, il danno lamentato dovrebbe essere visto, allora, unicamente nella prospettiva della perdita di “chance”, senza alcun collegamento con il bene della vita cui in concreto si aspira(va).
Ritorna, quindi, la suggestione civilistica in ordine al riconoscimento della risarcibilità della “chance” in via autonoma laddove non sia possibile riconoscere la perdita del bene della vita sottostante, in difetto di prova certa della sua definitiva perdita; di più, la riespansa possibilità di conseguire il bene (per effetto della riapertura del procedimento), non esclude affatto la risarcibilità della perdita di “chance”, ma anzi, per così dire, la conferma.
Naturalmente, aggiunge la sentenza, occorre una consistente possibilità di successo (una “seria chance”, si dovrebbe dire), onde evitare che diventino ristorabili anche mere possibilità statisticamente non significative [24] e, in tale prospettiva, resta comunque decisivo distinguere tra probabilità di riuscita (“chance” risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’”utilità sperata” (“chance” irrisarcibile).
Tra la certezza e la mera possibilità, avverte il Collegio, c’è la “probabilità relativa”, consistente in un rilevante grado di possibilità, che si quantifica tuttavia nella percentuale del 50 % (ancora secondo la collaudata tecnica del giudizio probabilistico del più probabile che non) [25].
Quel che resta certo è che, per rilevare ai fini risarcitori della perdita della “chance”, deve essersi verificata l’interruzione di una successione di eventi potenzialmente idonei a consentire il conseguimento di un vantaggio, generando una situazione con carattere di assoluta immodificabilità, consolidata in tutti gli elementi che concorrono a determinarla, in modo tale che risulti impossibile verificare compiutamente se la probabilità di realizzazione del risultato si sarebbe, poi, tradotta, o meno, nel conseguimento dello stesso [26].
A voler inquadrare la sistematica della pronuncia in commento, dovremmo ricondurla alla tesi ontologica, mediata dalla rilevanza percentuale del grado di probabilità dell’evento, non meramente ipotetica.
In altri casi, il giudice amministrativo ha invece aderito alla tesi c.d. eziologica, in base alla quale la consistenza della “chance” rileverebbe ai fini della sua stessa configurabilità; la “chance” va valutata nella sua funzione prospettica, ossia nella probabilità di sussistenza del nesso di causalità rispetto alla situazione finale e la “chance” (e la sua risarcibilità) andrebbe esclusa ove si registri un grado di probabilità inferiore a quello minimo richiesto [27].
È chiaro che stabilire un limite percentuale di riconoscibilità del bene “chance” facilita il compito del giudice, che escluderà dalla risarcibilità tutte le “chance” che si dimostrino non adeguate rispetto al limite dato.
Ma non di rado il giudice ha invece insistito sull’autonomia della figura della “chance” ai fini risarcitori della sua “perdita”, tanto da provocare anche l’intervento dell’Adunanza Plenaria, che non ha, allo stato, ancora preso posizione [28].
Il caso sottoposto alla Plenaria, diversamente che nel caso esaminato dalla sezione sesta sopra commentato, originava da un affidamento diretto contra legem.
Si tratta dunque della perdita di “chance” nella forma della perdita della possibilità di potersi aggiudicare l’appalto, posto che nessuna gara, finalizzata all’aggiudicazione, era stata esperita, e questo in via reiterata, con frustrazione delle “potenzialità espansive” connesse alla situazione di operatore economico del settore.
Il giudizio impugnatorio, giova segnalare, si concludeva con l’annullamento dell’affidamento diretto senza declaratoria di inefficacia del contratto.
Era dunque chiaro che la “chance” fosse stata definitivamente perduta, non essendovi spazio per alcuna rinnovazione procedimentale, se non pro futuro, ma ovviamente con riferimento a condizioni diverse da quelle verificabili al momento della condotta illecita.
Nel separato giudizio risarcitorio, era quindi prospettato il danno da perdita di “chances”, non come mancato conseguimento di un risultato futuro possibile, ma come sacrificio, acclarato e definitivo, di occasione favorevole attualmente (ossia, all’epoca) presente nel patrimonio dell’impresa ricorrente.
Orbene, secondo il giudice di prime cure, a tal fine non sarebbe stato affatto necessario dimostrare la probabilità dell’aggiudicazione secondo una percentuale pari almeno al 50% [29], considerato che, nel caso concreto, tale percentuale, sulla base del numero dei concorrenti, superiore a 2, era certamente inferiore a quel limite.
Riconosciuta l’esistenza della lesione, in effetti, il TAR aveva in concreto quantificato il danno risarcibile da perdita di “chances”.
In sede di appello, la sezione investita, dubitando invece della configurabilità di una “chances” in presenza di una percentuale inferiore al 50% (dunque, al “più probabile che non”) rispetto all’evento favorevole auspicato e non verificato (né più verificabile), consistente nell’affidamento in favore della ricorrente, ha posto il quesito se dovesse applicarsi la teoria ontologica, che in tesi non contempla un grado minimo di percentuale di verificabilità dell’evento favorevole, ovvero quella eziologica, che avrebbe comportato, nella specie, il rigetto della domanda, essendo il grado di probabilità, sulla base del numero dei concorrenti, inferiore al 50%.
La Plenaria non ha preso posizione sulla questione, rimettendo gli atti alla sezione e assumendo che nella specie era già stata accertata la lesione con un grado di probabilità quantificato nel 20%.
Tanto sarebbe stato ostativo all’opportunità di ridiscutere funditus la questione, e questo perché la teoria ontologica non richiederebbe affatto la verifica del grado percentuale di verificabilità dell’evento favorevole; dunque, l’aver già accertato il grado percentuale della “chance” favorevole avrebbe significato, secondo la Plenaria, già aver ritenuto rilevante tale grado e dunque, in tesi, aver già superato il limite della possibile adesione alla teoria ontologica.
Peraltro, l’accertamento aveva avuto riguardo alla esistenza effettiva di una lesione e anche tale dictum sarebbe stato ostativo ad una eventuale ulteriore pronuncia che invece avesse richiesto, per la configurabilità di una lesione, una percentuale minima di verificabilità della “chance” positiva.
Il problema posto dalla Sezione rimettente, e cioè “la questione dei limiti entro i quali è ammesso il risarcimento della chance”, non avrebbe, dunque, potuto “essere affrontata in modo avulso, ed anzi è inevitabilmente condizionata fino alla sua negazione dalla dimostrazione che l’illegittimità dell’amministrazione non ha inciso su un inesistente o trascurabile probabilità di risultato utile per l’operatore economico asseritamente leso, sub specie di conseguimento della commessa pubblica” [30]; la questione, dunque, sarebbe stata posta male o, per meglio dire, le perplessità sulla scelta tra teoria ontologica ed eziologica sarebbero quantomeno tardive [31].
La apparente pronuncia di non liquet resa dalla Plenaria merita tuttavia, ad avviso di chi scrive, ulteriore approfondimento, segnatamente nella parte in cui segnala che l’opzione tra teoria ontologica e teoria eziologica non ha riferimento soltanto al problema dell’astratta risarcibilità della “chance”, ma “implica rilevanti conseguenze in ordine alla qualificazione della natura giuridica della figura, all’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie, all’accertamento dell’ingiustizia del danno e del nesso di causalità, all’accertamento probatorio e al grado di certezza con esso richiesto, alla determinazione della consistenza della situazione soggettiva vantata nei confronti del debitore, agli eventuali criteri di liquidazione del danno” [32].
Sembra, dunque, che la Plenaria voglia riservarsi una pronuncia “a mani libere”, piuttosto che rimanere incagliata sulla questione in concreto sollevata, oggettivamente limitata alla sola alternativa tra teoria ontologica ed eziologica della “chance”.
Non a caso, segnala che, astrattamente, sarebbero ben possibili “percorsi ricostruttivi alternativi ovvero intermedi e comunque eclettici rispetto alla dicotomia tra teoria ontologica e teoria eziologica”.
Se il percorso “alternativo”, lungi dal concentrare la scelta tra teoria ontologica e teoria eziologica, sembra suggerire una soluzione ancora diversa e cioè una ricostruzione totalmente altra della “chance” perduta e dei presupposti del suo risarcimento, il percorso “intermedio” potrebbe invece, ad esempio, valorizzare l’elemento percentuale ai soli fini quantificatori del risarcimento, ferma la configurabilità della “chance” in quanto tale, mentre il percorso “eclettico” potrebbe combinare diversamente elementi delle due teorie.
Quel che è certo è che alla Plenaria, e forse al giudice amministrativo, sta stretto il letto di “Procuste” delle teorie formate in ambito civilistico.
VII. La perdita di chance al di fuori degli appalti
Apparentemente estranea all’ambito che ne occupa è altra pronuncia dell’Adunanza plenaria [33], che riguarda principalmente la definizione della responsabilità risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione come responsabilità extracontrattuale [34].
Per i rilevanti addentellati con la problematica all’esame, sembra tuttavia opportuno darne conto.
Dunque, secondo la Plenaria, esclusa ogni altra ipotesi ricostruttiva (responsabilità contrattuale o para-contrattuale, da “contatto sociale” qualificato), la responsabilità della pubblica amministrazione è tout court responsabilità extracontrattuale, che presuppone l’accertamento di un bene della vita, con i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza.
In un caso di ritardato provvedimento autorizzatorio relativo alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica con fonti rinnovabili, fino ad un certo tempo assistita da benefici incentivanti per legge, non è dubbio che il ritardo abbia inciso sulle concrete modalità di possibile acquisizione dei vantaggi sperati; nel caso esaminato, sulla stessa fattibilità dell’intervento, poi definitivamente precluso da intervenute modifiche normative che hanno cancellato le disposizioni incentivanti [35].
Il ritardo a ragione può essere ritenuto, dunque, “causa efficiente” della lesione del patrimonio del soggetto, che non potrà (più) ottenere il beneficio e che ha pure perso la “chance” di ottenerlo stante la modifica normativa.
È dunque evidente l’impatto con la problematica all’esame.
Come si pone l’accertata lesione dell’interesse pretensivo, attraverso la violazione dei tempi procedimentali (incidente sul mancato ottenimento del bene della vita), rispetto alla “chance” di ottenere il medesimo bene?
La Plenaria non ha dubbi nel ritenere accertata la lesione dell’interesse pretensivo/bene della vita all’ottenimento del beneficio quantomeno per tutto il tempo in cui è rimasta in vigore la disposizione incentivante, dovendosi accertare, piuttosto, se anche per il futuro la ricorrente avrebbe potuto comunque fruirne.
In ogni caso, afferma che: “il danno va liquidato nelle forme del danno da perdita da chance, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa (come “lucro cessante”) e non può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione” [36].
Accanto alla tradizionale tematica della natura della tutela risarcitoria come strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione [37], è significativa l’affermazione che il requisito dell’ingiustizia del danno non è affatto assorbito dalla violazione della regola contrattuale, ma piuttosto il risarcimento è riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, e dunque solo se è configurabile una lesione della sfera giuridica del privato costui sarebbe legittimato a domandare il risarcimento per equivalente monetario.
In altri termini, “nel settore del danno conseguente alla ritardata conclusione del procedimento amministrativo il requisito dell’ingiustizia esige la dimostrazione che il superamento del termine di legge abbia impedito al privato di ottenere il provvedimento ampliativo favorevole, per il quale aveva presentato istanza”. [38]
Tale affermazione, come detto, non riguarda il danno da perdita di “chance” ma il danno da lesione dell’interesse legittimo “pretensivo”, e tuttavia quest’ultimo va risarcito secondo le tecniche di risarcimento del danno da perdita di “chance”, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa, senza riguardo a quanto l’impresa avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dall’amministrazione, e ciò perché l’attività non è stata svolta, il procedimento non ha avuto seguito e non può darsi per verificato un evento – l’avvio e lo svolgimento per tutta la durata prevista dall’attività di impresa in regime di incentivo - nei tempi pregiudicati dall’attività amministrativa.
VIII. Le prospettive
La pronuncia della Plenaria in materia di perdita di “chance” risale ormai al 2018 e, nelle more, ha indotto qualche approfondimento sul tema.
Una più recente sentenza[39] valorizza, ad esempio, per caratterizzare la fattispecie, l’accertamento della “violazione di una norma di diritto pubblico, che, non ricomprendendo nel suo raggio di protezione l’interesse materiale, assicura all’istante soltanto la possibilità di conseguire il bene finale. L’ingiustizia del nocumento assume ad oggetto soltanto il quid giuridico, minore ma autonomo, consistente nella spettanza attuale di una mera possibilità” [40].
Il Consiglio di Stato rimarca anzitutto la differenza tra le fattispecie civilistiche che ricostruiscono le vicende partendo dalla causalità (in avanti) rispetto al risultato sperato e dunque alla elevata probabilità di realizzazione dello stesso, specie in casi di deficit cognitivo sul processo eziologico [41].
La perdita di “chance” prospetta invece un’ipotesi assai ricorrente di danno solo ipotetico”, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato.
In tali casi, pur essendo certa la contrarietà al diritto della condotta di chi ha causato la perdita della possibilità, non è conoscibile l’apporto causale rispetto al mancato conseguimento del risultato utile finale [42].
La conclusione è che il risarcimento della “chance” perduta è dunque “il controvalore della mera possibilità già presente nel suo patrimonio, di vedersi aggiudicato un determinato vantaggio, e dunque l’an del giudizio deve consistere soltanto nell’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e l’evento lesivo consistente nella perdita della possibilità. La tecnica probabilistica va quindi impiegata non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, ma per misurare in modo equitativo il valore economico della stessa, in sede di liquidazione del quantum risarcibile. Anche se commisurato ad una frazione probabilistica del vantaggio finale, il risarcimento è pur sempre compensativo non del risultato sperato ma della privazione della possibilità di conseguirlo”.
Ma, aggiunge il Collegio, “la chance perduta deve essere seria” e “la possibilità di realizzazione del risultato utile deve rientrare nel contenuto protettivo delle norme violate, onde evitare di riconoscere valore giuridico a chances del tutto accidentali”.
Si tratta, a ben vedere, di indirizzo del tutto in linea con la giurisprudenza della Cassazione che esclude l’ammissibilità di azioni bagattellari o emulative e la risarcibilità delle chances se le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo.
Sulla stessa linea si pone altra recentissima pronuncia [43], che anzitutto richiama la precedente sentenza n. 4247/2021 sulla astratta sussistenza dei presupposti per la tutela del danno da perdita di “chances” in capo al richiedente nella sua qualità di operatore specializzato [44] e rimarca che “le norme sull’evidenza pubblica attribuiscono posizioni individuali ai privati e la loro violazione è fonte di lesione della chance di concorrere all’affidamento del contratto ad esse correlata” [45].
Questo punto di partenza innesca un percorso argomentativo serrato che possiamo così sintetizzare:
- la “chance” è già presente nel patrimonio dell’operatore economico, poiché insita nell’aspettativa, giuridicamente tutelata, al rispetto degli obblighi di evidenza pubblica da parte delle amministrazioni ad essi soggette;
- detta “chance” costituisce una posizione giuridica soggettiva qualificata dalla legge e dunque suscettibile, se lesa, di integrare il presupposto del danno ingiusto (contra ius) richiesto dall’art. 2043 c.c.;
- la lesione derivante dalla mancata attivazione dei moduli dell’evidenza pubblica consiste nel fatto illecito produttivo del danno ingiusto di tale aspettativa giuridicamente qualificata;
- l’impossibilità, da parte dell’operatore economico, di dimostrare una “chance” superiore ad altri possibili concorrenti, ovvero un grado più o meno elevato di probabilità di conseguire l’aggiudicazione, è imputabile all’amministrazione che abbia violato tali schemi di azione (con significativa imputazione dell’onere probatorio sul danneggiante, benché si verta in tema di responsabilità aquiliana; una volta accertata la lesione, consistente nella violazione di legge a “protezione” della chance, incombe sull’Amministrazione la prova che la possibilità di conseguimento del vantaggio finale fosse in realtà insussistente o trascurabile);
- non è pertanto esigibile dall’operatore economico danneggiato, se non attraverso una prova diabolica tale da vanificare i principi eurounitari di effettività e non discriminazione dei rimedi previsti in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici, una dimostrazione ulteriore rispetto alla propria qualità di soggetto in grado di eseguire il contratto, (scorrettamente) affidato senza gara;
- il mancato rispetto degli obblighi di evidenza pubblica costituisce la violazione più grave nel settore dei contratti della pubblica amministrazione;
- il rimedio risarcitorio, quando non possono essere accordati quelli maggiormente dissuasisi della privazione degli effetti del contratto o delle sanzioni pecuniarie nei confronti dell’amministrazione, si pone come strumento fondamentale per assicurare l’effettività dei rimedi giurisdizionali in materia, in assenza del quale vi sarebbe un vuoto di tutela per una situazione giuridica qualificata dalla legge [46];
- non è ravvisabile alcuna iperprotezione della “chance” di aggiudicazione rispetto al diritto dell’aggiudicazione in sé, ottenibile in caso di affidamento all’esito di procedura di gara dichiarata illegittima; nel secondo, l’equivalente monetario può giungere fino al 100% del mancato utile ritraibile dall’esecuzione del contratto, mentre nel primo questo va scontato in base al grado di incertezza degli esiti di una gara mai esperita a causa e per colpa dell’amministrazione;
- il fattore di correzione quantitativa che rende la “chance” di aggiudicazione un minus rispetto al diritto all’aggiudicazione è dato dal numero di operatori economici potenziali aspiranti alla commessa pubblica affidata senza gara e che invece a quest’ultima avrebbero potuto concorrere se l’Amministrazione non si fosse sottratta agli obblighi su di essa gravanti;
- ne segue una sentenza di condanna ex art. 34 c.p.a., individuando, quali criteri di determinazione del danno, l’entità della “chance” ricavabile dalle caratteristiche del mercato, l’andamento di procedure simili, le percentuali di utile sulla base dei dati ricavabili dalla gestione del servizio, la base dei costi differenziali connessi alle attività svolte, il valore dell’affidamento e la durata della convenzione.
La materia degli appalti, naturalmente, non esaurisce il possibile perimetro di applicabilità della problematica.
Il pubblico impiego, coerentemente con le applicazioni gius-lavoristiche, costituisce diverso altro ambito applicativo.
Curiosamente, con esiti differenti.
Una recente pronuncia, in materia di perdita di chances sui possibili sviluppi di carriera, ad esempio, prende decisa posizione in favore della teoria eziologica [47].
A valle della problematica all’esame sta poi la questione della quantificazione del danno da perdita di chances.
Ove si ritenesse l’autonomia della figura, dovrebbe coerentemente scindersi il più possibile la quantificazione del danno dalla consistenza del bene della vita sperato e in alcuni casi il legislatore ha ipotizzato forme di indennizzo forfettario, presuntive dell’ammontare del pregiudizio correlato alla perdita di chance [48].
Si tratta però di settori speciali, essendo difficilmente ipotizzabile una generalizzazione.
L’impressione è, però, che la giurisprudenza tenti di valorizzare il proprium del diritto pubblico a partire dall’individuazione della ratio delle relative norme.
Il percorso suggerito dall’Adunanza Plenaria non è agevole e presuppone lo smarcamento dalla giurisprudenza civilistica ma anche la consapevolezza della praticabilità di percorsi alternativi e, per certi versi, del tutto inediti.
Occorrerebbe, probabilmente, una riflessione più approfondita sulle peculiarità del rapporto di diritto amministrativo che già riconosce, nell’interesse procedimentale, una posizione legittimante e tutelabile quantomeno alla conclusione del procedimento, se non al suo esito, che attiene invece all’interesse legittimo sostanziale (nella forma pretensiva).
L’interesse oppositivo, invece, forse potrebbe trovare qualche motivo di attinenza con la figura della “chance” conosciuta nel diritto civile, come naturale proiezione della situazione data, illegittimamente impedita dall’intermediazione pubblica.
Il rilievo che potrebbe attribuirsi all’interesse procedimentale potrebbe, peraltro, costituire il grimaldello per distinguere la “chance” dall’interesse legittimo sostanziale (pretensivo o oppositivo).
Resta forse da chiarire se la chance è da riconoscere in ogni interesse procedimentale, come suggerito da autorevole dottrina [49] o se una volta esclusa l’annullabilità per vizi meramente procedimentali debba essere esclusa anche la “chance”, per non incorrere nella iperprotezione della situazione non tutelata sostanzialmente dall’ordinamento; se l’esito non può essere diverso, infatti, ciò vale a significare che non vi è neppure la “minima chance”, se non a condizione di un “abuso” del procedimento, di ottenere il risultato utile.
E naturalmente resta da chiarire il rapporto tra la chance/interesse strumentale e la quantificazione del danno in caso di sua lesione; se, come sembra probabile, non potrà essere eluso il riferimento al bene della vita cui in definitiva l’interesse è, per definizione, strumentalmente rivolto, potremmo invero ritrovarci con le medesime aporie con cui la tematica si è finora confrontata.
[1] Come noto, le società di “rating” calcolano il valore di un sistema proprio sulla base delle sue potenzialità future.
[2] “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
[3] Come hanno dimostrato i ben noti teoremi di incompletezza di Godel e il principio di indeterminazione di Heisemberg.
[4] Cass., sez. lav., 10.1.2007, n. 238: “il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione”.
[5] Cass. civ., n. 23846/2008: “Quando sia fornita la dimostrazione, anche in via presuntiva e di calcolo probabilistico, dell’esistenza di una chance di consecuzione di un vantaggio in relazione ad una determinata situazione giuridica, la perdita di tale chance è risarcibile come danno alla situazione giuridica di che trattasi indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione”.
[6] Cass. civ., cit.: “La idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta consecuzione è, viceversa, rilevante soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa, posto che nel primo caso il valore della chance è certamente maggiore che nel secondo e, quindi, lo è il danno per la sua perdita, che, del resto, in presenza di una possibilità potrà anche essere escluso, all’esito di una valutazione in concreto della prossimità della chance rispetto alla consecuzione del risultato e della sua idoneità ad assicurarla”.
[7] cfr. sentenze riportate nelle note precedenti.
[8] Cass. civ., n. 6488/2017, che cita la precedente Cass. civ., n. 1752/2005.
[9] Ancora Cass. civ., n. 6488/2017.
[10] Cass. civ., n. 7868/2011, secondo cui occorre considerare le “opportunità di guadagno e di lavoro, oltre che di maggiori gratificazioni personali e sociali, che il ricorrente avrebbe potuto conseguire con la prosecuzione degli studi”.
[11] Così ancora la Cassazione civile nella sentenza citata nella nota precedente: “il danno risarcibile al lavoratore va ragguagliato alla probabilità di conseguire il risultato utile, al qual fine è sufficiente la ragionevole certezza dell’esistenza di una non trascurabile probabilità favorevole (non necessariamente superiore al 50%)”.
[12] Potrebbe osservarsi che, ragionando in tal modo, la “chance” è solo un modo per compensare il “deficit” cognitivo riferito al nesso di causalità tra condotta lesiva ed evento dannoso; non potendo imputare con certezza l’evento finale alla condotta, si preferisce imputare a questa, anche a fronte di un giudizio di non piena certezza ma di sola probabilità, la “perdita di chance”, ossia una fase intermedia, più o meno avanzata, di acquisizione del bene.
[13] Si accede così ad un “giudizio causale attenuato”, secondo l’indirizzo fatto proprio dalla Cassazione penale a sezioni unite nel leading case noto come “caso Franzese” (Cass., sez. u., pen., 10.7.2002, n. 31328), nel quale si è riconosciuta la perdita di guadagno come causalmente riconducibile alla condotta dell’agente, anche in carenza di alta probabilità o certezza logica sul piano causale.
[14] Cass. 4 marzo 2004, n. 4400.
[15] “Per questa via è dunque possibile ritenere sempre rilevanti quei comportamenti che diminuiscano in modo apprezzabile, ancorché non probabilisticamente rilevante, la possibilità di sopravvivenza”; cfr. Cass. cit.
[16] Cass. civ.. 18 aprile 2007, n. 9238.
[17] Cass., sez. lav., 18 gennaio 2006, n. 852.
[18] P. Lotti, Il risarcimento del danno da perdita di chance in “Il Libro della giustizia amministrativa”, 2021, pag. 412 e segg.: “per un verso … le domande di risarcimento del danno da lesione di un diritto soggettivo e da lesione di un interesse legittimo non sono riconducibili ad un unico paradigma di risarcibilità, poiché le due posizioni soggettive non sono affatto omologhe ma, anzi, si distinguono profondamente. Alla differente tipologia di pregiudizio corrisponde un diverso criterio di quantificazione. Inoltre, è ovvio che l’accertamento del danno risarcibile per equivalente, non solo sotto il profilo dell’an, ma anche del quantum, pone problemi probatori differenziati a seconda che si verta in tema di interessi oppositivi o di interessi pretensivi”.
Il risarcimento del danno da lesione di interesse oppositivo sarà intuitivamente più simile al risarcimento riconosciuto dalla giurisprudenza civile. Nel caso dell’interesse pretensivo, le regole saranno probabilmente diverse.
[19] “La possibilità di conseguire un risultato utile, unita alla protezione normativa del connesso interesse, è connotato dell’interesse legittimo, ma l’analogia si ferma qui, giacché la chance nel significato tecnico che è proprio del linguaggio della responsabilità civile è un bene sui generis, che preesiste alla condotta lesiva ma che, al tempo stesso, prende consistenza giuridica nel momento nel quale viene sottratto illegittimamente: l’antigiuridicità della condotta che è causa della perdita costituisce elemento essenziale per il venir in essere della chance intesa come bene suscettibile di autonoma tutela (ancora Lotti, cit.).
[20] Consiglio di Stato, VI, n. 5323/2006.
[21] Ivi si legge: “Non essendovi prova possibile dell’aggiudicabilità della gara all’ATI ricorrente, in ragione del metodo discrezionale di aggiudicazione, l’interesse pretensivo violato deve essere stimato come una perdita di chance di aggiudicazione, parametrabile non solo alla perdita di quote di mercato, ma anche alla possibilità di aggiudicazione concretamente raggiunta nella specie.”
[22] “La chance, secondo questa prospettiva ricostruttiva, si pone quale bene patrimoniale a se stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, e deve essere distinta, sul piano ontologico, dagli obiettivi rispetto ai quali risulti teleologicamente orientata e di cui possa costituire la condizione o il presupposto in potentia” (cfr. Cons. di Stato, cit.). Dunque, risarcibilità della perdita di chance scissa dall’interesse pretensivo, autonomamente tutelato e reintegrato in forma specifica con l’ordinata rinnovazione, che non riproduce la stessa situazione iniziale (la stessa chance, si direbbe) ma genera, di fatto, una “seconda chance”.
[23] “Ne consegue che la lesione della “entità patrimoniale chance” formerà oggetto di valutazione ai fini del riconoscimento di un risarcimento del danno, in termini di probabilità, definitivamente perduta, a causa di una condotta illecita altrui, senza dover fare alcun riferimento al risultato auspicato e non più realizzabile ed alla consistenza del suo assetto potenziale”. Non si tratterebbe, dunque, di lucro cessante, risarcibile quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, la chance persa aveva notevole possibilità di giungere a buon fine.
La richiamata sentenza, con evidenza, già ripercorre lucidamente tutte le questioni che si svilupperanno al riguardo ed anzi pone problematiche non più approfondite nel prosieguo.
Quanto al sistema probatorio applicabile, ad esempio, perché, aderendo all’impostazione “ontologica”, sarebbe sufficiente dimostrare la semplice probabilità della chance, accompagnata dalla constatazione che il bene anelato è oramai irrimediabilmente perso e dall’accertamento del nesso eziologico tra la condotta e l’evento lesivo, consistente nell’elisione di quell’entità patrimoniale, avente autonoma rilevanza giuridica ed economica, rappresentata dall’utilità potenziale che si assume lesa; per la seconda ricostruzione interpretativa (tesi eziologica), sarebbe invece necessario provare che la chance persa avrebbe condotto al sorgere ex novo di una situazione soggettiva di vantaggio avente propria rilevanza patrimoniale con un grado di verosimiglianza vicino alla certezza; occorre cioè dimostrare che si sarebbe verificato un evento positivo per il danneggiato con rilevante probabilità, ove lo stesso non avesse subito il pregiudizio cagionato dalla condotta contra legem.
[24] cfr. Cons. di Stato, VI, n. 686/2002. Del resto, anche il danno c.d. “bagattellare” (cioè quello di minima consistenza) è escluso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. La differenza è che in questo caso il danno bagattellare è desunto dalla “minima possibilità di successo”, ad ulteriore riscontro della rilevanza, comunque, della consistenza probabilistica della chance.
[25] Il Collegio si chiede anche come incida la discrezionalità sull’esito del giudizio prognostico, all’uopo distinguendo tra ipotesi di attività vincolata, tecnico-discrezionale e discrezionale pura.
[26] cfr. Cons. di Stato, VI, 15.4.2003, n. 1945.
[27] Evidente è l’aleatorietà, se non l’arbitrarietà, di siffatto criterio. La maggiore o minore probabilità del verificarsi di un evento non incide sulla “concretezza” della lesione, che va riguardata ex ante. Anche la “minima chance” può trovare possibilità di essere verificata. Manca poi un dato normativo al quale ancorare la percentuale minima di riconoscimento dell’entità chance, lasciando al singolo decisore la responsabilità di graduare l’entità della chance rilevante.
[28] cfr. Adunanza Plenaria, ord. n. 7/2018.
[29] TAR Lazio, n. 4997/2012.
[30] Cfr. Cons. di Stato, V, sentenza n. 118/2018, non definitiva.
[31] La stessa sentenza non definitiva (cfr. nota precedente) aveva accertato in effetti “un rapporto di causa ed effetto tra l’affidamento senza gara a T. e la perdita della chance di aggiudicazione dello stesso vantata da F. nell’eventuale procedura di gara, quale operatore economico del medesimo settore, (che) appare ravvisabile sulla base del fatto che l’illegittimità del primo - oramai non più controvertibile – ha impedito all’originario ricorrente di concorrere per lo stesso sulla base dei moduli di evidenza pubblica. Il profilo in questione è orami acclarato e non può ancora essere messo in discussione sulla base di diverse soluzioni “(cfr. Ad.pl. cit., punto V.15).
Quantificava addirittura la consistenza della chance nella misura del 20%, “derivante dall’esistenza di cinque operatori qualificati nel mercato dei servizi di comunicazioni elettroniche per le pubbliche amministrazioni”.
[32] Ad. Pl. cit., punto 2.1. della motivazione.
[33] n. 7/2021.
[34] Si può dire che riguardi il primo degli elementi della griglia indicata dalla Plenaria n. 7/2018, e cioè la “qualificazione della natura giuridica della questione”.
[35] Caso originato dal ritardo (oltre tre anni) nel provvedere al rilascio di autorizzazione di realizzazione e gestione di impianti fotovoltaici, che aveva determinato la perdita di chance definitiva perché l’investimento sarebbe diventato antieconomico per effetto delle modifiche del regime di accesso al regime tariffario incentivante previgente.
[36] Osserva opportunamente l’Adunanza plenaria che non può semplicisticamente ritenersi la sopravvenienza normativa (nella specie, abrogativa del regime incentivante) come automaticamente escludente la responsabilità della P.A: “se è vero che, nella dinamica dei rapporti giuridici, la sopravvenienza normativa è in sé un factum principis, in grado pertanto di escludere l’imputazione soggettiva delle relative conseguenze pregiudizievoli, nondimeno l’ingiustificato ritardo nel rilascio del provvedimento ingenera …una responsabilità in capo all’amministrazione coerente con la funzione dei termini del procedimento, consistente nel definire un quadro certo relativo ai tempi in cui il potere pubblico deve essere esercitato e dunque è ragionevole per il privato prevedere che sia esercitato nel settore della realizzazione degli impianti in questione .. a tali considerazioni di ordine generale si aggiunga che ilo regime incentivante connesso al ricorso a fonti rinnovabili di produzione energetica fa assurgere l’investimento privato a fattore chiave, destinato a ricevere tutela secondo le descritte norme di azione dei pubblici poteri principalmente attraverso la definizione di tempi certi per il rilascio dei necessari titoli autorizzatori.
[37] Cfr. Corte. Cost., n. 204/2004.
[38] Cfr. Ad. Pl. n. 7/2021.
[39] Cons. di Stato, VI, 13 settembre 2021, n. 6268; si veda, in particolare, il paragrafo 6.1.
[40] La sentenza riforma la pronuncia di primo grado che aveva sposato la tesi eziologica affermando che “al disotto del livello dell’elevata probabilità, non sussiste che la “mera possibilità” che è solo un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione, perché non distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto. Anche in questo caso, si lamentava l’illegittimità di illegittime proroghe (relative a servizio di trasporto pubblico locale) e il mancato possibile affidamento diretto o in esito a procedura di gara.
[41] Si pensi alle ipotesi civilistiche in cui su base probabilistica (del più probabile che non) è affermata la responsabilità dei sanitari sulla diminuzione delle chance di sopravvivenza rispetto alla somministrazione o meno di una determinata terapia ovvero alla ritardata erogazione delle cure.
[42] Il caso, frequente nella casistica giudiziaria, potrebbe essere quello della mancata gara pubblica a fronte dell’incertezza sul numero dei possibili competitores; sarebbe assai difficile, se non impossibile, calcolare le chances di successo se il riferimento fosse al bene finale (aggiudicazione). Non è dubbio, però, che, se la gara è mancata, il potenziale concorrente non è stato posto in condizione di parteciparvi; gli è stata preclusa la possibilità stessa di “giocare”.
[43] Cons. di Stato, V, n. 2201/2022, pubblicata il 25 marzo 2022, che riforma TAR Lombardia – Milano, I, n. 645/2021.
Il caso origina ancora da un affidamento senza gara (in tema di servizi automobilistici sub specie di gestione di tasse automobilistiche, concesse in via diretta all’ACI). Il primo giudice aveva respinto l’istanza cautelare stante la difficoltà di proseguire nelle more il servizio e aveva rigettato la domanda risarcitoria ritenendo soddisfatta la pretesa dalla possibilità per l’operatore economico di partecipare all’indicenda gara.
Il giudice di appello accoglie l’appello incidentale, proposto dal ricorrente in primo grado (vittorioso nel segmento impugnatorio) ritenendo non integralmente satisfattiva la pronuncia di annullamento e la tutela specifica (costitutiva) dell’interesse pretensivo,
[44] cfr. punto 9.5 della decisione.
[45] cfr. punto 9.6 della decisione.
[46] Il riferimento espresso è a Corte di giustizia UE 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz.
[47] cfr. Cons. di Stato, V, n. 1277/2022, pubblicata il 22 febbraio 2022; “7.1. 2 superata la teoria ontologica secondo cui la risarcibilità sarebbe svincolata dalla idoneità presuntiva della chance ad ottenere il risultato finale, si è affermato il diverso indirizzo c.d. eziologico legato al criterio della c.d. causalità adeguata o regolarità causale e/o probabilità prevalente.
Il danno da perdita di chance può essere in concreto ravvisato e risarcito solo con specifico riguardo al grado di probabilità che in concreto il richiedente avrebbe avuto diritto di conseguire il bene della vita o cioè in ragione della maggiore o minore probabilità dell’occasione perduta.”
In concreto viene negata la risarcibilità perché presuppone la concreta prestazione del servizio che non c’è stata e comunque manca una prova certa.
Mi sembra, tuttavia, che il caso risenta dell’inerenza a controversia lavoristica e dunque dell’influenza della giurisprudenza della Cassazione.
[48] cfr. art. 6 T.U. n. 165/2001, che individua una presunzione di legge circa l’ammontare del pregiudizio correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile in caso di mancata stabilizzazione del lavoratore impegnato in continui rinnovi di contratti a termine; su cui si veda Cass., sez un., n. 5072/2016). Sulla natura dell’istituto come strumento equivalente che esonera il lavoratore dell’onere della prova fermo il diritto di provare danni ulteriori si veda anche Cons. di Stato, VI, n. 2298/2022
[49] E. Follieri, “L’ubi consistam della perdita di chance nel diritto amministrativo”; relazione tenuta nel corso del medesimo incontro che ha originato il presente scritto e già pubblicata sul sito internet della G.A.