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Inquinamento e criterio della massima diligenza

a cura di di Luisa Monti e Giuseppe Li Vecchi, funzionari in servizio presso il TAR Toscana • mag 20, 2024

Sentenza del T.a.r. Toscana n. 270 del 2023


IL CASO E LA DECISIONE

Oggetto dell’impugnazione erano due ordinanze di rimozione e smaltimento rifiuti emesse dal Sindaco del Comune di Pontedera, ex art. 192 del D.lgs. 152 del 2006.

Le ordinanze si riferivano ad un’area edificabile, nel Comune di Pontedera, di proprietà di una società a responsabilità limitata.

La ricorrente era invece intervenuta nel cantiere, successivamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, per la stesa del materiale di riempimento di alcune aree e di quello della pista di cantiere (c.d. di arrocco). Per realizzare tale pista che consentisse il transito dei mezzi pesanti erano stati utilizzati materiali “aggregati riciclati da trattamento di residui industriali”. 

Nel febbraio 2017, nell’ambito delle campagne di controllo dell’ARPAT su alcuni materiali utilizzati per tali lavori, erano state individuate delle sostanze inquinanti. 

In particolare, per realizzare la pista di cantiere era stato utilizzato il Keu, risultato contaminato da Cromo. Il Keu è un derivato del trattamento fanghi da concia di pellami, il cui uso è lecito se corrisponde ai parametri di legge. Nel caso in esame, il Keu proveniente dall’impianto di trattamento e riciclaggio di Pontedera, di proprietà di una terza società, sebbene accompagnato da regolari certificati, si era rivelato contaminato.

Il Comune di Pontedera nel 2017 ha quindi avviato il procedimento di bonifica relativamente a tutta l’area di cantiere, sviluppatosi con l’elaborazione, da parte della proprietaria, del Piano di caratterizzazione e poi del Progetto di messa in sicurezza di emergenza (MISE), con i quali si confermava che i materiali impiegati dalla società intervenuta nel cantiere per l’esecuzione della pista del medesimo cantiere rappresentavano una grave fonte di contaminazione. 

Nel luglio del 2022, il sindaco di Pontedera ha ordinato a tale società e alla proprietaria di provvedere in solido, secondo l’art. 192 del D.lgs. n. 152 del 2006, alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti, cioè degli “aggregati riciclati di origine industriale” depositati sulla pista di cantiere e nelle aree interessate da spargimenti superficiali, ed infine di provvedere al tempestivo smaltimento di tali materiali secondo un cronoprogramma da sottoporre preventivamente all’amministrazione comunale e all’ ARPAT. 


Il punto centrale della questione sottoposta al giudizio del T.a.r. ha riguardato il tipo di responsabilità della ricorrente, che aveva realizzato la pista di arrocco mediante lo spianamento e lo spandimento di materiale risultato non conforme ai parametri normativi, pur se dotato di certificazioni d’idoneità, all’uso previsto, apparentemente valide. Occorreva cioè stabilire se il responsabile della violazione del divieto di abbandono di rifiuti, di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, potesse essere individuato in chi avesse compiuto l’azione di deposito/spargimento dei rifiuti sul suolo prescindendo da ogni valutazione di colpevolezza, ovvero se si richiedesse anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, e quindi, nella fattispecie, la consapevolezza della natura di rifiuto (cioè della non conformità) del materiale depositato e dunque dell’effetto inquinante dell’azione compiuta.

Il codice dell’ambiente all’art. 3-ter menziona espressamente il principio comunitario del “chi inquina paga”. Si tratta di un punto fondamentale posto a base della politica ambientale dell’UE, secondo il quale chi inquina deve sostenere i costi dell’inquinamento, compresi quelli delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento. Dunque, chi inquina è incentivato ad evitare danni ambientali, ed è considerato responsabile del danno causato. Il soggetto che provoca un danno ambientale deve, quindi, intraprendere le necessarie azioni di prevenzione e o di riparazione e deve sostenere tutti i relativi costi. 

La responsabilità da danno ambientale, ha osservato il Giudice adito, è un tipo di responsabilità ascrivibile alla più generale categoria della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cc., secondo cui qualunque fatto dolo o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. 

Nella fattispecie, posto che la ricorrente non aveva svolto un’attività pericolosa, ma una comune attività di natura edilizia, elemento indispensabile della fattispecie era, pertanto, l’elemento soggettivo: chi ha agito con dolo o colpa è tenuto a fare fronte alle conseguenze delle proprie azioni; dunque, colui che ha agito, consapevolmente nelle proprie azioni e determinazioni, è tenuto a fare fronte alla situazione di inquinamento. 

Secondo il T.a.r. Toscana, l’art. 192 del codice dell’ambiente presuppone dunque di norma (ovvero salvo che venga all’attenzione un’attività pericolosa) una responsabilità quantomeno a titolo di colpa sia per l’autore della condotta di deposito e abbandono di rifiuti sia per il proprietario del terreno, disponendo al comma 3 che “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa”.

Peraltro, il fatto che il terzo comma dell’art. 192 richieda espressamente che la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa solo con riferimento al proprietario o al titolare di diritti reali, non significa che per gli altri responsabili l’elemento soggettivo non sia richiesto, ma solo che per il proprietario che non ha commesso materialmente l’illecito, il nesso di responsabilità può essere di tipo meramente psicologico (e non eziologico). Piuttosto, l’art. 192 presuppone che chi deposita o sparga rifiuti sul suolo violando il relativo divieto, come normalmente accade nella maggioranza dei casi, sia consapevole dell’illiceità dell’azione commessa, e in particolare della natura di rifiuto della sostanza o dell’oggetto depositato o sparso. 

L’art. 192 richiede dunque in capo all’autore la consapevolezza della dannosità per l’ambiente dell’azione commessa o la possibilità di acquisire tale consapevolezza utilizzando la diligenza richiesta dalle circostanze concrete; cioè che gli sia addebitabile, in questi termini, un comportamento quantomeno colposo. 

Nel caso di specie, secondo il Collegio, alla ricorrente non poteva essere mosso alcun rimprovero circa l’utilizzo del Keu che proveniva dall’impianto di trattamento e riciclaggio di una terza società. Quest’ultima aveva infatti certificato la natura non inquinante del materiale, che era compatibile con la qualità dei test di cessione richiesti dalla proprietaria per tutti i materiali in ingresso in cantiere. La ricorrente aveva perciò agito utilizzando il criterio della massima diligenza, riponendo un legittimo affidamento sulla veridicità e sull’esattezza delle certificazioni, utilizzando un prodotto fino a prova contraria lecito e liberamente circolante sul mercato. Pertanto, non sussistendo alcuna forma di responsabilità dolosa o colposa e trattandosi di un’attività non pericolosa, secondo il T.a.r. Toscana il provvedimento di rimozione dei rifiuti emesso ex art. 192 del codice dell’ambiente era da considerarsi illegittimo.

Va evidenziato tuttavia che di diverso avviso, su tale punto decisivo, è stato invece il giudice di appello (Cons. Stato, Quarta sez., 3 gennaio 2024, n. 108), che ha riformato la sentenza in commento rilevando invece un profilo di colpa della ricorrente nella mancata concreta verifica della conformità del materiale utilizzato alle concentrazioni di contaminazione, e rilevando la mancata dimostrazione in giudizio del fatto che i lotti di materiale utilizzato per la realizzazione della pista di cantiere fossero muniti delle specifiche ed esatte certificazioni di qualità richieste per procedere al loro impianto. 



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