TAR Liguria, Sez. I, 5.12.2024, n. 843
IL CASO E LA DECISIONE
Nessuno si è mai interrogato nei Tribunali sulla natura giuridica di un evento nazionalpopolare come il Festival di Sanremo o sulle dinamiche che stanno alla base dell’affidamento dello stesso alla RAI, fino a quando una società di edizione musicale, di produzione e realizzazione di eventi e opere di carattere musicale ha trasmesso al Comune di Sanremo una manifestazione di interesse volta ad acquisire la titolarità dei diritti di sfruttamento economico e commerciale del Festival di Sanremo e del relativo Marchio, stante la scadenza al 31.12.2023 della Convenzione stipulata tra RAI e Comune di Sanremo per lo svolgimento delle edizioni 72 e 73 del Festival. In particolare, la ricorrente si attendeva che, in vista dell’edizione 74 il Comune avviasse una procedura ad evidenza pubblica per individuare l’operatore economico che dovesse svolgerla.
La società ricorrente ha, così, impugnato gli atti inerenti la bozza di convenzione con cui il Comune di Sanremo ha concesso alla RAI l’uso esclusivo del Marchio “Festival della Canzone Italiana” per lo svolgimento delle edizioni 74 e 75 del Festival, e la successiva dichiarazione di improcedibilità della manifestazione di interesse della ricorrente stessa.
In sintesi, il quesito giuridico principale alla base del giudizio ha riguardato la sussistenza o meno di un obbligo per il Comune di Sanremo di indire una procedura di evidenza pubblica per la concessione in uso esclusivo del suddetto Marchio. La risposta negativa o positiva del TAR a tale interrogativo consoliderebbe o caducherebbe la convenzione nelle more stipulata per le edizioni 74 e 75 del Festival, con un effetto dirompente sulla gestione dei prossimi eventi già in programma.
Per poter rispondere a tale quesiti il TAR, nonostante il sovrapporsi di differenti atti di ricorso e di diversi giudizi, ha seguito un percorso ricostruttivo interessante con una sentenza chiara e di facile lettura, sebbene lunga.
Innanzitutto, il primo tema affrontato dal giudice riguarda la sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al ricorrente. L’eccezione di inammissibilità proposta dalla RAI viene superata dal TAR, che ravvisa la legittimazione ad agire della ricorrente, trattandosi di impresa che svolge la propria attività nel settore oggetto dell’affidamento di cui si contestano gli atti, e a prescindere dalla circostanza, non rilevante ai fini dell'eccezione proposta, che tale società non possedesse in concreto, per fatturato e personale, "i requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnico - professionale richiesti per l’organizzazione di un evento di portata, complessità e rilevanza notevoli, quale il Festival di Sanremo".
Nel merito, il giudizio si incentra sulla valutazione di legittimità della scelta del Comune di Sanremo di procedere ad affidare la concessione del Marchio - suscettibile di sfruttamento economico e costituente un’opportunità di guadagno che per chi lo usa -, in via diretta alla RAI tramite una convenzione, invece che a seguito di pubblicazione di un bando e della correlativa procedura ad evidenza pubblica.
Stando alla convenzione di utilizzo, a fronte del pagamento di un corrispettivo al Comune, alla RAI spetta l’organizzazione e lo svolgimento del Festival, che avviene sulla base di un programma redatto dalla RAI, a cui il Comune può presentare osservazioni limitatamente alle “violazioni dell’identità del Marchio”. Un potere del Comune meno incisivo rispetto al passato, quando lo stesso Ente doveva approvare il programma e aveva un ruolo di controllo più invasivo sulle scelte dell’emittente televisiva.
La convenzione tratta anche altri aspetti. Tra i più rilevanti: lo sfruttamento commerciale del Marchio, tramite attività di merchandising, oppure l’utilizzo per 80 giorni nell’arco di due anni dei locali del Teatro Ariston e del Palafiori di Sanremo.
In sintesi, analizzando la convenzione appare evidente che si tratta di un contratto attivo (o concessione di bene pubblico costituito dal Marchio, secondo altra ricostruzione), che garantisce da un lato un corrispettivo significativo al Comune e dall'altro un’opportunità di guadagno alla RAI.
D'altra parte, a fronte del corrispettivo pattuito, in parte destinato all’acquisizione di prestazioni da parte di terzi, il Comune si obbliga, per un verso, ad eseguire una pluralità di prestazioni eterogenee che vanno ben oltre la mera concessione dell’uso in esclusiva del Marchio, ma fruisce, anche, per altro verso, di percentuali prestabilite di ricavi conseguiti da RAI.
La natura di contratto attivo della Convenzione esclude l'applicabilità alla fattispecie della disciplina del d.lgs. n. 36/2023 (art. 13 comma 2), ma non la soggezione della stessa ai principi di cui agli artt. 1 (risultato), 2 (fiducia) e 3 (accesso al mercato) del Codice (art. 13 comma 5). La procedura, quindi, dovrebbe avvenire nel rispetto dei principi di concorrenza, trasparenza, non discriminazione, pubblicità, trasparenza, proporzionalità e imparzialità.
Tutti principi che il TAR ritiene violati nel caso di specie, stante la scelta del Comune di affidare in via diretta a RAI, tramite convenzione, la gestione del Festival 74 e 75.
Messa questa base all’intero ragionamento, il TAR approfondisce le varie argomentazioni spese dal Comune e dalla RAI per verificare se ci fossero in concreto i presupposti per prescindere alla procedura di evidenza pubblica e legittimare il procedimento seguito dal Comune. Qui risiede il fulcro di interesse e novità della decisione.
RAI, infatti, sostiene di detenere il format dello schema della manifestazione: periodo, luogo, conduttori, cantanti, serate, consegna dei premi, scenografia, ecc.… Di conseguenza, la stessa RAI avrebbe la titolarità esclusiva dei diritti di utilizzo del format che non discenderebbero dalla concessione di utilizzo del Marchio da parte del Comune.
La combinazione di format e Marchio darebbe vita, secondo l'impostazione della RAI, a una specie di comunione del diritto di proprietà sul format. Dunque, il Festival sarebbe la sintesi o la somma di essi, che non potrebbero esistere singolarmente e senza l’accordo dei due “condomini” (così, nelle parole del TAR). Secondo questa tesi, il Marchio non potrebbe essere associato ad un format diverso, ad esempio quello proposto da una società differente da RAI.
Il TAR non ha condiviso tale tesi, innanzitutto facendo leva sull’orientamento civilistico attualmente prevalente, secondo cui la tutela delle opere dell’ingegno non è riconducibile agli schemi dei diritti reali, ma a quelli della personalità o, meglio, a un tertium genus non assimilabile comunque ai diritti reali.
In secondo luogo, il TAR ha rilevato che la tesi della comunione presentata dalla RAI contrasta con la disciplina della comunione ordinaria, stante il fatto che gli artt. 1100 e ss. c.c. delineano una comunione pro quote in cui ogni comunista ha la titolarità di una quota ideale del bene e non il diritto di sfruttamento esclusivo del bene stesso.
In terzo luogo, il TAR ha precisato che non è in contestazione l’interesse all’utilizzo del format di RAI, bensì lo sfruttamento del Marchio che non appartiene a RAI. Infatti, interesse del ricorrente è che venga bandita una procedura per l’uso del Marchio, dove ogni concorrente presenterà un suo format per la gestione dell’evento.
Rispetto a tale argomento è bene spiegare, come rileva il TAR, che la titolarità del Marchio è del Comune di Sanremo che negli anni 2000 lo ha registrato, senza che la RAI si sia opposta nel relativo termine quinquennale (di cui all’art. 28 d.lgs. n. 30/2005). Tanto che la RAI stessa, corrispondendo un canone al Comune per l’uso del Marchio ne riconosce la titolarità altrui.
Da questa evidenza, il TAR ne fa conseguire che, essendo il marchio generalmente un segno che identifica un prodotto o un servizio per differenziarlo da quelli di altri concorrenti, è esso a caratterizzare l’evento e il titolo della manifestazione. In tal senso, si spiega il fatto per cui il Comune ha registrato il Marchio scisso dal format della RAI.
Vista dall’altra visuale, il TAR precisa che essendo il Marchio il titolo stesso della manifestazione a cui accede il format, il reale titolare della stessa manifestazione sarebbe il Comune e non la RAI. Al riguardo, facendo un excursus storico, il giudice ricorda che dal 1951 al 1991 è stato solo il Comune a gestire il Festival, mentre la RAI ne curava esclusivamente la diffusione tramite la radio (fino al 1955) e, poi, la televisione. Questo ragionamento, nella tesi della scindibilità seguita dal TAR, dimostrerebbe anche che il Marchio, a differenza del format, potrebbe vivere di vita autonoma.
A suffragio della natura scindibile e non indissolubile del rapporto format-Marchio, il Giudice di primo grado ricostruisce lo svolgimento delle ultime venti edizioni del Festival, sottolineandone il mutamento di forma attraverso alcuni esempi: durante il periodo Covid si è svolto senza pubblico; ci sono state edizioni in cui la figura del direttore artistico e il conduttore si sovrapponevano e, altre, in cui era persone diverse; l’introduzione del televoto da parte del pubblico; la soluzione di continuità tra le cinque serate o il loro intervallarsi con giorni in cui il Festival non andava in onda; la suddivisione in diverse Categorie “Campioni”, “Giovani”, “BIG”, “nuove proposte”; previsione in alcuni casi dell’eliminazione dopo le prime serate; la presentazione di più canzoni ciascuno o di una sola ecc.
Da questo ragionamento, il TAR ne fa discendere la libertà del Comune di associare il suo Marchio a format diversi da quello della RAI.
Quanto alle difese del Comune, il TAR ha rilevato che tale Ente sostiene di essere titolare non solo del Marchio, ma della manifestazione stessa. Inoltre, il Comune difende la tesi per cui solamente un soggetto che è titolare dei diritti televisivi potrebbe essere l’affidatario della concessione del Marchio e che il Comune stesso non affiderebbe alcun contratto pubblico, ma si limiterebbe a stipulare, nell’esercizio delle proprie prerogative di diritto privato, una convenzione che disciplina l’organizzazione di una manifestazione culturale canora, che si sviluppa attraverso un format di programma delineato nel corso di questi anni in cooperazione con la RAI, secondo una prassi consolidata. D'altra parte, pure a voler qualificare la Convenzione RAI come un contratto pubblico, l’acquisto di un programma rientrerebbe, secondo il Comune, tra i contratti esclusi ai sensi dell’art. 56, co. 1, lett. f) del Codice e dell’art. 2, co. 1, lett. m) del relativo Allegato I.1., con inapplicabilità altresì dei principi generali del Codice alla concreta fattispecie.
Il TAR non ha condiviso la tesi del Comune, evidenziando che l'amministrazione muove dal presupposto errato che su di essa non graverebbe alcun obbligo di modificare le “scelte organizzative” finora adottate (e sempre confermate, dando vita ad una collaborazione ultrasettantennale e ad una consolidata prassi negoziale).
Invero, l'obbligo di bandire una procedura di evidenza pubblica è previsto direttamente dalla legge e non discende dalla scelta unilaterale del Comune sul se determinarsi o meno nel mutare scelte organizzative consolidate per prassi nel tempo.
Né assume aspetto decisivo, a sostegno della ricostruzione del Comune, la qualifica di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo rivestita da RAI, Innanzitutto, perché l’organizzazione, la realizzazione, la ripresa o la diffusione del Festival di Sanremo esulerebbero dagli obblighi di servizio pubblico gravanti sulla RAI. In aggiunta, da una parte il TAR ha rilevato che risultati analoghi potrebbero essere raggiunti suddividendo le attività (organizzazione-realizzazione e diffusione-trasmissione), dall’altra che il ricorrente aveva paventato la possibilità di costituire un raggruppamento con altri operatori televisivi.
In definitiva, il TAR ha ritenuto applicabili i principi generali del Codice dei Contratti Pubblici all’affidamento della concessione del Marchio, in quanto contratto attivo. Secondo il giudice, se pure fosse la convenzione tra Comune e RAI un negozio giuridico di natura privatistica, ciò non escluderebbe l’applicazione dei principi del suddetto Codice, che "governano" anche gli appalti di cui all’art. 56 comma 1 lett. f) d.lgs. n. 36/2023 relativi ai contratti aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici.
Nelle ultime pagine della sentenza, il TAR ha, infine, spiegato le motivazioni per cui né il Festival, né il Marchio, né il format possano essere qualificati come beni culturali assoggettati alla disciplina del d.lgs. n. 42/2004 anche in materia di affidamenti. Ciò, in quanto sono beni immateriali e non rientrano tra le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO.
Una volta accolto il ricorso, il TAR si è interrogato sulla portata della sentenza e del suo effetto conformativo, stante il rischio che un annullamento della Convenzione potesse incidere anche sull’edizione 75 del Festival, ormai in fase di preparazione, e su tutti i contratti stipulati in virtù della stessa Convenzione, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato. E ciò, anche in considerazione del fatto che rispetto a tale edizione sono state già stabilite le date, il direttore artistico e conduttore, e adottato il relativo regolamento. Per non parlare degli effetti che un eventuale annullamento postumo degli atti potrebbe avere sui contratti derivanti dall’edizione 74 dello scorso febbraio.
E, così, il TAR ha limitato l’effetto caducatorio determinato dalla sentenza alla delibera di approvazione della Convenzione e al provvedimento che ha dichiarato improcedibile la manifestazione di interesse, ferma restando l’efficacia delle convenzioni stipulate e il diritto del ricorrente al risarcimento del danno da perdita di chance, non ravvisabile nel caso di specie, stante l’assenza di concrete indicazioni sulla gara e sulle possibili aggregazioni che il ricorrente avrebbe potuto realizzare per partecipare alla stessa.
Una tecnica di graduazione degli effetti della sentenza legittimata anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 13/2017.
"PERCHE' SANREMO E' SANREMO"
Il Festival di Sanremo è parte della coscienza storica di ogni italiano, sia esso amante o meno dell’evento canoro, e di migliaia di persone in giro per il mondo. Le canzoni che fuoriescono da tale spettacolo musicale hanno contrassegnato epoche e generazioni, e le serate del Festival hanno rappresentato un appuntamento fisso per molte famiglie che, a cadenza annuale, si radunavano e si radunano per seguire la diretta del Festival. Un evento attorno al quale ruotano altri eventi, pubblicità, attività commerciali e organizzazioni turistiche che impegnano maestranze e che occupano le strade del Comune di Sanremo per oltre un mese e che hanno il loro apice nella proclamazione della canzone vincitrice. Insomma, un evento che è cresciuto negli anni, accompagnando e riflettendo con la musica l’evolversi e le esigenze della società italiana.
Tuttavia, anche un fenomeno prettamente musicale e di costume può finire in Tribunale, e il fatto che il Festival di Sanremo faccia parte della tradizione nazionale della televisione e dell’immaginario comune non deve necessariamente portare a conclusioni semplicistiche o dettate dal sentimento popolare. Il Festival, come molti altri eventi televisivi e non solo, è fonte di ricavi e porta con sé tutta una serie di eventi collaterali e iniziative commerciali che vengono sfruttate economicamente. Quindi è lecito domandarsi, innanzitutto, se l’affidamento in concessione della possibilità di svolgere l’evento sia o meno soggetto al Codice dei contratti pubblici.
E questo è il primo argomento affrontato e deciso dal Giudice adito, il quale, facendo rientrare la concessione di utilizzo del Marchio tra i contratti attivi, ne ha determinato la sottoposizione ai principi generali che regolano la materia della contrattualistica pubblica: dunque, la regola non potrebbe essere un affidamento diretto in convenzione, bensì l’evidenza pubblica tramite una procedura trasparente aperta alla concorrenza.
Ciò detto, il nucleo centrale della sentenza attiene al secondo macroargomento, cioè la ricerca di peculiarità che potrebbero derogare a quanto appena detto. In tal senso, gioca un ruolo decisivo la tematica dell’appartenenza del Marchio e della prevalenza del format RAI rispetto al Marchio stesso.
Noi tutti siamo abituati a collegare il Festival di Sanremo alla televisione (o meglio alla RAI), perché tramite essa (o tramite la radio per le generazioni meno giovani) viene vissuto da chi non è fisicamente al teatro Ariston. Tuttavia, non è tanto (o non solo) il modo di vedere il Festival a contraddistinguere la sua natura, quanto il luogo, o meglio la "Città" che lo ospita a caratterizzarne la distinguibilità e l’originalità. Non a caso il Comune di Sanremo ha registrato il Marchio “Festival della Canzone Italiana”. Tuttavia, non è facile scindere il format dall’evento o dal Marchio. Nella sentenza questa distinzione viene superata sul piano civilistico, attraverso il rimando alle tematiche della comunione di beni, e su quello pratico, sulla base di quanto effettivamente avvenuto nelle ultime venti edizioni del Festival stesso, che lo renderebbero un evento non consolidato nella sua forma, ma distinguibile nel suo Marchio (registrato). Questa conclusione porterebbe alla titolarità da parte del Comune del Marchio e del potere di affidarne l’uso esclusivo.
Unendo i due argomenti appena esposti, si arriva alla conclusione che il Comune avrebbe dovuto fare una gara per consentire l’uso del Marchio. La conseguenza è l’illegittimità della delibera di approvazione della Convenzione tra Comune e RAI per le edizioni 74 e 75 del Festival. Una soluzione innovativa, in quanto mai approfondita in tali termini in precedenza, che avrebbe rischiato di scompaginare mesi di preparazione in vista dell’edizione del 2025 ormai prossima.
In tal senso, è apprezzabile la scelta del TAR di proporzionare e graduare gli effetti della sentenza al fine di mantenere inalterati gli atti sia per quanto riguarda l’edizione 75, cioè quella che inizierà a febbraio, che per ciò che concerne l’edizione 74, conclusasi la scorsa primavera.
Infatti, questi eventi, sebbene si svolgano solamente in determinato periodo di tempo (cinque serate), sono sostanzialmente il frutto di mesi di lavoro, preparazione, contrattazione e programmazione che impiega risorse economiche, persone e mezzi. E, una volta concluso, porta con sé tutti i contratti che vengono stipulati alla luce dell’andamento e dei risultati dell’edizione (si pensi solo alla riproduzione in radio delle canzoni del Festival o alla partecipazione all’Eurovision Song Contest del cantante vincitore del Festival). In pratica, si può affermare che siano eventi in itinere, dove le attività precedenti e successive all’evento televisivo giocano un ruolo fondamentale che non potrebbe essere sminuito, per non dire, azzerato in sede giurisprudenziale. Proprio questa tematica è particolarmente interessante e consente di fare una riflessione sul ruolo del giudice amministrativo rispetto alla società e al suo veloce fluire.
Infatti, per quanto possa ritenersi legittimo o meno un certo provvedimento amministrativo, i tribunali amministrativi non possono rimanere indifferenti rispetto agli effetti che tali atti hanno ingenerato e all’affidamento creato dagli stessi. Soprattutto quando le decisioni dei giudici amministrativi hanno una portata tanto innovativa da renderla inaspettata, o con effetti sproporzionati.
Al riguardo, viene subito in rilievo il tema del prospective overruling sviluppatosi nel common law e importato in via giurisprudenziale anche nel civil law italiano, secondo cui le decisioni e i precedenti giurisprudenziali innovativi, al ricorrere di certe condizioni, possono avere effetto non retroattivo, ma solo per il futuro, con possibilità di essere calibrati dal giudice. In tal modo, il giudice amministrativo ha il ruolo non solo di riportare la legalità attraverso l’annullamento di atti illegittimi, ma anche (e soprattutto) quello di rendere compatibile la caducazione degli atti con gli effetti che gli stessi hanno creato nel tempo. Un ruolo decisamente utile ai fini di preservare la certezza degli interessi pubblici e privati che si sono nel tempo sviluppati e consolidati.
Il caso del Festival di Sanremo è emblematico in questo senso, proprio perché gli effetti canonici e tradizionali dell’azione di annullamento avrebbero posto il TAR nella complessa situazione di dover fare i conti con le conseguenze sproporzionate che sarebbero derivate da un annullamento “ora per allora” degli atti illegittimi. Effetti che sarebbero stati tangibili a tutta la collettività, proprio perché attinenti a un evento televisivo storico trasmesso sul canale nazionale (RAI 1). La prudenza del giudice nel graduare gli effetti della decisione e il suo uso mirato del principio di proporzionalità è, dunque, da apprezzare, posto che la possibilità, per il giudice amministrativo, di modulare gli effetti delle sue decisioni viene correlata, dalla giurisprudenza amministrativa che si è formata in materia, all'assenza di una previsione normativa circa l’inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto e alla necessità di non ottenere dalla pronuncia costitutiva un risultato incongruo e/o manifestamento ingiusto.
Certamente, si tratta di un'eccezione giurisprudenziale alla regola, che nel caso di specie è stata favorita dalla constatazione, da parte del Giudice adito, della presenza di un "evanescente interesse della ricorrente al travolgimento" delle Convenzioni stipulate tra Comune e RAI, dal momento che la ricorrente stessa "non ha fornito alcuna indicazione in ordine alla prospettata aggregazione con altri soggetti" per cercare di partecipare alla gara con una ragionevole possibilità di aggiudicarsela, posto che alla concessione del Marchio dovrebbe fare da presupposto anche la dimostrazione della capacità di organizzare il Festival.
Questa stessa considerazione, peraltro, ha impedito all'interessata anche di ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance, di modo che, in definitiva, la pronuncia del TAR Liguria si è limitata a stabilire un principio per il futuro che allo stato non ha prodotto alcuna utilità per l'unico soggetto che ha posto in discussione uno status secolare.
Chissà, dunque, se l’edizione 75 che andrà in onda prossimamente sarà veramente l’ultima in questo formato, oppure se il futuro ci riserverà altri colpi di scena.
Per il momento l’unica certezza è che l’11 febbraio 2025 andrà in onda la prima serata del Festival,
perché Sanremo è sempre Sanremo.