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La dichiarazione dei redditi come dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • 22 luglio 2021

Cassazione Civile, Sez. V, 5 luglio 2021, n. 18895


In sede di dichiarazione dei redditi modello Unico, una Società contribuente aveva dichiarato un valore della produzione netta pari a x e un correlato importo del dovuto acconto IRAP pari a y. In seguito, però, aveva effettuato il versamento dell’acconto per un importo inferiore a quello dichiarato.

La discrasia è emersa in sede di controllo automatizzato delle dichiarazioni, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, e da ciò il conseguente invio alla Società di una cartella di pagamento.

In sede giurisdizionale la Società ha riconosciuto di avere commesso un errore nella compilazione della dichiarazione dei redditi (riportando una non corretta indicazione del valore della produzione) e ha al contempo affermato di aver effettuato il pagamento dell’imposta nel rispetto delle disposizioni di legge al tempo vigenti. Tale assunti erano stati apprezzati dalla Commissione tributaria regionale che ha dato atto che la dichiarazione dei redditi riportava una non corretta indicazione del valore della produzione e che ha rilevato sia che il calcolo dell’imposta effettuato dalla Società era rispettoso delle disposizioni di legge, sia che la stessa contribuente, con la documentazione prodotta in giudizio, aveva dimostrato la correttezza dell’ammontare delle riduzioni di valore operate e portate in deduzione dalla base imponibile IRAP. 

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza è stato respinto con la sentenza in esame:

- per un primo profilo, perché la contestazione rivolta alla metodologia di calcolo utilizzata dalla Società e fatta propria dal Giudice di appello era, in realtà, volta a riproporre una questione che atteneva al merito e alla valutazione delle prove acquisite agli atti del giudizio per ottenere una diversa ricostruzione contabile; si trattava, in altre parole, di un accertamento di mero fatto non scrutinabile in sede di legittimità per “non trasformare, surrettiziamente, il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici, quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative”;

- per altro e più sostanziale profilo, perché “la dichiarazione dei redditi non è una dichiarazione di volontà ma una dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile, con la conseguenza che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto e che il presupposto impositivo non era sussistente; al verificarsi di tale condizione, in applicazione delle regole generali sulla ripartizione dell’onere della prova stabilite dall’art. 2697 c.c., spetta al contribuente che ritratta la propria dichiarazione dimostrare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria”, ossia la mancanza del presupposto impositivo.

In tal senso, è stato sottolineato che il titolo dell’obbligazione tributaria non risiede nella dichiarazione, la quale integra solamente un momento dell’iter procedimentale inteso all’accertamento di tale obbligazione e al soddisfacimento delle ragioni erariali che ne sono l’oggetto. Tale ricostruzione è compatibile con i principi costituzionali sulla capacità contributiva (art. 53, comma 1, della Costituzione) e sull’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97, comma 1, della Costituzione) perché un sistema legislativo che nega la rettificabilità della dichiarazione sottoporrebbe il contribuente a un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente indebito (Cass. Civ., Sez. Unite, 25.10.2002, n. 15063; Sez. Unite, 30.6.2016, n. 13378). Ed ancora, se così non fosse si determinerebbe un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, rispetto a coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta e averla indicata nella dichiarazione, ne omettono (in tutto o in parte) il versamento (cfr., Cass. Civ., Sez. V, 5.3.2020, n. 6239).

Il principio che, in via generale, le denunce dei redditi costituiscono dichiarazioni di scienza e possono pertanto essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongono il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti è oramai consolidato in giurisprudenza, la quale ha tuttavia precisato che l’emendabilità degli errori commessi in dichiarazione deve essere circoscritta all’indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (per esempio, errori di calcolo o di errata liquidazione degli importi) oppure formali (concernenti l’esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta). 

Conseguentemente, occorre tenere bene distinti i casi in cui, compilando la dichiarazione dei redditi, il contribuente effettua una vera e propria scelta (per esempio, per avvalersi di un beneficio fiscale), poiché in tali ipotesi la relativa sezione della dichiarazione consiste nella formulazione di una precisa manifestazione di volontà da compiersi con la compilazione di un modulo che, per questa parte, assume il valore di un atto negoziale irretrattabile. Tale manifestazione di volontà integra l’esercizio di un potere discrezionale di scelta riconducibile a una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto, volontà diretta a incidere sull’obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all’imposta. Pertanto, eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e di riconoscibilità ai sensi dell’art. 1428 c.c. (Cass. Civ., Sez. V, 29.11.2019, n. 31237).



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