Blog Layout

La responsabilità della pubblica amministrazione

di Paolo Nasini * estratto dalla rivista Il Foro italiano: Foro it. anno 2021, parte V, col. 39 • 16 maggio 2021

Premessa.

La difficoltà di «sistematizzare» la problematica della natura della responsabilità della p.a.  discende dalla multiforme combinazione delle situazioni di fatto e giuridiche che possono venire in esame ogni qual volta un soggetto venga a «rapportarsi» con gli effetti di un'attività, commissiva od omissiva, ovvero di una «posizione» in cui versa la p.a.. Ciò si deve al fatto che la p.a., oltre ad essere «autorità», è titolare di una capacità di diritto privato, potendo ledere tanto diritti soggettivi che interessi legittimi del privato; le vertenze concernenti la relativa responsabilità danno luogo ad un complesso riparto di potere giurisdizionale tra autorità giudiziaria ordinaria e giudice amministrativo, in sede di legittimità e in sede di giurisdizione esclusiva.

Il riparto di giurisdizione, peraltro, non dipende strettamente dalla determinazione della natura della responsabilità della p.a.: ciononostante, le più rilevanti «aperture» nel sistema della responsabilità civile della p.a. sono proprio conseguite a pronunce aventi ad oggetto, in vario modo, questioni di giurisdizione .

Il legislatore ha solo introdotto alcune puntuali previsioni nel codice del processo amministrativo, la cui valenza processuale si coniuga ad aspetti di natura sostanziale: si tratta, a ben vedere, di norme specifiche e, in parte, derogatorie rispetto allo statuto classico della responsabilità civile codicistica, differenziazione giustificata dalla peculiare posizione della p.a. rispetto a qualunque altro privato, in particolare qualora eserciti un potere autoritativo per fini pubblici. È pacifico che la p.a., in virtù della propria capacità di diritto privato, risponda per i danni conseguenti ai propri inadempimenti contrattuali, così come a titolo di responsabilità extracontrattuale, persino nella sua «forma» più «oggettiva», come quella da cosa in custodia ex art. 2051 c.c. . Nei casi testé cennati, si applicano alla p.a.  gli statuti normativi, rispettivamente, della responsabilità per inadempimento ex art. 1218 ss., e della responsabilità aquiliana.


La responsabilità per l'esercizio di potere autoritativo.

Per quanto concerne la responsabilità per lesione di interessi legittimi, fin dall'affermazione della stessa, l'orientamento maggioritario in giurisprudenza riconduce la responsabilità della p.a. alla fattispecie aquiliana di cui all'art. 2043 c.c., in quanto viene in rilievo la violazione di norme imperative o di principî valevoli erga omnes, espressivi di regole generali di comportamento della p.a. poste a tutela indifferenziata di interessi pubblici, indipendentemente e prima delle regole specifiche e relative al singolo rapporto procedimentale, rilevando la violazione del precetto, generale e assoluto, del neminem laedere

A tale impostazione si contrappone l'orientamento, minoritario, che valorizza la mancanza di «estraneità» tra la p.a. e il privato, nonché i sempre più stringenti obblighi procedimentali posti dalla l. n. 241 del 1990 a carico della p.a. che «personalizzano» la relazione con il privato, venendo così in rilievo un vero e proprio rapporto giuridico: tale situazione, quindi, andrebbe sussunta nei c.d. rapporti senza obbligo primario di prestazione o da c.d. contatto sociale o qualificato, il cui fondamento normativo va rinvenuto nell'art. 1173, n. 3, c.c. e nella portata espansiva del principio di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c. . Il provvedimento illegittimo, in tal senso, integrerebbe un inadempimento alle regole di svolgimento dell'azione amministrativa, vere e proprie prestazioni da adempiere secondo il principio di correttezza e buona fede.

Secondo altro orientamento, talvolta emerso in giurisprudenza, le indubbie peculiarità della responsabilità della p.a. giustificano la qualificazione della stessa quale fenomeno sui generis: tale impostazione, d'altronde, sconta l'evidente limite di dovere, sul piano pratico, accedere alla disciplina di uno dei due modelli «tipici», non essendo concepibile un'interpretazione «integrativo-creativa» da parte del giudice.

Proprio la valorizzazione dei suddetti obblighi procedimentali o intermedi quali elementi di uno specifico rapporto giuridico tra p.a. e privato, e, in particolare, del principio di correttezza e buona fede, ha portato in alcuni casi la giurisprudenza ad applicare lo statuto della responsabilità precontrattuale, ai sensi degli art. 1337 e 1338 c.c., al di là delle fattispecie «tipicamente» precontrattuali in cui, cioè, non viene in alcun modo in gioco esercizio di potere pubblico. Al riguardo, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che, nell'ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dall'aggiudicazione, in seno a tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento, con condanna della p.a. per i danni subiti dal privato, con riferimento in particolare alle perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate. In tal senso, quindi, l'adunanza plenaria ha tutelato l'affidamento del privato a fronte di una condotta della p.a. lesiva dello stesso in quanto contraria a buona fede e correttezza, fonte di responsabilità per fatto illecito indipendentemente dall'adozione di provvedimenti o addirittura nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento, a tutela, pertanto, della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè del diritto di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze illecite derivanti da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.

Al di fuori della materia dei contratti pubblici, d'altronde, la giurisprudenza amministrativa, anche successivamente alla decisione che precede, nell'applicare la regola della responsabilità da lesione dell'affidamento all'attività autoritativa non preordinata alla conclusione di un contratto, ha pur sempre ancorato l'individuazione del comportamento affidante all'adozione di un provvedimento.


La responsabilità per lesione dell'affidamento nella giurisprudenza della Cassazione.

Se nella giurisprudenza amministrativa finora ha fatto fatica ad attecchire l'idea di una generalizzazione dello statuto «contrattuale» o «precontrattuale» della responsabilità della p.a., la Cassazione dimostra di valorizzare sempre più l'istituto del «contatto sociale», in controtendenza rispetto al settore civilistico, o, comunque, la portata espansiva del principio di correttezza e buona fede, e, specularmente, dell'affidamento incolpevole del privato, riconoscendo ampi spazi di «responsabilità di natura contrattuale» nell'agire della p.a. in situazioni non tipicamente iure privatorum.

Nel 2011 la corte aveva affermato la sussistenza di una responsabilità da contatto sociale e violazione del principio di buona fede e correttezza, per lesione dell'affidamento maturato dal privato, a seguito del — pur legittimo — esercizio da parte della p.a. del potere di annullamento di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato. Linea corroborata con una recente pronuncia, che ha affermato trattarsi di lesione dell'«affidamento incolpevole» del privato, sempre per violazione di regole di buona fede e correttezza, anche quando il mero comportamento della p.a. è consistito nell'avere adottato — pur legittimamente — un provvedimento negativo, ma avendo fatto insorgere nel privato in buona fede, l'affidamento nella emissione del provvedimento positivo. La corte precisa che non si tratta dell'«affidamento legittimo», generalmente inteso, ad es. in sede di autotutela amministrativa, l'«affidamento incolpevole» essendo una situazione autonoma, connessa ad una fattispecie in fieri, tutelata in sé e non nel suo collegamento con l'interesse pubblico, che si sostanzia nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subìto a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buona fede, venendo in rilievo doveri di comportamento o condotta.

Anche in tal caso la corte ha ritenuto sussistere la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, perché la suddetta responsabilità sorge da un rapporto tra soggetti (p.a. e privato), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da «contatto sociale qualificato», e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato. Viene, quindi, legittimata una differente e autonoma rilevanza delle c.d. regole di condotta all'interno del procedere della p.a., rispetto alle regole di validità del provvedimento, il quale, seppure legittimo, non vale a mandare esente da responsabilità la p.a. che abbia violato le prime.

Da ultimo, la Cassazione ha applicato i principî sopra esposti ad un caso di omessa adozione di provvedimento, in violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede, con lesione dell'affidamento incolpevole dell'impresa privata, la quale, confidando nell'ammissione alla c.i.g.s., su promessa della p.a., ha revocato una serie di licenziamenti, senza che il ministero abbia adottato alcun provvedimento conforme.

Sia concessa una breve notazione: con riguardo alla giurisdizione, seppure la corte si sia peritata ad affermare come, anche nel caso di giurisdizione esclusiva, le fattispecie de quibus non siano in essa sussumibili perché manca il collegamento anche solo mediato con l'esercizio del potere, ex art. 7 cod. proc. amm., tale conclusione non convince appieno. Specialmente nell'ambito della fattispecie esaminata dalla sentenza n. 8326 del 2020, non pare possibile «scindere», sotto il profilo causale, con inevitabile riflesso sulla causa petendi e sulla giurisdizione, la combinazione tra il comportamento asseritamente scorretto della p.a. che ha «fatto credere» ragionevolmente al privato di poter ottenere soddisfazione e la negazione di tale affidamento, concretamente perpetrata con il provvedimento finale, senza il quale nessuna lesione effettiva si sarebbe avuta: quest’ultimo, d'altronde, è esercizio di potere e anche il comportamento «scorretto» risulterebbe posto in essere in un contesto, quello procedimentale, caratterizzato da e finalizzato all'esercizio del potere da parte della p.a.

Il riflesso di questa contraddizione riluce anche sulla qualificazione della responsabilità: ragionando come la corte, non si comprende fino in fondo come sia possibile che gli obblighi procedimentali «intermedi», pur aventi propria autonomia, si iscrivano in una logica contrattuale e, poi, il terminale degli stessi, l'obbligo «finale», il provvedimento amministrativo, possa, se illegittimo, dar luogo a responsabilità extracontrattuale: coerenza vorrebbe, in tal senso, che ascritti i primi alla responsabilità, in senso lato, «contrattuale», anche l'esercizio illegittimo di potere segua la medesima sorte.


Il c.d. danno da ritardo.

Veniamo, quindi, al danno da ritardo, fattispecie che trova una disciplina puntuale negli art. 2 bis l. n. 241 del 1990 e 30, 2° comma, cod. proc. amm. Si tratta di una responsabilità non da provvedimento illegittimo, ma da «comportamento», declinato sia nella mera inerzia, sia nella non tempestiva adozione di un provvedimento. Secondo l'orientamento prevalente, la domanda deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità»: sicché, per poter riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non può prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole della p.a. quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile. Secondo l'orientamento che pare prevalente in giurisprudenza, quindi, in via generale non è tutelabile il c.d. danno da mero ritardo, cioè quello che si determina nel caso di emissione, tardiva, di provvedimento negativo legittimo ovvero di accertamento prognostico negativo, se non nei limiti dell'indennizzo di cui all'art. 2 bis, comma 1 bis, l. n. 241 del 1990.

D'altra parte, una diversa impostazione è accolta nella decisione dell'adunanza plenaria n. 5 del 2018, la quale ha affermato che l'art. 2 bis, 1° comma, ha introdotto la risarcibilità (anche) del c.d. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento. Ciò, in quanto, anche in tal caso, il danno deriverebbe dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale, causata dall'incertezza.

Nel caso del danno da ritardo, che l'adunanza plenaria sottolinea essere, come detto, un danno da comportamento scorretto, il problema della giurisdizione è risolto «a monte» dal legislatore, che ha previsto una specifica ipotesi di giurisdizione esclusiva, evidentemente rinvenendo un collegamento anche solo mediato con l'esercizio del potere (il che conferma i dubbi più sopra esposti per le fattispecie oggetto delle sentenze della corte). Rimane ancora controversa la natura di detta responsabilità, perché la giurisprudenza amministrativa sembra propendere per una ricostruzione in termini «aquiliani» della stessa, in considerazione anche della previsione testuale dei requisiti «del dolo e della colpa», nonché del «danno ingiusto».

La stessa pronunzia dell'adunanza plenaria sopra citata, del resto, anche con riferimento alla lesione dell'«affidamento», nel tracciare i presupposti per il riconoscimento della responsabilità, richiede la dimostrazione che l'affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall'indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile alla p.a., in termini di colpa o dolo; che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità rispetto alla condotta scorretta che si imputa alla p.a..

Da ultimo, l'adunanza plenaria n. 7 del 2021 del Consiglio di Stato ha chiarito che "la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. –da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento- i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.".

 

Qualificazione della responsabilità e profili applicativi.

Occorre chiedersi quali sarebbero, in concreto, le implicazioni derivanti dalla diversa qualificazione della responsabilità della p.a.

Senza pretesa di completezza, e partendo dagli aspetti apparentemente «marginali», ma che, in concreto, determinano conseguenze tutt’altro che irrilevanti, risolto legislativamente il problema della prescrizione, come sopra ricordato, qualificare la responsabilità della p.a., da ritardo e da illegittimo esercizio del potere come (latamente) contrattuale, significa imporre al privato danneggiato il limite della prevedibilità del danno ex art. 1225 c.c. , sia pure tenendo conto dell'interpretazione ampia che la giurisprudenza ordinaria offre relativamente al carattere «immediato e diretto» dei danni ex art. 1223 c.c.. Ciò imporrebbe, quindi, di valutare anche come si debba declinare, tenuto conto della «speciale posizione» della p.a. in sede di esercizio del potere, il predetto requisito della «prevedibilità».

Altra differenza di non poco momento concerne la cumulabilità della rivalutazione e degli interessi dal momento della verificazione dell'evento dannoso: per il danno da fatto illecito la Cassazione ha affermato la cumulabilità tra rivalutazione e interessi decorrenti, quest’ultimi, dalla data di consumazione dell'illecito, e calcolati sulla somma dovuta a titolo di risarcimento per equivalente via via rivalutata annualmente sino alla data della sentenza; per il risarcimento del danno «contrattuale», invece, la corte ha affermato che, qualora, in relazione alla domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno, si provveda alla integrale rivalutazione del credito, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, fino alla data della liquidazione, non possono essere accordati gli interessi legali sulla somma rivalutata dal giorno della mora, dovendo questi essere calcolati soltanto dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l'effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell'obbligazione.

Andando ad esaminare, invece, le differenze «strutturali», non è così evidente la rilevanza della differenziazione tra le due ipotesi, alla luce della particolarità della posizione della p.a. come valorizzata dalla giurisprudenza. Al riguardo, emerge una sostanziale simmetria: al binomio fatto illecito (illegittimità del provvedimento) - danno ingiusto, inteso quest’ultimo quale perdita o lesione del bene della vita, consistente nell'interesse sostanziale di cui è portatore il privato, corrisponde l'inadempimento, concetto che, applicato all'agire amministrativo, a seconda del tipo di interesse legittimo leso, «ingloba» non solo l'illegittimità in sé del provvedimento, ma anche la perdita del «bene della vita»; in entrambi i casi viene in gioco un problema di nesso di causalità materiale, di elemento soggettivo, che nel caso della responsabilità aquiliana deve assumere i contorni minimi della colpa, mentre in quella contrattuale della non imputabilità dell'inadempimento ovvero dell'adozione del provvedimento illegittimo o della perdita o lesione del bene della vita; di danno-conseguenza, ovvero i pregiudizi in concreto subiti, e, infine, di nesso di causalità giuridica.

Nell'ottica civilistica, rilevanti differenze si apprezzano in punto riparto dell'onere della prova, ciò che, d'altronde, è per lo più depotenziato nel caso della responsabilità della p.a.

Fermo restando che incombe sempre e comunque sul danneggiato la dimostrazione del danno e del nesso di causalità giuridica, con riguardo all'elemento soggettivo l'inversione probatoria di cui all'art. 1218 c.c. viene pacificamente ammessa dalla giurisprudenza amministrativa, nei confronti della p.a., in considerazione della presunzione di colpa conseguente all'accertata illegittimità del provvedimento che la p.a. può vincere dimostrando elementi concreti da cui possa evincersi la scusabilità dell'errore compiuto».

Per quanto riguarda l'onere di dimostrare l'illegittimità del provvedimento, ragionando in termini «contrattuali», trattandosi di una forma di «inadempimento», l'insegnamento che ritiene sufficiente la mera allegazione dello stesso da parte del creditore, con inversione dell'onere della prova a carico del debitore, non è applicabile alla responsabilità della p.a. da provvedimento, stante la presunzione di legittimità che assiste quest’ultimo, di talché è comunque onere del privato dimostrare l'illegittimità dello stesso.

Infine, tanto per la responsabilità da ritardo che da illegittimo esercizio del potere, viene richiesta la prova della «effettiva perdita o lesione del bene della vita», il cui onere, in caso di responsabilità aquiliana, incombe certamente sul danneggiato, trattandosi del c.d. evento lesivo.

Laddove si qualificasse la responsabilità in termini «contrattuali», d'altronde, soprattutto nei casi di potere discrezionale esercitato dalla p.a. ci si potrebbe chiedere se incomba comunque sul privato l'onere della prova della lesione e del relativo nesso di causalità materiale (con conseguente rischio della causa ignota, salva l'applicazione della «chance») ovvero si venga a determinare un'inversione dell'onere a carico della p.a., riproducendo in sede di responsabilità della p.a. le fibrillazioni che anche recentemente stanno attraversando la giurisprudenza civilistica.


Share by: