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La Riforma dello Sport

a cura di Vittorio Russo, Avvocato e Consulente giuridico parlamentare • 22 dicembre 2020

Il Consiglio dei Ministri, a fine novembre, ha approvato, in esame preliminare, cinque decreti legislativi in tema di riforma dello sport, attuativi di altrettanti articoli (5, 6, 7, 8 e 9) della legge delega 8 agosto 2019, n. 86.

Al fine di fornire una chiave di comprensione prettamente sistematica oltreché sintetica, corre l'obbligo di delimitare il perimetro dell'intervento legislativo e rammentare che tali provvedimenti modificano determinate tematiche che erano precedentemente o prive di "letteratura" contenutistica o semplicemente normate in maniera nebulosa. Nello specifico: riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo, misure in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo, misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi, semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi e misure in materia di sicurezza nelle discipline sportive invernali. 

Per ciò che concerne l'esame delle fattispecie giuridiche che hanno in larga misura aperto un vivace dibattito tra i soggetti interessati, dal punto di osservazione tecnico-legislativo non possiamo esimerci dal dirigere il focus analitico sull'aspetto peculiare e maggiormente innovativo, ovvero l'attuazione dell’articolo 5 della legge delega.

Con essa è stata introdotta una revisione organica della definizione del “lavoratore sportivo” in tutte le sue fisionomie, la quale prevede, per la prima volta, tutele lavoristiche e previdenziali per i lavoratori sportivi sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico; il riconoscimento all’attività di associazioni e società sportive dilettantistiche che hanno formato l’atleta, alle quali è assicurato da un premio di formazione; l’affermazione delle pari opportunità per lo sport femminile, professionistico e dilettantistico; il riconoscimento di pari diritti delle persone con disabilità; la tutela e il sostegno del volontariato sportivo; l’istituzione di un “Fondo per il professionismo negli sport femminili”; l’istituzione della figura professionale del manager dello sport. Si prevede che le associazioni sportive dilettantistiche e le società sportive dilettantistiche possano svolgere anche attività commerciali, solo se secondarie rispetto all’attività sportiva e strumentali all’autofinanziamento, e che possano distribuire una parte dei dividendi con limiti stringenti a tutela della vocazione sportiva.   

Ma ci sentiamo di sostenere che la novità più dirompente sullo scenario legislativo nazionale della riforma in esame è senza dubbio l’abolizione del vincolo sportivo che lega i giovani atleti alle proprie società con rapporti di durata pluriennale. 

Entro il luglio 2022 si arriverà al riconoscimento della libertà contrattuale per i tesserati attualmente vincolati (come già avviene nei professionisti), ma saranno previsti anche premi di formazione per le società e le associazioni sportive. Attualmente, quando un giovane atleta si legava ad una società dilettantistica dopo i 14 anni, scattava un vincolo con il club destinato a protrarsi fino al 25° anno d’età. Con la riforma in commento, e quindi l’abolizione del vincolo, i giovani atleti potranno invece liberarsi al termine di ogni stagione sportiva. L'entusiasmo e la passione dei giovani praticanti, infatti, molto spesso vengono frenati da stringenti vincoli sportivi che limitano, in consistente misura, la libertà degli atleti.

Il diritto fondamentale del giovane atleta di svolgere liberamente in Italia l'attività agonistica in forma non professionistica era gravemente compromesso dal cosiddetto «vincolo sportivo», al quale l'atleta stesso viene assoggettato per un tempo indeterminato, o comunque evidentemente irragionevole, attraverso la sottoscrizione del «cartellino», che ne certifica ufficialmente la relazione di «appartenenza» ad una società sportiva. 

Molti ragazzi sono attualmente disincentivati nella prosecuzione di una pratica sportiva perché stanchi di dover militare ogni anno in una squadra che non li valorizza, nonostante le richieste che arrivino numerose da altre società. In sostanza, i giovani atleti, quantunque vogliano cambiare la società d'appartenenza, non per denaro ma per inseguire nuovi stimoli, diletto o amicizia, non possono perché frenati dal rigido dirigismo dei presidenti delle società che per l'eventuale cessione fissano prezzi eccessivamente esorbitanti, che nessuno è disposto a pagare.

Il vincolo sportivo è stato per decenni un vulnus giuridico significativo perché ha costituito uno strumento ideale per permettere ai tanti individui senza scrupoli che gravitano intorno al mondo dello sport giovanile di lucrare sui cartellini e sui sogni di chi vuol semplicemente praticare uno sport, giocare, divertirsi, stare in salute, correre su di un campo da gioco insieme ai coetanei nella squadra del paese natio. Qui non si discetta dei diritti di pochi professionisti privilegiati ma di centinaia di migliaia di giovani del mondo del dilettantismo a cui viene negato il diritto allo sport.

Ed è altrettanto indubitabile che la firma del «cartellino» sia un atto volontaristico necessario per poter praticare una disciplina individuale, o di squadra, comunque organizzata dalle federazioni sportive che, nell'ambito della vigilanza attribuita dalla legge al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), gestiscono l'attività agonistica di qualunque livello in condizioni di obiettivo monopolio e, dunque, impongono agli atleti tesserati le condizioni, a volte vessatorie, stabilite dai regolamenti da esse stesse emanati.

In effetti, è ampiamente noto nel mondo dello sport nazionale che fino ad oggi il giovane dilettante, qualora intendesse partecipare alle competizioni organizzate dalle federazioni sportive, era costretto a «stipulare il vincolo» e a devolvere irrevocabilmente la titolarità delle proprie prestazioni sportive alla società con la quale si affiliava, con conseguente compressione involontaria (nonostante il tesseramento appaia come una manifestazione di assenso e di autonomia negoziale) della propria libertà agonistica.

Tenuto conto di alcune eccezioni che, in quanto tali, confermavano la regola generale del tesseramento a durata indeterminata, il vincolo così assunto veniva stabilito senza un termine e legava vita natural durante l'atleta tesserato, non tanto alla federazione sportiva d'appartenenza (che ha solo il compito di detenere e controllare i trasferimenti e i tesseramenti), quanto piuttosto alla società nella quale militava, agli amministratori della quale veniva consegnato il potere di decidere unilateralmente la durata del « cartellinamento».

Un'altra novità che suscita interesse di tipo "concettuale" sull'argomento è rivestita dall'intenzione del legislatore delegato di ridefinire l’area-ambito lavorativo attraverso un’ampia disciplina del rapporto di lavoro sportivo che si completa sia sotto il profilo sostanziale che del trattamento fiscale e contributivo, a fronte di una correlata compressione del regime dei redditi diversi di cui all’art. 67 co.1 lett. m) T.U.I.R., circoscritto alle sole prestazioni a carattere amatoriale.

Dirimente quindi diventa la “sostanza” del rapporto: chi svolge attività sportiva a titolo oneroso al di fuori delle prestazioni rese a scopo volontaristico-amatoriale, è considerato lavoratore e poco rileva che si operi nel settore professionistico o dilettantistico, sia esso di vertice o di livello inferiore.

C’è la volontà, dunque - a questo punto evidente -, di eliminare zone grigie tra lavoratori e amatori, definendo quando la prestazione venga svolta per motivi legati esclusivamente alla passione sportiva e quando per scopi economici, superando precedenti incertezze interpretative. Viene fornita a tal scopo la definizione di "prestazione amatoriale". La Riforma confina come amatori, coloro che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro. Vengono inoltre stabiliti e circoscritti i limiti sia per l’espressa incompatibilità con qualsiasi altra forma di lavoro nei confronti dell’ente per il quale il volontario-amatore svolge l’attività appunto amatoriale, sia per l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni e le malattie connesse allo svolgimento dell’attività amatoriale, nonché per la responsabilità civile verso terzi. 

Rimane confermata la possibilità di riconoscere gli emolumenti indicati dal citato art. 67 comma 1 lett. m) che tuttavia vengono ridefiniti come segue: indennità di trasferta e rimborsi forfettari di spesa, premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive, di importo non superiore al limite reddituale per l’esenzione di cui all’art. 69 comma 2 T.U.I.R., attualmente pari a euro 10.000 annui per percipiente.

Sono invece catalogati come "lavoratori sportivi", gli atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara senza distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, fatte salve le prestazioni amatoriali. Al di fuori delle prestazioni amatoriali, l’attività di lavoro sportivo, ricorrendone i presupposti, potrà costituire oggetto di rapporto di lavoro subordinato, rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., prestazione occasionale secondo la disciplina di cui all’art. 54 bis del d.l. n. 50/17 convertito in L. 96/17.

Viene dunque individuata la figura del lavoratore sportivo ma occorre dire che probabilmente la nuova disciplina difetta di una specifica qualificazione giuridica del rapporto che, in tal senso, non viene ricondotto a un contratto tipo (subordinato, autonomo o di terzo genere caratterizzato da una propria disciplina legale da applicare, quantomeno in via presuntiva, alla prestazione di lavoro sportivo). In definitiva, sulla base delle modalità di esecuzione della prestazione e delle circostanze del caso concreto, il rapporto potrà ricondursi tanto all’area subordinata quanto all’area autonoma, individuate secondo i criteri e i parametri di diritto comune.

Di rilevante portata innovativa anche la disciplina con la quale, in ossequio al generalizzato principio del contrasto alla violenza di genere, in attuazione dell’articolo 8 della legge delega la Riforma definisce modalità e tempi per la redazione di apposite linee guida, con validità quadriennale, per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale da parte di federazioni sportive discipline sportive associate, enti di promozione sportiva e associazioni benemerite.

Quanto infine alla disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche e delle società sportive dilettantistiche, viene sostanzialmente mutuata dall’attuale disciplina dell’art. 90 L. 289/2002, rispetto alla quale sono previste alcune importanti variazioni che schematizziamo per semplificarne la lettura:

• in relazione alla forma giuridica: viene previsto che le società sportive possano assumere qualsiasi forma societaria tra quelle previste dal libro V del codice civile;

• le a.s.d. e le s.s.d. possono assumere la qualifica di enti del terzo settore, rispettandone i requisiti e predisponendo gli adempimenti previsti da entrambe le normative;

• relativamente ai requisiti statutari, vengono richiamate le disposizioni del comma 18 dell’art. 90, l. 289/2002, con alcune importanti precisazioni in relazione all’oggetto sociale e all’assenza di fine di lucro.

In conclusione, ci preme sottolineare che senza dubbio siamo di fronte ad una novella che per certi versi introduce dei miglioramenti di sistema che ci permettiamo di definire epocali; bagliori di "civiltà giuridica" che uno Stato moderno e sensibile alle compressioni insensate dei diritti delle fasce deboli non poteva più permettersi di eludere ed ignorare.

Tuttavia, all'elencazione degli interventi prospettati dall'Esecutivo fa ancora difetto la regolamentazione di una disciplina di grosso impatto sia dal punto di vista della riforma complessiva organica, sia dal punto di vista degli avvincenti aspetti giuridici che andrebbe a rimodulare. Infatti, gli esperti del settore egli addetti ai lavori non hanno potuto non constatare che tra le disposizioni approvate manca all'appello il tanto atteso decreto recante le misure in materia di ordinamento sportivo. Vista l'importanza dell'argomento, le dimensioni della caduta gestionale, organizzativa e istituzionale, nonché della rilevanza giuridica di tale disciplina e le conseguenze, anche economiche, che determineranno, pare chiaro che i soggetti preposti vogliano ancora approfondire la discussione prima di giungere ad una condivisa esplicitazione programmatica. 

Ci auspichiamo che a breve si pervenga ad una ristrutturazione, una ricomposizione egualmente innovativa, risolutiva e di efficacia incontrovertibile anche relativamente alle ulteriori criticità che in questo momento affliggono lo sport italiano, limitandone le vulnerabilità di sistema. Il tema della governance, che sarà dunque il vero punto di svolta della Riforma, dovrà trattare dell'annoso quanto spinoso problema della suddivisione dei compiti tra il Ministero, il Coni, Sport e Salute S.p.A. e le Federazioni. Ed infine agganciare a questo, il riassetto delle necessarie norme riguardanti il numero dei mandati ammissibili per i presidenti di Federazione e l’incompatibilità delle cariche sportive con incarichi dirigenziali in enti di diritto privato a partecipazione pubblica.

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