Blog Layout

La verifica della correttezza dell'operato tecnico della Pubblica Amministrazione

a cura di Stefano Tenca • 26 settembre 2021

Il sindacato del Giudice amministrativo in materia di finanziamenti pubblici, tra fatto e diritto.


A) LA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA E TECNICA (brevissimi cenni)

1) Amministrare significa scegliere responsabilmente il modo migliore per realizzare, in un determinato momento storico, il fine pubblico indicato dalla legge: val quanto dire che è la discrezionalità, cioè il potere di scelta, il cardine della stessa amministrazione pubblica. L’interesse pubblico è un costante riferimento e tuttavia l’amministrazione lungimirante sa usare la flessibilità necessaria per raggiungerlo in base ai diversi contesti. 

La discrezionalità è oggi frenata da sospetti circa un suo cattivo uso, e il legislatore tende a limitarne l’esercizio per prevenire arbitri o abusi (pensiamo ai fenomeni corruttivi nella materia degli appalti) con norme dettagliate, che non raggiungono lo scopo di eliminare incertezze interpretative. Al contempo, però, lo stesso legislatore deve incoraggiare i dirigenti pubblici ad agire senza inibizioni o eccessivi timori, per cui interviene sulla disciplina della responsabilità erariale (art. 21 D.L. 76/2020 conv. in L. 120/2020, che esclude la responsabilità per colpa grave sino al 31/12/2021). 


2) La discrezionalità tecnica si distingue dalla discrezionalità “pura” perché si associa ai concetti giuridici a contenuto indeterminato, elevati a presupposto dell’azione amministrativa. E’ analisi di fatti (anche complessi) e non di interessi. 

“L’affidabilità” di una persona alla quale è rilasciato il porto d’armi, il “grave illecito professionale” del concorrente di una gara, i “gravi motivi” di assenza dello straniero dal territorio nazionale oltre il periodo massimo previsto dalla legge, la corretta “sistemazione territoriale” enucleata tra gli scopi di un piano urbanistico. 

La discrezionalità amministrativa consiste in una comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati coinvolti: è l'apprezzamento del valore degli interessi insistenti sulla situazione in ordine alla quale occorre provvedere.

La discrezionalità tecnica presuppone una preparazione specialistica, e consiste nella sussunzione del fatto sotto la norma, secondo criteri scientifici o del sentire sociale medio: è il giudizio di qualificazione del fatto secondo regole tratte dalle arti tecniche applicate. La discrezionalità tecnica si risolve pertanto in un potere di valutazione: la norma, a fronte di una realtà complessa sul piano extragiuridico, attribuisce all’amministrazione un potere di giudizio del fatto, come tale opinabile. 


B) IL SINDACATO GIURISDIZIONALE SULLA DISCREZIONALITA’ TECNICA (EVOLUZIONE O INVOLUZIONE?)

1) Le amministrazioni sono chiamate a svolgere compiti di crescente complessità, a causa dell’innovazione scientifica e tecnologica, della diffusione globale (e celere) delle conoscenze, e più di recente per effetto dell’emergenza sanitaria. 

A fronte di ciò affiora il dato di comune esperienza per cui, malgrado il crescente bisogno di conoscenze tecniche e di adeguamento organizzativo gli Enti pubblici – per ridimensionare i propri apparati nel rispetto dei vincoli di natura finanziaria – si sono privati di buona parte delle professionalità tecniche.

Alla crescente “specializzazione” dell’amministrazione si è contraddittoriamente accompagnato un “impoverimento” delle sue competenze tecniche.

Il quadro descritto si ripercuote innanzi al giudice amministrativo chiamato a dirimere il contenzioso: nella complessità e nella globalizzazione, egli è chiamato a padroneggiare o perlomeno a trattare adeguatamente tecniche e arti complicate (costruzioni, software, apparati radio, emissioni nocive, tecniche agricole raffinate, etc.). 


2) È a tutti noto che l’orientamento tradizionale della giurisprudenza in materia assimilava la discrezionalità tecnica alla discrezionalità amministrativa, riconoscendo soltanto un sindacato estrinseco cioè un controllo formale ed esteriore sull'iter logico seguito dall'amministrazione e/o sulla irragionevolezza macroscopica della decisione. Si riteneva che l’attività di valutazione coincidesse con il “merito amministrativo” (rigidità solo in parte temperata dalla distinzione tra discrezionalità tecnica e accertamento tecnico puro). Questo indirizzo risentiva indubbiamente della struttura demolitoria del processo amministrativo e dall’esigua platea di mezzi istruttori utilizzabili.

Tale impostazione si è scontrata con la crescente insoddisfazione di quanti imputavano al giudice amministrativo un’eccessiva distanza dai fatti controversi e – anche sulla spinta della dottrina – è stata inaugurata una nuova tecnica di giudizio. 

Il Consiglio di Stato, sez. IV – 9/4/1999 n. 601, in un giudizio di infermità dipendente da causa di servizio, ha innovativamente distinto tra l’apprezzamento opinabile e l’opportunità, consistente nella comparazione degli interessi implicati nella fattispecie (dove la valutazione attiene al merito). L’opinabilità dell’apprezzamento incide sulla tecnica di controllo giudiziario del fatto, nel senso che il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nell’esprimere il giudizio, e tuttavia il sindacato di legittimità non si arresta al profilo estrinseco e formale del controllo logico sulla motivazione, ma per così dire “penetra all’interno”, con la verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche quanto a correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo. 


3) Il “fatto” è il punto di partenza del ragionamento del giudice, per cui la conoscenza del substrato fattuale condiziona la “precomprensione da cui muove l'interpretazione” finalizzata alla risoluzione della controversia. 

Il G.A., a seguito della progressiva estensione del sindacato e dell'apertura del processo ad una pluralità di azioni, può essere chiamato a conoscere i presupposti tecnici e fattuali del potere (avvalendosi del consistente ampliamento dei mezzi istruttori): chi giudica deve in altri termini poter percepire e valutare i fatti rilevanti per decidere anche avvalendosi delle leggi della scienza o della tecnica. 

Nel giudizio amministrativo “la componente del “fatto” ha ormai raggiunto lo stesso peso di quella del “diritto”, sia quando il processo amministrativo ha per oggetto l'annullamento di un atto, sia quando assume la configurazione di un giudizio di accertamento sull'esercizio (o mancato esercizio) del potere, o di tipo risarcitorio. 

In tale prospettiva, il giudice è quindi sollecitato a superare “lo schermo del provvedimento” e compiere una talora faticosa opera di scavo nella realtà oggettiva, che può richiedere l'apporto di saperi tecnici (che egli normalmente non possiede). E’ così necessario superare la disinclinazione giudiziale all’accertamento dei fatti (definizione della dottrina) e appoggiarsi a soggetti che abbiano le conoscenze necessarie per compiere la razionalizzazione pre-giuridica del dato fattuale che precede, logicamente, l'applicazione della norma giuridica. 


4) La dottrina lamenta che (con riguardo a determinate materie specialistiche) prevale un timore in capo al giudice cosicché la tecnica funge sostanzialmente da limite del sindacato, “alimentando l'impressione che il presunto rispetto di una non dichiarata riserva di amministrazione e l'invece dichiarata mancanza di cognizioni tecniche celino la consapevole esigenza di accordare prevalenza a certe sfere di interessi, per sacrificarne altre”. Invece “In altri casi, …, quella che, secondo gli insegnamenti tradizionali … dovrebbe rimanere una verifica della correttezza e ragionevolezza delle operazioni tecniche compiute manifestamente sconfina in un inammissibile giudizio del giudice circa la condivisibilità o meno della decisione fino a giungere, in casi limite, ad un giudizio addirittura di “maggiore attendibilità”, con la conseguenza che la sfera dell'opinabilità dei parametri tecnici utilizzati rischia di sovrapporsi alla sfera dell'opportunità della decisione finale. 

Così si esprime Cecilia Sereni Lucarelli, Considerazioni sull’attività consultiva nell’ottica del sindacato del giudice sulle valutazioni tecniche, in Diritto amministrativo, fascicolo 1, marzo 2021, pag. 213. Lamenta l’autrice che “In altri casi, il piano della complessità tecnica viene confuso con quello dell'inadeguatezza della motivazione e alle parti è richiesto di dedurre «l'esistenza di specifiche figure sintomatiche dell'eccesso di potere» in quanto il sindacato resta tuttora ancorato al parametro della ragionevolezza tecnica”.

Fabio Saitta, nella rivista “Il processo” fasc. 3, dicembre 2020, pag. 749, nel riflettere sul sindacato del G.A. sulle valutazioni tecniche delle autorità indipendenti ritiene che negli ultimi anni il Consiglio di Stato sia tornato ad assumere posizioni di retroguardia, dimostrando una certa ritrosia all'impiego della consulenza tecnica d'ufficio e limitandosi, in concreto, ad un sindacato estrinseco tradizionale dell'iter logico seguito dall'amministrazione nell'effettuare la valutazione tecnica.

Secondo la citata dottrina, se è oramai dato pacifico che il giudice amministrativo abbia una “piena signoria sul fatto”, anche sotto il profilo del suo contenuto tecnico diviene necessario un ripensamento degli strumenti a sua disposizione per evitare che la natura tecnica della decisione possa fungere, in alcuni settori, da schermo di scelte arbitrarie dell'amministrazione in sede procedimentale, di fatto insindacabili dal giudice nella fase processuale, ovvero legittimi, in altre materie, una sostituzione con il giudice dell'amministrazione in assenza di un adeguato apprezzamento tecnico.


5) Nella lectio magistralis su “Giustizia amministrativa: evoluzioni e prospettive” il Presidente del Consiglio di Stato (webinair 24/11/2020 organizzato dall’Università di Bologna) ha affermato che <<Il giudice che non conosca direttamente il “fatto”, senza l’intermediazione del provvedimento, non è un giudice. Ma la cognizione, nel nuovo processo, non solo concerne la piena conoscenza del fatto, ma estende il controllo di legittimità alla discrezionalità tecnica. In virtù di ciò, in settori tradizionali (per esempio, quello dei beni culturali o dei concorsi universitari, mentre resiste quello degli esami di abilitazione) o di più recente rilevanza (soprattutto quello delle sanzioni e della regolazione economica, sia pure con accenti che devono restare differenti), l’area del “merito” amministrativo resta confinata alla scelta vera e propria, mentre il giudice valuta se la scelta effettuata in concreto sia quella dotata di “maggiore attendibilità” e non semplicemente quella comunque riconducibile al novero delle opzioni possibili. Con il solo ovvio limite della sostituzione di una propria scelta a quella amministrativa>>.


6) Conviene partire proprio dalla giurisprudenza in materia di concorsi universitari, per la quale si può pervenire a conclusioni opposte rispetto a quelle raggiunte dalla dottrina. Quando si cimenta sui giudizi espressi dalle Commissioni nei confronti degli aspiranti professori, il G.A. esplora probabilmente norme tecniche a lui maggiormente congeniali. 

T.A.R. Lazio Roma, sez. III – 13/4/2021 n. 4284, premette che, “… le valutazioni della Commissione di una procedura concorsuale per posti di professore universitario costituiscono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica o - secondo altri - di valutazioni tecniche, che da tempo sono pienamente sindacabili dal giudice amministrativo sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, sia sotto l'aspetto più strettamente tecnico, come è stato peraltro più volte ribadito ormai da più di un decennio anche con riguardo specifico ai concorsi universitari” (vengono citati in proposito vari precedenti d'appello, tra cui Cons. St., sez. VI, 11 marzo 2008, n. 1038 e n. 2141 del 2010). Nel suo ricorso, il professore lamentava “che i nuovi elementi di giudizio recati dall'avversato verbale non consentono di rinvenire alcun riferimento puntuale alle modalità di valutazione della qualità della produzione scientifica; di definizione di "riviste di settore", degli indicatori bibliometrici, della capacità di finanziamento, dei riconoscimenti nonché, in particolare, della modalità di valutazione comparativa nell'ambito della produzione scientifica (qualità e indicatori bibliometrici)”. Chiarisce il T.A.R. che “Nei passi successivi del motivo vengono specificati vari profili della sintetizzata censura, infra partitamente illustrati in uno con il loro scrutinio, nei limiti dell'economia motivazionale della presente sentenza, appuntati sulla c.d. normalizzazione dei punteggi, sulla asserita macroscopica illogicità e disparità di trattamento emergenti dalla comparazione del giudizio formulato sulla ricorrente in confronto con quello espresso su altri candidati conseguenti punti inferiori per l''H Index complessivo e per quello nei 10 anni; sulla valutazione scientifica erronea valutazione della capacità di acquisizione di fondi e riconoscimenti ottenuti e allegati dal PI”. Il motivo viene accolto e il giudice di prime cure si diffonde sulla normalizzazione dei punteggi e sull’iter procedimentale che si discosta – a suo avviso – dalle Linee guida del MIUR. 


C) LA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI FINANZIAMENTI PUBBLICI (PRIMA PARTE): IL G.A. INDAGA E APPROFONDISCE IL FATTO, MALGRADO IL RIPETUTO RICHIAMO AL “SINDACATO DEBOLE”.

In diverse pronunce assistiamo al costante richiamo ai limiti – noti e consolidati in giurisprudenza – dei poteri del giudice sull’esercizio del potere di discrezionalità tecnica. Ciononostante, i profili di illogicità e incongruenza in relazione ai fatti di causa vengono sottoposti ad accurata indagine. 


1) Una causa ha avuto per oggetto il finanziamento di un progetto di sviluppo agricolo nell'ambito del Patto territoriale dell'area Ionico Etnea (approvato con il D.M. 30/4/2001 n. 2510), ossia una somma concessa dall’amministrazione, tramite una banca finanziatrice, per un miglioramento fondiario da ottenersi con la tecnica della micropropagazione: si tratta di una tecnica di selezione del materiale vegetale che avviene con la propagazione di una pianta che permette di ottenere un clone della stessa, ovvero un insieme di individui dotati dello stesso patrimonio genetico. Inoltre, gli investimenti finanziati riguardavano la costruzione di un fabbricato per la realizzazione del laboratorio (di micropropagazione) e l’acquisto di locali da adibire ad uffici, di attrezzature, mobili e software.

Dopo alcune varianti – nella vicenda ripercorsa dal giudice d’appello – è iniziata una lenta riduzione degli intenti iniziali, con rinuncia all'acquisto dei locali da adibire ad uffici e (fatto ancor più determinante) con la vendita del fabbricato che ospitava il laboratorio di micropropagazione. Detta alienazione era seguita dalla rinuncia alla relativa parte del finanziamento con la dichiarazione che l'attività di produzione in vitro sarebbe proseguita in altri locali. Il soggetto finanziatore riscontrava che l'investimento si era sostanzialmente ridotto del 90%, e che fondamentalmente era venuto meno il programma organico funzionale inizialmente approvato. Afferma C.G.A. Sicilia – 24/6/2021 n. 612 che “Dinanzi a questa realtà di fatto, che non viene sostanzialmente smentita, anzi è palesemente descritta nell'atto di appello, non possono trovare ingresso le censure di difetto di motivazione, difetto di istruttoria mancanza del presupposto et similia”. I giudici richiamano anche l’art. 9 comma 3 del D. Lgs. 123/98 il quale recita che “Qualora i beni acquistati con l'intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all'intervento, è disposta la revoca dello stesso, il cui importo è restituito …”. Puntualizzano altresì che altre parti preventivate che non sono mai passate in una fase di realizzazione, come l'acquisto degli uffici. Ma soprattutto rilevano che l'alienazione dell'edificio in cui era situato il laboratorio di micropropagazione, investe non “una delle tante parti del progetto, ma del cuore del progetto stesso, che vedeva appunto come tema centrale lo sviluppo agricolo, uno sviluppo di tipo scientifico che ruotava intorno proprio alla micropropagazione”. 

Conclude il C.G.A. affermando – con formula rituale – che “Si deve inoltre aggiungere che il governo di questa procedura attiene spiccatamente ad un'alta concentrazione di discrezionalità tecnica e non si può tacciare di irrazionalità il richiamo ad un quasi totale venir meno di quello che era il progetto iniziale e come tale oggetto di finanziamenti pubblici”. 


2) Il titolare di una ditta individuale è insorto contro il diniego della domanda di finanziamento nell'ambito del Programma di Sviluppo Rurale della Campania, Progetto integrato giovani. Ha ravvisato l’erroneità della motivazione fondata sulla criticità secondo cui non sarebbe stata comprovata, al momento della presentazione della domanda, la disponibilità delle future superfici a cui la stessa ricorrente fa riferimento nel Piano di Sviluppo aziendale, con conseguente incertezza dei supposti redditi futuri e, quindi, della complessiva sostenibilità economica dell'iniziativa.

T.A.R. Campania Salerno, sez. I – 1/6/2021 n. 1375 sottolinea inizialmente che “anche con riguardo alle selezioni per l'attribuzione di contributi o finanziamenti pubblici, la giurisprudenza ritiene pacificamente che l'Amministrazione gode di una certa discrezionalità nella valutazione delle proposte progettuali presentate dai concorrenti ai fini della verifica della loro ammissibilità al finanziamento: i relativi giudizi sono, pertanto, insindacabili in sede giurisdizionale, a meno che non vengano in rilievo manifeste illogicità o erroneità nelle valutazioni compiute (Cons. Stato, Sez. III, 14 giugno 2018, n. 3694; Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 861)”.

Dopo questa massima, invero, gli apprezzamenti della Regione vengono ritenuti supportati da argomenti sostenibili e ancorati a parametri oggettivi e verosimilmente affidabili. Viene ritenuta immune da illogicità o irragionevolezza o da travisamento della realtà fattuale la ragione spesa dalla Regione a supporto della negativa valutazione del progetto, “poggiando essa su rilievi che valorizzano, plausibilmente e verosimilmente, l'incertezza e l'elevata aleatorietà dell'investimento programmato dalla ditta ricorrente, la cui sostenibilità economica appare decisivamente condizionata all'acquisizione della disponibilità - puramente ipotetica e in alcun modo suffragata sul piano documentale - di una quota, ulteriore e assai cospicua, di fondi agrari per le coltivazioni, di guisa che, secondo quanto affermato dalla Regione e non smentito dalla ricorrente, "la dotazione di terreni aziendali passerebbe da Ha 2,30 a 4,20 con un aumento quasi del 100%"”. Aggiunge il T.A.R. che il vaglio è avvenuto in una congiuntura in cui il "mercato fondiario della Provincia di Salerno, a causa delle innumerevoli istanze presentate nell'ambito delle misure del PSR, ha vissuto e vive ancora una profonda crisi, registrando la forte tendenza a trasferire alle generazioni successive in ambito familiare i terreni in possesso. Tale situazione genera una bassa disponibilità di terreni agricoli e comunque a prezzi di fitto o acquisto molto elevati". E’ stato escluso, pertanto, il dedotto eccesso di potere nel quale sarebbe incorsa la Regione, con un’analisi compiuta della situazione di fatto.


3) T.A.R. Calabria Reggio Calabria – 22/2/2021 n. 150 esamina il caso di una domanda di aiuto sul Piano di Sviluppo Regionale in Agricoltura, per gli investimenti in immobilizzazioni materiali. La domanda è stata accolta solo parzialmente, con diniego di quota parte del contributo per una serie di ragioni ossia: (i) la mancata disponibilità di una parte dei terreni su cui avrebbero dovuto essere realizzate alcune delle opere (serre ed impianto irriguo) in ragione di un contratto di affitto ritenuto non valido ai fini della libera fruibilità dei terreni in discorso, (ii) la mancanza di indicazioni catastali e di elementi probatori circa il risparmio idrico derivante dalla realizzazione di un impianto di irrigazione, (iii) la mancata descrizione del laboratorio apistico (rientrante nella domanda) nella relazione tecnica, (iv) il venir meno della necessità di recintare le nuove serre.

Il T.A.R. analizza il contratto di affitto (non integrato per iscritto dai proprietari perché parte ricorrente potesse legittimamente effettuare le opere di miglioramento fondiario oggetto della richiesta di finanziamento), prende atto della mancanza di elementi probatori (dati tecnici) sul risparmio idrico indotto dal nuovo impianto, rileva che il business plan fa riferimento non alla realizzazione di un laboratorio per il trattamento del miele ma all’appoggio a una ditta della zona. Pur trattandosi all’evidenza di valutazioni non complesse (che non hanno richiesto l’esperimento di CTU/verificazione) le medesime tuttavia presuppongono un’appropriata comprensione del substrato fattuale, frutto di un’indagine accurata. 


4) Il Consiglio di Stato, sez. II – 18/9/2020 n. 5470, affronta il caso del titolare di una ditta individuale esercente attività di commercio al dettaglio di articoli di cartoleria al quale sono state denegate agevolazioni finanziarie di cui al D. Lgs. 185/2000 (imprenditoria giovanile, destinataria di sovvenzioni dirette a promuovere sia la professionalità di soggetti privi di occupazione, sia la formazione di una cultura d’impresa).

La progettualità del ricorrente viene stigmatizzata dall’amministrazione in primo luogo in termini di carenza di validità tecnica, economica e finanziaria, stante che “l'importo complessivo degli investimenti previsti determina un'elevata esposizione finanziaria iniziale, a fronte della quale non sono state indicate adeguate fonti di copertura” così da renderne non dimostrata “la sostenibilità finanziaria” ed essendo incompleto il piano degli investimenti, che non prevede beni strumentali “strettamente necessari alla realizzazione dell'iniziativa”. Viene poi introdotto un tema di particolare interesse. Infatti, i giudici d’appello statuiscono quanto segue.

<<Giova premettere come la necessità di apprezzare in modo particolarmente rigoroso gli elementi che fondano la previsione favorevole di finanziamento di iniziative imprenditoriali a carico dell'erario costituisca principio unanimemente affermato dalla giurisprudenza, anche comunitaria. In particolare, l'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha affermato la necessità di far emergere valori pubblicistici nel settore imprenditoriale interessato dall'erogazione di misure finanziarie, in quanto ogniqualvolta " l'Autorità nazionale, ovvero quella Comunitaria, si risolve ad erogare una provvidenza economica in favore degli imprenditori operanti in un settore, a tale determinazione -unitamente a considerazioni relative alla opportunità o necessità di favorire od incentivare lo sviluppo o la crescita del settore via via prescelto - si accompagna la considerazione che le condizioni del libero mercato non garantirebbero adeguatamente il perseguimento delle dette esigenze se con incentivate attraverso la erogazione di misure lato sensu "compensative" dello stato di difficoltà in cui vengono a trovarsi gli imprenditori del settore" (cfr. Cons. Stato, A.P. 7 giugno 2012, n. 20). Esse sono dunque preordinate al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende, pur implicandolo, quello dei destinatari, il che "vale a dire che in ogni operazione di finanziamento non è intellegibile solo un interesse del beneficiario, ma anche quello dell'organismo che lo elargisce il quale, a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obbiettivi del superiore livello politico istituzionale; logico corollario è che le disposizioni attributive di finanziamento devono essere interpretate in modo rigoroso e quanto più conformemente con gli obbiettivi avuti di mira dal normatore, anche allo scopo di evitare che si configurino aiuti di stato illegittimi">>.

Alla luce di ciò raggiunge la conclusione seguente: “La particolare natura di tale giudizio si riflette sulla latitudine del sindacato del giudice amministrativo in guisa da escludere che questi possa sostituirsi all'organo valutatore, esorbitando dai confini di un sindacato estrinseco, secondo cui "il giudice amministrativo non può mai sostituirsi all'amministrazione nell'esercizio di valutazioni discrezionali, al di fuori dei tassativi casi di giurisdizione di merito stabiliti dalla legge" (cfr. Cons. Stato, A.P., 9 giugno 2016, n. 11). In tale logica, il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, in sede di legittimità, è limitato ai profili di incompetenza e di violazione di legge e, quanto al vizio di eccesso di potere, lo stesso può essere vagliato solo per profili di irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione (cfr. ex multisCons. Stato, sez. IV, 9 marzo 2018, n. 1508, riferita a fattispecie analoga)”. La questione degli aiuti, dell’interesse pubblico sotteso e dei limiti comunitari sarà ripresa in seguito.


D) LA CTU E LA VERIFICAZIONE FRUTTO DELLA DISCREZIONALITA’ AMPIA DEL GIUDICE 

1) E’ necessario rispondere all’interrogativo circa la loro utilità nella fattispecie affrontata dal giudice. 

L’art. 63 comma 4 Cpa dispone testualmente che “Qualora reputi necessario l'accertamento di fatti o l'acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l'esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica”.

Il quadro normativo attuale è ormai univocamente orientato a soddisfare il “fabbisogno” di celerità e rapidità della decisione. Il principio di ragionevole durata del processo è un cardine (costituzionale e euro-unitario) della giustizia sostanziale. Oltre alla normativa specifica acceleratoria in materia di appalti (il nuovo art. 120 comma 6 Cpa specifica che “qualora le parti richiedano congiuntamente di limitare la decisione all'esame di un'unica questione, nonché in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessità della causa” alla definizione in sede cautelare con sentenza in forma semplificata) assistiamo alle ulteriori “spinte” del D. Lgs. 9/6/2021 n. 80 conv. in L. 6/8/2021 n. 113 di attuazione del PNRR per l’efficienza della giustizia, per la decisione rapidissima (calendarizzazione a una Camera di consiglio estremamente ravvicinata ) di tutti i “ricorsi suscettibili di immediata definizione” ex art. 72-bis Cpa neo-introdotto. Va citato, in questo rapidissimo excursus, il divieto di disporre la cancellazione della causa dal ruolo, se non per situazioni eccezionali da verbalizzare (art. 73 comma 1-bis). 

Il G.A. resta garante del principio di rilievo comunitario della “effettività della tutela”, e gli spetta una piena cognizione del fatto, secondo i parametri della disciplina in concreto applicabile. Spetta al dunque giudice effettuare una valutazione preliminare di attendibilità e coerenza delle scelte concretamente compiute e, soltanto se, all'esito di tale valutazione, affiorino dubbi più o meno consistenti, può ammettere il mezzo istruttorio ritenuto adeguato (in questo senso, T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I – 21/10/2015 n. 1621, pur riformata in appello): la consulenza tecnica d'ufficio è utilizzabile solo nel rispetto del limite del sindacato giurisdizionale e, quindi, soltanto se ed in quanto il provvedimento impugnato appaia già prima facie affetto da vizi. O comunque se affiorano dubbi sull’attendibilità dell’indagine tecnica. 


E) LA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI FINANZIAMENTI PUBBLICI (SECONDA PARTE): ESPERIENZE DI QUESTIONI VAGLIATE IN FATTO E IN DIRITTO

1) T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I – 22/1/2019 n. 72 affronta il caso di un’impresa di 17 dipendenti che esercita attività di falegnameria con lavorazione e riparazione di manufatti in legno, nonché il commercio di mobili. Rappresenta di effettuare la produzione di arredamenti “su commissione”.

Avendo partecipato al bando INAIL annuale che finanzia interventi migliorativi delle condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro, la lite è insorta sul diniego della domanda per l’acquisto di un macchinario di ultima generazione (sinteticamente: Rover), che avrebbe dovuto “limitare al più basso valore tecnologicamente fattibile l’esposizione dei lavoratori alle polveri di legno”, aventi natura cancerogena, e di “automatizzare il ciclo produttivo, sostituendo il macchinario tradizionale che essendo posizionato in vari reparti, rilascia polveri in tutti gli ambienti”. In particolare, il progetto prevedeva la dismissione di quattro macchine utensili “di falegnameria tradizionale” ormai obsolete e la loro sostituzione con quella sopra indicata.

INAIL si pronunciava negativamente per l’inutilizzabilità delle analisi ambientali condotte, l’elaborazione di rapporti di prova non corrispondenti al metodo ufficiale, l’impossibilità di acquisire ulteriori elementi in quanto le macchine obsolete sono state allontanate dai capannoni (oltre ad un ulteriore vizio di natura formale). Dopo un contraddittorio, INAIL confermava la posizione sfavorevole rilevando che “… permane l'impossibilità di quantificare la polverosità di ogni singola macchina oggetto di sostituzione e conseguentemente la sua effettiva contribuzione all'esposizione del lavoratore; pertanto, a fronte di tale carenza documentale del livello espositivo, si conferma che il progetto non risulta ammissibile a contributo”. 

Posto che bando (art. 1 dell’avviso pubblico) prescriveva un “documentato miglioramento” delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori rispetto alle condizioni preesistenti, riscontrabile con quanto riportato nella valutazione dei rischi aziendali, e che la ricorrente aveva prodotto relazioni tecniche, il T.A.R. investito della controversia ha disposto il compimento di una prima verificazione, tra l’altro per “approfondire le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, effettuando una comparazione – sulla base dei macchinari ad oggi presenti e (per quelli dismessi) della documentazione disponibile – dei livelli di salute e sicurezza fra lo stato precedente alla sostituzione dei macchinari e quello attuale” e “formulare nella misura possibile un giudizio, anche di semplice attendibilità e verosimiglianza (alla luce dell’avvenuto definitivo mutamento irreversibile dello stato di fatto), circa un effettivo e apprezzabile miglioramento del livello di salute dei lavoratori esposti”.

La prof.ssa incaricata dall’Università di Brescia ha concluso che “Il fatto di avere eliminato alcuni macchinari obsoleti e molto utilizzati porta quindi a ritenere, sulla base dei modelli disponibili, che vi possa essere una ragionevole riduzione dei livelli di esposizione a polveri di legno duro dei lavoratori”;

All’esito del riesame imposto dal T.A.R. con l’ordinanza cautelare di accoglimento, INAIL confermava la propria precedente decisione sfavorevole. Nello specifico, sosteneva che le conclusioni del verificatore erano basate su elementi contraddittori ed errati, in quanto resterebbe indimostrata una variazione in riduzione del rischio di inalazione di polveri di legno duro, determinata dall’acquisto del Rover (i campionamenti dell’impresa sarebbero affetti da plurime criticità). 

La ricorrente proponeva motivi aggiunti, assumendo principalmente l’elusione della misura cautelare. Con ordinanza il T.A.R., però, assecondava la posizione di INAIL, e decideva di disporre una seconda verificazione incaricando il Direttore del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.

L’attività supplementare di verificazione doveva contemplare “… un giudizio circa l’effettivo e apprezzabile miglioramento del livello di salute dei lavoratori esposti, mettendo a confronto i due macchinari, …, sulla base delle loro caratteristiche tecniche e delle modalità di funzionamento (fornendo, nei limiti del possibile, dati tecnici di raffronto dettagliati)”.

Dopo ampie premesse sulle tipologie di macchinari ed esame della documentazione tecnica (manuale di istruzioni), l’esperto ha confrontato il ciclo di lavorazione di pannelli in legno eseguito dai 2 strumenti (vecchio e nuovo), tenendo conto del tempo di utilizzo rispetto ai metri quadrati complessivi prodotti, e la diversità delle mansioni richieste all’operatore: il professore ha affermato che dal raffronto tra i macchinari presenti prima e dopo le dismissioni, “si evidenzia una riduzione di tale durata di esposizione al rischio espositivo per metro quadrato di pannello in legno lavorato pari al -22,6%”. Il tempo di esposizione al rischio gioca un ruolo fondamentale, e quindi una riduzione di tale tempo pari a -22,6% risulterebbe essere un miglioramento significativo del livello di rischio per la salute dei lavoratori esposti. In definitiva l’esperto ha ritenuto che “l’introduzione del centro di lavoro Rover … con la contestuale dismissione del pantografo … abbia verosimilmente permesso un miglioramento significativo del livello di rischio per la salute dei lavoratori esposti”.

La conclusione è stata confermata da un ulteriore modello di studio di tipo “predittivo”. Sia pure a mero esercizio di previsione, facendo riferimento ai macchinari oggetto di causa si ricava la stima di esposizione ante operam 1,25 [mg/m3] e post operam 0,86 [mg/m3], che corrisponde a una riduzione teorica pari a -30,9%. 

Il T.A.R ha accolto il ricorso, ritenendo che le “valutazioni illustrate possono essere recepite dal Collegio al termine dell’ampia esposizione effettuata, secondo l’iter logico – chiaro ed esaustivo – intrapreso dal prof. … (peraltro, in sintonia con le riflessioni sviluppate …). In proposito, non si ravvisano ragioni per discostarsi dalle convergenti conclusioni dei due esperti incaricati, supportate dagli ampi passaggi motivazionali elaborati soprattutto nella seconda perizia”.

La “doppia” CTU si è rivelata necessaria ed ha avuto un esito univoco.

Ha ritenuto il Collegio che “INAIL ha dunque assunto una posizione intransigente, arrestandosi al rilievo (rivelatosi corretto) dell’incompletezza del materiale fornito da Zetadesign, senza tuttavia esplorare il versante sostanziale ossia l’efficacia dell’acquisto del nuovo macchinario e la sua coerenza con le finalità perseguite dal bando (consistenti nel miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori rispetto alla situazione preesistente). In buona sostanza, l’incompletezza dei dati esibiti dalla Società che ha formulato domanda di finanziamento avrebbe dovuto indurre l’amministrazione a indagare i reali effetti dell’impiego del centro di lavoro Rover …”.

Ha chiarito anche il T.A.R. che <<Il compito affidato ai verificatori non ha provocato un’indebita “invasione di campo” del giudice amministrativo nell’ambito delle valutazioni rimesse alla discrezionalità tecnica dell’amministrazione procedente. Il “miglioramento” delle condizioni di salute in un ambiente di lavoro (con il vaglio dei macchinari coinvolti e del loro contributo all'esposizione del lavoratore) è riconosciuto all’esito del giudizio dell’amministrazione competente, che deve sussumere la fattispecie concreta nei presupposti descritti in astratto dalla norma (nel caso di specie: il bando INAIL). Dette valutazioni possono presentare margini di opinabilità, e sono sindacabili in sede di giurisdizione generale di legittimità per tutti i vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, comprese le figure sintomatiche dell’eccesso di potere: il giudice adito non può sovrapporre la propria valutazione a quella dell’amministrazione, fermo però restando che anche su di essa è esercitabile il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza (Consiglio di Stato, sez. IV – 10/5/2018 n. 2798)>>.


2) Un esempio ulteriore si rinviene tra le decisioni del giudice d’appello, ed è relativo ad un bando per progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale in aree individuate dal PNR, che prevedeva una procedura selettiva a mezzo di piattaforma telematica.

La domanda di un Consorzio veniva esclusa dalla competizione per intempestività nella presentazione. Nel ricorso, assumeva che la tardività era imputabile al malfunzionamento del sistema informatico di accesso alla procedura a ridosso della scadenza del termine. In primo grado, il T.A.R. Lazio accoglieva il ricorso.

In appello, il Consiglio di Stato disponeva verificazione sul sistema informatico e sul suo corretto funzionamento nella data in oggetto. Il verificatore, dopo aver distinto il “rallentamento” dal “malfunzionamento”, ha escluso quest’ultimo, ma ha acclarato una “serie di comportamenti anomali della piattaforma causati da una intrinseca fragilità di progettazione della … stessa ed innescati da azioni degli utenti che, in alcune circostanze, addensate nella fase (compulsiva) finale di chiusura del bando, hanno inconsapevolmente determinato situazioni che la piattaforma non era in grado di gestire correttamente”; nello specifico ha dimostrato che il sistema utilizzato nel caso di specie “funziona solo con la cooperazione attiva degli utenti che non devono mettere in pratica accessi multipli con le stesse credenziali” e che “questa pratica è "rischiosa" solo in un sottoinsieme di casistiche e circostanze”, le quali “si possono verosimilmente verificare quando più utenze concorrenti stanno tentando di accedere in aggiornamento alla stessa risorsa definita a livello di progettazione del database, ….”.

Il Collegio ha dichiarato di non ignorare che la giurisprudenza si è largamente espressa nel senso che il principio secondo il quale nel procedimento amministrativo (ivi compresi quelli selettivi), l'istituto del soccorso istruttorio non può essere invocato utilmente dal candidato incorso in una sia pure incolpevole mancata indicazione di un profilo della domanda, sebbene rilevante, per un elementare e certo non sproporzionato principio di autoresponsabilità in materia, prima ancora che per il rispetto della par condicio tra i candidati e dei principi di efficienza e di efficacia dell'azione amministrativa e che tale principio trova applicazione a maggior ragione laddove si tratti della selezione di progetti che aspirano alla distribuzione di scarse risorse pubbliche (citando, tra le molte, Cons. Stato, Sez. III, 18 gennaio 2021 n. 531 e 4 ottobre 2016 n. 4081).

Ha aggiunto che, tuttavia, il suesposto ragionamento “non può operare laddove la domanda di una selezione non sia stata presentata per fatto non imputabile, obiettivamente ed interamente, al comportamento del candidato ovvero riferibile ad una sua non capacità (o adeguatezza) tecnica di base accompagnata però dall'assenza di strumenti di recupero e conoscenza (predisposti e messi a disposizione dall'amministrazione procedente ovvero dal gestore della piattaforma telematica) che possano metterlo sull'avviso circa i pericoli tecnici collegati alla presentazione della domanda sulla piattaforma individuata dall'amministrazione procedente quale unico luogo tecnico-giuridico idoneo alla presentazione della manifestazione di volontà a partecipare alla selezione”.

Ha specificato sul punto che, in materia di selezioni per l'affidamento di commesse pubbliche, materia pienamente assimilabile alla selezione di progetti per l'assegnazione di finanziamenti pubblici, la giurisprudenza ha saldamente affermato che, laddove la stazione appaltante abbia condotto la gara telematica senza ravvisare malfunzionamenti impeditivi della piattaforma messa a disposizione “non può essere escluso dalla gara un concorrente che abbia curato il caricamento della documentazione di gara sulla piattaforma telematica entro l'orario fissato per tale operazione, ma non è riuscito a finalizzare l'invio a causa di un malfunzionamento del sistema, imputabile al gestore” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. V, 20 novembre 2019 n. 7922). Nel medesimo senso si è chiarito che “se rimane impossibile stabilire con certezza se vi sia stato un errore da parte del trasmittente o, piuttosto, la trasmissione sia stata danneggiata per un vizio del sistema, il pregiudizio ricade sull'ente che ha bandito, organizzato e gestito la gara” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2020 n. 86).

Nel richiamare il principio di leale collaborazione tra amministrazione e privato, ha ricavato una presunzione prossima alla verosimiglianza <<circa la sussistenza di concause che possono avere reso meno stabile la piattaforma rispetto alla capacità di accoglienza delle domande in una certa giornata del periodo utile per la presentazione delle domande di partecipazione (nella specie il 9 novembre 2017), tali che possono avere determinato "un degrado delle prestazioni non dovuto ad un errore dell'applicazione in senso stretto, ma ad una concomitanza di eventi che ha provocato un'anomalia di funzionamento oggettivamente riscontrata dagli utenti" (così, nelle sue conclusioni, la relazione finale del verificatore), costituiscono elementi tutti che militano nel senso della doverosità del soccorso istruttorio nei confronti della candidata che, non solo per sua (cor)responsabilità, non ha potuto presentare adeguatamente la domanda di partecipazione alla selezione>>. Consiglio di Stato, sez. VI – 30/6/2021 n. 4918


3) Il giudice di prime cure ha esplorato una vicenda culminata nell’annullamento della concessione di un contributo erogato nell'ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Emilia Romagna (per l'acquisto di una macchina raccogli-pomodoro), sul presupposto che unitamente alla domanda di contributo erano stati depositati preventivi di spesa non veritieri in quanto, pur risultando gli stessi provenienti da tre diverse Società, i preventivi sarebbero stati in realtà tutti redatti da dipendenti di una delle tre, all'insaputa delle altre.

E nel caso in esame, una dimostrazione di congruità ex ante non è stata effettivamente fornita, essendo stato accertato che l'unico preventivo attendibile presentato era quello dell’unica ditta, di fatto quindi favorita a danno di altre ditte che non hanno potuto "partecipare" alla selezione, con connessa impossibilità per la Provincia di valutare a monte, attraverso il confronto tra tre preventivi attendibili, la congruità del contributo richiesto, a prescindere dall'eventuale correttezza del prezzo indicato nel preventivo depositato, a fronte della oggettiva non concorrenzialità tra i tre preventivi. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II – 29/10/2020 n. 690, che non risulta appellata


4) Ancora T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II – 12/1/2021 n. 12, che non risulta appellata, ha affrontato il caso di una domanda di contributo per riconversione del vigneto (costi di reimpianto) sulla base del regolamento UE 1308/2013, come attuato dalla Giunta regionale. 

Un parallelo procedimento era stato avviato per l’estirpazione, che veniva concluso positivamente dal Servizio regionale dopo il controllo in situ del 15/5/2019. 

La domanda di aiuto per reimpianto, registrata il 31/5/2019, era approvata e il 18/7/2019 depositata la fine lavori. Un primo controllo del servizio regionale del 16/10/2019 aveva esito positivo. 

Tuttavia il bando affermava che “Nel caso di domande di aiuto collegate a comunicazioni di intenzione all’estirpazione, per consentire l’effettuazione dei controlli ex ante, le operazioni di estirpazione degli impianti vitati, devono essere effettuate a partire dal 31 Agosto 2019 pena l’esclusione della relativa superficie oggetto di intervento”.

Ciò comportava la decadenza del contributo, perché le operazioni di estirpazione erano state intraprese il 18/7/2019 e dunque in data antecedente al 31/8/2019, con inosservanza delle disposizioni della delibera regionale.

In giudizio, la difesa regionale ha sottolineato che l’amministrazione è tenuta ad effettuare un controllo ex ante delle superfici per le quali è stato richiesto il finanziamento, il cui ambito comprende, oltre all’accertamento della sussistenza e consistenza del vigneto (oggetto anche del controllo preventivo finalizzato all’estirpo), la verifica di tutti gli elementi tecnici indicati in domanda ed in particolare la verifica che il vigneto che si intende reimpiantare, ristrutturare o riconvertire abbia caratteristiche diverse – quanto a vitigno, forma di allevamento sesto di impianto – rispetto a quello esistente che si intende estirpare.

Il T.A.R. ha accolto il ricorso. Ha condiviso il rilievo per cui la ratio della previsione (mantenimento dei vigneti fino al 31/8/2019) è quella di consentire l’esecuzione dei controlli ex ante, per assicurare che il vigneto che si intende reimpiantare, ristrutturare o riconvertire abbia “caratteristiche diverse” rispetto a quello esistente che si intende estirpare. Nella scheda analitica allegata alla relazione (ad esito positivo) di accertamento e controllo dello STACP (Servizio Territoriale Agricoltura Caccia e Pesca) in data 29/5/2019 – collegata al diverso procedimento di autorizzazione all’estirpazione – era dettagliato tipo, quantità, anno di impianto e regolare esistenza. Ha affermato il Tribunale che <<Gli operatori dell’organo regionale competente, seppur all’interno di un procedimento parallelo e in data di poco anteriore all’inoltro della domanda di aiuto del 31/5/2019, hanno effettuato un sopralluogo che ha consentito loro di prendere cognizione della situazione di fatto. Inoltre, i dati forniti nel modulo di domanda (ulteriori rispetto a quelli verificati in loco) risultano facilmente verificabili attraverso ulteriori fonti di prova (cfr. documenti ufficiali, fotografie, riprese aeree) così da evitare l’indebita coincidenza tra l’impianto precedente e quello che si intende reimpiantare…. a pagina 5 della memoria conclusionale, la Regione dà atto dell’esistenza di sistemi informatici per effettuare controlli da remoto, che nel caso di specie ben potevano integrare quelli effettuati nell’iter di estirpazione. Peraltro, per comune esperienza le aree destinate all’attività agricola costituiscono oggetto di verifiche con fotogrammi aerei e satellitari (negli ultimi anni vengono utilizzati anche i droni), cosicché appare del tutto inverosimile non poter acquisire – in un determinato orizzonte temporale – le caratteristiche puntuali della tipologia di vitigno impiantata fino a una certa data.

6. In definitiva, gli elementi già acquisiti e quelli acquisibili aliunde inducono a ritenere possibile il raggiungimento dello scopo fissato dalla norma, per cui l’art. 13.2 delle disposizioni attuative non risulta utilmente invocato nella fattispecie di cui è causa, tenuto conto della sua ratio>>.


5) In alcuni casi il giudice amministrativo interviene su questioni di puro diritto, per cui si prescinde dalla verificazione. 

Così il Consiglio di Stato, sez. III – 22/2/2019 n. 1236 si è pronunciato sull’esclusione da una graduatoria formata per l’erogazione di contributi finalizzati alla promozione del vino italiano nei paesi extra UE campagna 2016-17 (misura comunitaria tendente a migliorare la competitività dei prodotti). Una Società consortile aveva presentato la domanda per tre progetti, e la sua esclusione si è fondata sulla violazione dell'art. 6 comma 3 del D.M. 18/5/2016 (per cui “il beneficiario non ottiene il sostegno a più di un progetto per lo stesso mercato del paese terzo nella stessa annualità. Tale preclusione è valida anche in caso di progetti pluriennali in corso e in caso di partecipazione del beneficiario a progetti presentati da raggruppamenti temporanei”).

La pronuncia, invero, rileva per aver affrontato il profilo del mancato soccorso istruttorio da parte dell’amministrazione che, ad avviso della Società consortile, avrebbe dovuto consentire la modifica soggettiva del raggruppamento o la rinuncia da parte dei componenti al progetto per il finanziamento regionale.

E’ stata sul punto richiamata la giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, che ha più volte sottolineato che le opportunità di regolarizzazione, chiarimento o integrazione documentale non possono tradursi in occasione di aggiustamento postumo, cioè in un espediente per eludere le conseguenze associate dalla legge o dal bando o per ovviare alle irregolarità non sanabili conseguenti alla negligente inosservanza di prescrizioni tassative imposte a tutti i concorrenti, pena la violazione del principio della par condicio (Consiglio di Stato Sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5698). In particolare, nelle procedure comparative e di massa, caratterizzate dalla presenza di un numero ragguardevole di partecipanti, il soccorso istruttorio, previsto dall'art. 6, comma 1, lettera b), della L. n. 241 del 1990 non può essere invocato, quale parametro di legittimità dell'azione amministrativa, tutte le volte in cui si configurino in capo al singolo partecipante obblighi di correttezza - specificati mediante il richiamo alla clausola generale della buona fede, della solidarietà e dell'autoresponsabilità - rivenienti il fondamento sostanziale negli artt. 2 e 97 Cost., che impongono che quest'ultimo sia chiamato ad assolvere oneri minimi di cooperazione, quali il dovere di fornire informazioni non reticenti e complete, di compilare moduli, di presentare documenti (Cons. Stato Sez. III, 24 novembre 2016, n. 4932; n. 4931; Ad. Plen., 25 febbraio 2014 n. 9).

Con riferimento specificamente ai contributi pubblici è stato ribadito che “in ogni operazione di finanziamento non è intellegibile solo un interesse del beneficiario ma anche quello dell'organismo che lo elargisce il quale, a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obbiettivi del superiore livello politico istituzionale; logico corollario è che le disposizioni attributive di finanziamento devono essere interpretate in modo rigoroso e quanto più conformemente con gli obbiettivi avuti di mira dal normatore, anche allo scopo di evitare che si configurino aiuti di stato illegittimi” (cfr. Consiglio di Stato IV 12 gennaio 2017 n. 50).


6) Da ultimo sono meritevoli di segnalazione altre due pronunce:

- Consiglio di Stato, sez. V – 29/1/2020 n. 727, sull’esclusione di un operatore economico che ha inoltrato più istanze di partecipazione; la presentazione di più domande da parte di soggetto giuridico unitario, sebbene variamente articolato nella sua organizzazione, consente la moltiplicazione delle possibilità di rendersi beneficiario del finanziamento in danno degli altri partecipanti: qui è decisivo l'accertamento, anche per via indiziaria, della riconducibilità ad unico centro di interessi delle differenti proposte presentate.

- Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 26/10/2020 n. 23, che si è diffusa sulle conseguenze dell’interdittiva antimafia nel caso di contributi e sussidi, vagliando se ad essa si applichi la cd. clausola di salvezza prevista per i contratti pubblici. 

Ha ritenuto che la salvezza del “pagamento delle opere già eseguite e il rimborso del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, di cui agli articoli 92 comma 3, e 94 comma 2 del D. Lgs. 159/2011 è norma eccezionale di strettissima interpretazione, e va riferita solo al recesso dai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, con esclusione, dunque, delle ipotesi riconnesse alla concessione di finanziamenti pubblici o simili. Esse, in concreto, consentono l'inverarsi di attribuzioni patrimoniali in favore di un soggetto incapace, ed altresì (a voler tacere del dirimente aspetto dell'incapacità) prive di una causa di attribuzione positivamente apprezzata dall'ordinamento. Ha affermato la plenaria che, poiché i contributi risultano concessi in via provvisoria, l'atto c.d. di revoca non rappresenta affatto (come farebbe pensare il nomen) un nuovo provvedimento adottato in autotutela dall'amministrazione nell'esercizio di un potere discrezionale, ma un mero atto ricognitivo che constata l'avvenuta verificazione della condizione risolutiva afferente al contributo ancora precario. Ha sostenuto altresì che “nel caso del finanziamento, non può parlarsi di una "utilità" per l'amministrazione, soggettivamente intesa, ma più esattamente di un interesse pubblico che trascende la mera (sia pur completa e corretta) realizzazione del programma (che invece, ove non realizzato, comporta ex se conseguenze quali la revoca sanzionatoria del finanziamento, oltre alla possibile configurazione di un illecito penale)”. 


F) CENNI AGLI AIUTI DI STATO: GLI INTERESSI PUBBLICI COINVOLTI NELL’ATTRIBUZIONE DEI FINANZIAMENTI

1) Come ha sostenuto la Corte costituzionale (cfr. sentenza 20/4/2018 n. 43) la disciplina degli aiuti pubblici - o meglio delle deroghe al divieto di aiuti pubblici, compatibili con il mercato interno - rientra nell'accezione dinamica di concorrenza, la quale contempla, come detto, le misure pubbliche dirette a ridurre squilibri e a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo degli assetti concorrenziali. Non è priva di valore interpretativo la sistematica del TFUE, che inserisce la disciplina degli aiuti concessi dagli Stati all'interno del Titolo VII, al Capo I, rubricato "Regole di concorrenza". 

L’art. 107 del TFUE recita testualmente “Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

Secondo il Consiglio di Stato, sez. V – 3/9/2020 n. 5352 la finalità di tale disciplina è quella di evitare che il sostegno finanziario pubblico porti ad alterazioni della concorrenza tra le imprese all'interno del mercato comune: è stato, pertanto, chiarito dalla giurisprudenza comunitaria che “vanno considerati aiuti di Stato gli interventi che, sotto qualsiasi forma, siano atti a favorire, direttamente o indirettamente, determinate imprese o che debbano ritenersi un vantaggio economico che l'impresa beneficiaria non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato. In tal senso, sono considerati aiuti, in particolare, gli interventi che, sotto varie forme, alleviano gli oneri che gravano sul bilancio di impresa e che, di conseguenza, senza essere sovvenzioni nel senso stretto del termine, hanno uguale natura e producono identici effetti. L'articolo 107, paragrafo 1, TFUE non distingue tra le cause e gli obiettivi degli interventi statali, bensì li definisce in funzione dei loro effetti e, quindi, indipendentemente dalle tecniche impiegate” (così Corte di Giustizia Unione Europea, sez. II – 25/7/2018 n. 128). Inoltre, giova evidenziare, per quanto qui rileva, che sono ricompresi nella nozione di aiuto non solo quelli concessi dagli Stati membri, ma anche quelli attribuiti mediante risorse statali e, quindi, concessi da enti pubblici o privati designati o istituiti dagli Stati (quali, appunto, gli enti territoriali). Irrilevanti i motivi o gli scopi che hanno indotto all'adozione della misura di aiuto, rilevanti sono invece gli effetti che la stessa produce sulla concorrenza e sugli scambi, alterandola o falsandola. 


2) Va rilevato come la materia dei finanziamenti pubblici alle imprese rientri nel più ampio ambito degli aiuti di Stato, disciplinati dal diritto europeo, e trattandosi di un istituto eccezionale, l'Amministrazione deve disporre il finanziamento nei soli casi e con i limiti previsti dal diritto europeo. Si segnala Consiglio di Stato, sez. III – 25/3/2019 n. 1932, ad avviso del quale “Il finanziamento per cui è causa rientra appieno, con tutta evidenza, nel concetto di aiuto di Stato ed è di per sé compatibile con la normativa europea, che lo ha ammesso in relazione alle zone depresse”. Il Consiglio di Stato, sez. VI – 22/10/2018 n. 6009 ha affermato che “Il divieto degli aiuti pubblici anticompetitivi è un elemento centrale della politica di concorrenza, la cui applicazione è riferita non soltanto agli operatori economici privati, ma anche alle attività economiche svolte da imprese pubbliche o da altri organismi dello Stato, al fine di impedirne un'artificiosa e quindi improduttiva competitività”.

Hanno chiarito i giudici d’appello che “… L'ordinamento europeo è consapevole che, in talune condizioni, l'intervento statale può, tuttavia, corrispondere a legittime esigenze di potenziamento della capacità creativa, tecnologica ed organizzativa della società economica. Per questo motivo, sono consentite alcune "deroghe" (art. 107, 2 e 3) al principio dell'incompatibilità degli aiuti per la realizzazione di obiettivi di comune interesse europeo, ovvero per correggere taluni fallimenti del mercato, nel rispetto dei canoni di necessità e proporzionalità. …. In ragione del fatto che non tutti gli aiuti hanno un impatto rilevante sugli scambi e sulla concorrenza tra gli Stati membri, l'ordinamento europeo ha introdotto, per gli aiuti di importo poco elevato, generalmente accordati alle piccole e medie imprese, una regola - detta "de minimis" - che fissa una cifra assoluta al di sotto della quale, in ossequio a un'esigenza di semplificazione amministrativa, l'aiuto non è più soggetto all'obbligo della comunicazione …”. 


E) CONCLUSIONI

Trattando il tema dei “finanziamenti pubblici” entrano in gioco interessi pubblici preminenti (valori come la concorrenza, parità di trattamento, corretto uso delle risorse pubbliche) e posizioni sostanziali privatistiche, regole formali-procedimentali e profili sostanziali. 

Il giudice è chiamato a prendere cognizione del fatto ma deve anche dare una corretta lettura alla dinamica procedimentale e applicare i principi di diritto enunciati con la necessaria saggezza. Nel giudizio amministrativo non entra in gioco l’equità ma affiorano i canoni di correttezza, leale collaborazione, proporzionalità. L’obiettivo da raggiungere può essere il medesimo del processo civilistico, ossia la giustizia nel caso singolo. Il giudice amministrativo deve agire secondo il prudente apprezzamento, in una cornice di libertà e di assenza di condizionamenti costituzionalmente garantita. Occorre per questo prestare attenzione agli effetti negativi connessi all’introduzione del meccanismo della responsabilità diretta del magistrato (proposta mediante referendum abrogativo). Il rischio forte è quello di un appiattimento su orientamenti tradizionali e consolidati, con un livello di “timidezza” nei confronti dei nuovi approdi stavolta indotto dalle possibili (e plausibili) richieste risarcitorie dirette. 



Share by: