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L’ammissibilità dell’impugnazione, nel rito appalti, di nuovi atti con ricorso autonomo anziché con motivi aggiunti.

a cura di Nicola Fenicia • 1 febbraio 2021

T.A.R. Lazio, sez. II, 15 gennaio 2021, n. 610


IL CASO

Nel caso in commento, l’impresa ricorrente, dopo aver impugnato la propria esclusione da una gara indetta dalla Consip, nella pendenza del relativo giudizio, ha impugnato con separato e autonomo ricorso il sopraggiunto provvedimento di aggiudicazione della gara in favore di una terza impresa. 

Il T.A.R. del Lazio ha dichiarato l’inammissibilità del nuovo ricorso sulla base della disposizione recata dall’art. 120, comma 7, c.p.a., secondo cui tutti gli atti della stessa procedura di gara, che sopravvengono a quelli gravati con il ricorso principale, devono essere impugnati con atto di motivi aggiunti.


LA DECISIONE

Ha osservato il T.A.R.: “…La regola generale sulla facoltà della proposizione dei motivi aggiunti avente ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento è dunque sovvertita dall’art. 120, comma 7, c.p.a., nell’ambito delle controversie sugli “atti delle procedure di affidamento … relativi a pubblici lavori, servizi o forniture” (art. 120, comma 1, c.p.a.). La possibilità di proporre motivi aggiunti aventi ad oggetto la domanda impugnatoria è stata quindi esclusa dal legislatore per lasciare posto al dovere, che va inteso quale onere a carico dell’interessato, di proporre motivi aggiunti. Così come il ricorrente non può proporre un ricorso autonomo e separato, allo stesso modo, per evidenti ragioni di garanzia del contraddittorio, deve ritenersi precluso al giudice, qualora i “nuovi atti” siano stati impugnati con ricorso autonomo e separato, provvedere alla riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 70 c.p.a.. Si può in conclusione affermare che ciò che nel rito ordinario è eccezione (ossia facoltà di proporre motivi aggiunti) nel rito sugli appalti pubblici diviene regola (ossia onere di proporre motivi aggiunti). Peraltro, l’aver individuato quale unico mezzo di tutela idoneo per gravare gli atti della procedura di gara adottati nel corso di un giudizio già instaurato costituisce una scelta del legislatore, assunta nell’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui gode nel conformare i mezzi di tutela delle posizioni sostanziali della parte (artt. 24, 103 e 113 Cost.), che appare improntata, per le ragioni predette, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza ed adeguatezza (cfr., Corte costituzionale 25 giugno 2019, n. 160). La disciplina dell’art. 120, comma 7, c.p.a., non prevede tuttavia in modo espresso una sanzione per la sua violazione. Ciononostante non è possibile ritenere che la disposizione in esame costituisca un precetto senza sanzione e ciò sia per il principio di non contraddizione dell’ordinamento (che non può vietare una condotta, anche processuale, senza poi lasciare priva di sanzione la condotta che si è posta in essere in violazione del precetto) sia per la peculiare tipologia di controversie che vengono in emersione sia ancora per la natura giuridica della previsione che, in quanto disposizione processuale, ha natura di ordine pubblico interno in alcun modo derogabile. Alla luce degli ordinari criteri di interpretazione letterale, logica e sistematica, è ben possibile per l’interprete individuare le conseguenze giuridiche che l’ordinamento collega alla violazione del precetto sancito nell’art. 120, comma 7, c.p.a.. Sotto il profilo letterale, l’art. 120, comma 7, c.p.a., prevede chiaramente e in forma cogente che tutti i nuovi atti che riguardano la medesima procedura di gara “devono” essere impugnati con “ricorso per motivi aggiunti”. Come si è detto, l’inciso “devono” esprime un onere, e non una facoltà, a carico dell’interessato che, laddove abbia avviato un contenzioso sugli “atti delle procedure di affidamento” che riguardano “pubblici lavori, servizi o forniture”, è tenuto a proporre motivi aggiunti nell’ambito dello stesso giudizio già instaurato e non un autonomo ricorso che dà vita ad un distinto giudizio…La conseguenza che ne deriva va individuata nell’escludere la possibilità per il ricorrente di giungere ad una pronuncia sul merito della controversia mediante il mezzo processuale eletto in violazione del divieto posto dalla legge. Il risvolto processuale della violazione di tale disposizione non può che essere l’inammissibilità del ricorso così proposto…”.


ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE

La decisione del T.A.R. in commento induce alcune riflessioni: se si guarda infatti alla ratio dell’art. l'art. 120, comma 7, del c.p.a. pare ragionevole ritenere che tale prescrizione non sia imposta a pena di inammissibilità e che ove sia proposto un nuovo, separato ricorso avverso i nuovi atti della procedura di gara, il giudice possa riunirli ai sensi dell’art. 70 c.p.a. senza con ciò recare pregiudizio alla rapida definizione e all’unicità del giudizio. 

D’altro canto, in questo senso si era espresso il Cons. Stato, sez. III, 20 giugno 2012, n. 3597, secondo cui: “Tale disposizione ha lo scopo di consentire la sicura trattazione in un unico contesto processuale delle diverse questioni che, in determinate materie, una stessa parte intende far valere avverso diversi atti della stessa procedura di gara. La violazione della indicata disposizione non determina, tuttavia, l’inammissibilità del nuovo ricorso eventualmente proposto in modo autonomo, e regolarmente notificato alle controparti, non essendo stata prevista l’automatica applicazione della sanzione dell’inammissibilità del nuovo ricorso e la violazione può essere sanata attraverso la richiesta di trattazione congiunta del nuovo ricorso con il ricorso precedentemente proposto.”. 

Nella fattispecie decisa dal Consiglio di Stato però sappiamo che la stessa società ricorrente aveva indicato nel secondo ricorso, proposto avverso l’aggiudicazione della gara, la pendenza del precedente ricorso avverso il bando di gara e ciò aveva consentito al T.A.R. di riunire i due ricorsi, raggiungendo lo scopo che la norma aveva inteso salvaguardare. 

Non è un caso che l’adempimento in questione, pur qualificato come doveroso, non sia espressamente sanzionato con l’inammissibilità del ricorso autonomamente proposto. Piuttosto, la norma sembra configurare un onere per la parte ricorrente di proporre motivi aggiunti avverso i nuovi atti anziché un ricorso separato; con l’effetto che la conseguenza del mancato compimento di tale onere non è, di per sé e automaticamente, l’inammissibilità del ricorso separato, ma solo la possibilità che ciò possa verificarsi, se non è possibile assicurare altrimenti la concentrazione del giudizio avverso i più atti della medesima procedura di gara. 

Ma se invece la riunione dei ricorsi è concretamente attuabile, e magari la parte ricorrente ha segnalato al Collegio la pendenza di un originario ricorso avverso un precedente atto della medesima procedura di gara, non si vede perché non si debba consentire al nuovo ricorso autonomamente proposto di raggiungere il proprio scopo difensivo, al contempo rispettando la necessità di assicurare il simultaneus processus nei confronti di tutti gli atti della procedura di gara. E ciò semplicemente disponendo, appunto, la riunione dei ricorsi, ovvero utilizzando, a sanatoria, lo strumento processuale precipuamente deputato a soddisfare le esigenze di concentrazione ed economia dei giudizi. 

Viceversa, sanzionare con l’inammissibilità il ricorso avverso il nuovo atto della procedura, solo perché autonomamente proposto, pare irragionevole e sproporzionato.

Dunque, si può dire che la regola imprescindibile nel rito appalti è che tutti gli atti afferenti la medesima gara di appalto, successivi a quelli originariamente impugnati, devono essere contestati davanti al giudice già adito e che ha competenza inderogabile sulla gara; quanto allo strumento dell’impugnazione è previsto come obbligatorio quello dei motivi aggiunti, ma senza che sia esclusa la possibilità di sanatoria/riunione nel caso di proposizione di ricorso autonomo.

Diverso, invece, è se l’atto sopravvenuto e connesso alla medesima procedura di gara sia impugnato dinanzi a un giudice territorialmente diverso da quello presso cui pende il ricorso originario (si pensi ad un atto dell’Anac): in questi casi, mancando il presupposto della pendenza dei ricorsi innanzi al medesimo giudice, la riunione non sarà possibile e il mancato rispetto del precetto di cui all’art. 120, comma 7, porterà con sé inevitabilmente l’inammissibilità del ricorso autonomamente proposto.

Si comprende dunque come il precetto di cui al comma 7 dell’art. 120 c.p.a. sia volto anzitutto a garantire la competenza funzionale di un unico giudice - e nell’ambito di un unico giudizio - su tutti gli atti afferenti alla medesima procedura di gara; ciò dovrebbe orientare l’interprete nell’individuarne l’esatta portata applicativa.


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