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L’autotutela nel diritto tributario: rapporti con l'autotutela amministrativa e autotutela sostitutiva

Alma Chiettini • 10 gennaio 2025

Cass. Civile, Sezioni Unite, 21 novembre 2024, n. 30051


La pronuncia che si va a segnalare definisce alcune questioni di somma importanza e attualità: I limiti per l’esercizio della autotutela in diritto tributario quanto alla natura dei vizi dell’atto impositivo (solo in presenza di vizi formali oppure anche per vizi di carattere sostanziale); l’ammissibilità di provvedimenti di annullamento e di sostituzione dell’atto viziato in malam partem per il contribuente; i rapporti tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo. 

E' una sentenza che afferma di non voler “compendiare il vasto dibattito giurisprudenziale e dottrinale” in materia di autotutela, ma che, in realtà integra davvero un completo e aggiornato compendio della materia. 

Rinviando alla lettura del testo per i copiosi richiami giurisprudenziali (anche del Giudice amministrativo) e per la ricostruzione dei diversi orientamenti, è doveroso evidenziare che la pronuncia precisa, univocamente, che nel “più ampio fenomeno dell’autotutela amministrativa si inserisce, pur con tratti di specificità ed autonomia, l’autotutela tributaria, il cui quadro normativo ha caratteri in parte comparabili". 

Ecco perché l’analisi della portata degli artt. 21 quinquies (revoca del provvedimento), 21 septies (nullità del provvedimento), 21 octies (annullabilità del provvedimento) e 21 novies (annullamento d’ufficio) della l. n. 241 del 1990, analisi che consente l’enumerazione dei seguenti caratteri comuni tra l’autotutela amministrativa e l’autotutela tributaria: 

- anche l’autotutela tributaria consiste nel potere dell’Amministrazione finanziaria, che può essere esercitato d’ufficio o su istanza di parte, di annullare o rettificare un proprio atto, affetto da un vizio; anch’essa è espressione di un potere ancorato al soddisfacimento di un interesse pubblico, nella specie a reperire le entrate fiscali legalmente accertate;

- anche l’autotutela tributaria si realizza con un procedimento di secondo grado: oggetto del riesame è l’atto impositivo precedentemente adottato e non, direttamente, la pretesa fatta valere con quest’ultimo;

- anche il procedimento di autotutela tributaria si può concludere con l’annullamento, la modifica o la convalida dell’atto viziato, nonché, in caso di annullamento, con l’adozione di un nuovo atto sostitutivo del primo ed emendato dai vizi che lo avevano inficiato.

Quanto alle differenze tra i due istituti, la principale è il fatto che l’autotutela amministrativa è un’attività caratterizzata dalla discrezionalità amministrativa innanzi a interessi legittimi, mentre l’autotutela tributaria riguarda atti conseguenti a presupposti impositivi definiti dalla legge, dunque di natura vincolata, e interviene su posizioni di diritto soggettivo.

Nondimeno, anche l’autotutela tributaria può presentare connotazioni di discrezionalità e, da ultimo, col d.lgs. n. 219 del 2023 (che ha abrogato l’art. 2 quater del d.l. n. 564 del 1994 e il d.m. n. 37 del 1997, nonché modificato l’art. 13 della l. n. 212 del 2000) pure un regime di obbligatorietà. Il tutto, comunque, entro il limite strutturale dell’autotutela tributaria, che consiste nell’avvenuta decadenza del potere di accertamento

Attualmente, e precisamente con decorrenza 18 gennaio 2024, la disciplina dell’autotutela è contenuta negli artt. 10 quater (che elenca i casi da ritenere tassativi in cui l’autotutela è obbligatoria) e 10 quinquies (sull’autotutela facoltativa) della l. n. 212 2000 (introdotti dall’art. 1, lett. m), del d.lgs. n. 219 del 2023). E tale disciplina legittima la pari considerazione delle ipotesi, speculari, in cui il vizio dell’atto riversa i suoi effetti nei confronti del contribuente o nei confronti dell’erario.

In conclusione, l’autotutela nel diritto tributario costituisce un potere dell’Amministrazione finanziaria che trova il suo fondamento nelle stesse norme che giustificano l’esercizio delle potestà attive per la esazione dei tributi. Ne deriva che la possibilità del suo esercizio - anche reiterato - permane inalterata per il principio di perennità dell’azione, salvi solo i limiti derivanti dai termini di decadenza per l’esercizio delle attività di accertamento per i singoli tributi ovvero dall’avvenuto passaggio in giudicato di sentenza favorevole all’Amministrazione finanziaria. Essa è, inoltre, un procedimento di secondo grado, poiché investe l’atto già adottato in quanto illegittimo, di cui è operato un riesame al fine del suo annullamento, sostituzione, modifica o conferma. Tuttavia, l’azione dell’Amministrazione, pur doverosa a fronte dell’illegittimità dell’atto impositivo, è caratterizzata da discrezionalità quanto all’esercizio concreto del potere di autotutela, dovendo valutare la sussistenza di un interesse generale alla revisione dell’atto alla luce del complesso degli interessi coinvolti. La recente riforma, prevedendo casi di autotutela obbligatoria, ha temperato tale connotazione, rendendo doverosa, per le ipotesi ivi considerate, l’attivazione del procedimento di revisione dell’atto illegittimo.

La disciplina positiva appare orientata, in prevalenza, a consentire l’emersione delle ipotesi di illegittimità dell’atto impositivo in danno del contribuente; la stessa però non esaurisce gli spazi dell’autotutela tributaria, che si può realizzare anche nelle situazioni in cui l’illegittimità determini un pregiudizio per l’erario, che risultano, in molti casi, speculari e necessariamente implicate in quelle oggetto di specifica considerazione a favore del contribuente.

Da ciò l’enunciazione di tre principi di diritto, che sono qui sintetizzati:

1. il potere di autotutela tributaria trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa;

2. l’autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall’accertamento integrativo (previsto dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972), che pure comporta l’emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l’atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d’imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l’esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso; ne consegue che il requisito della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva, ancorché fonte di una maggiore imposizione;

3. in caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità.




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