L’esame di avvocato e la motivazione “ballerina”

dalla Redazione • 5 aprile 2025

Ci sono alcuni curiosi e interessanti cortocircuiti su istituti giuridici importanti (processuali e non) tra Giudici di primo grado e Giudici di secondo grado della magistratura amministrativa, che a intervalli più o meno regolari ritornano a galla.

Un conflitto attuale di portata fortemente impattante sulle prossime generazioni di giovani avvocati – di coloro cioè che si accingono a partecipare (per possibilmente superarle) alle prove dell’esame di abilitazione – nasce dalle norme che disciplinano lo specifico tema nell’ambito della professione forense.

La disciplina in materia, prima di essere novellata con la L. n. 247 del 2012, era dettata dal r.d.l. n. 1578 del 1933, come modificato e integrato nel 2003.

In linea generale, l’art. 22, comma 9, del r.d.l. n. 1578/1933 attribuisce alla Commissione centrale istituita presso il Ministero della Giustizia il potere di fissare i criteri di giudizio delle prove scritte, mentre l’art. 17-bis, r.d. n. 37 del 1934 prevede che le stesse consistano in tre elaborati, per la valutazione dei quali ognuno dei cinque componenti delle commissioni dispone di dieci punti di merito.

La commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori, con annotazione immediata del voto deliberato in calce all’elaborato.

Con la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 247 del 2012, il legislatore ha riformato in toto l’ordinamento della professione forense, novellando anche la disciplina dell’esame di abilitazione.

L’art. 46, comma 5, della legge del 2012 pone in capo alla commissione uno specifico onere motivazionale, innovando in tal senso il precedente assetto normativo e stabilendo che la commissione medesima annoti “le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti”.

Tuttavia, l’applicabilità della nuova disciplina, ivi compreso, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, il disposto rafforzamento dell’obbligo motivazionale, è stata differita dal successivo art. 49 fino al corrente anno.

Nelle more, il Legislatore, oltre ad avere rinviato anno dopo anno l’applicabilità delle nuove modalità d’esame, ha introdotto disposizioni ad hoc per lo svolgimento delle differenti sessioni annuali, ma il problema della consistenza da dare alla motivazione è rimasto e anzi si è aggravato.

E’ sufficiente o meno il voto numerico nei giudizi espressi dalla commissione esaminatrice?

Il tema è stato vagliato negli anni sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella costituzionale.

Il Giudice delle leggi, in un primo tempo, con la sentenza n. 28/2006, ha dichiarato inammissibili le questioni di illegittimità delle norme del vecchio ordinamento forense, nella parte in cui avrebbero consentito la formulazione di una motivazione solo numerica per l’attribuzione del voto alle prove di esame per l’abilitazione alla professione forense.

La Corte ha ritenuto che all’epoca la giurisprudenza amministrativa fornisse un panorama articolato di possibili soluzioni interpretative (tra cui anche la tesi dell’apprezzabilità caso per caso della sufficienza e idoneità del punteggio numerico), e che dunque non sarebbe stato corretto, da parte sua, dare l’avallo “a favore di una determinata interpretazione della norma”.

Pochi anni dopo, con la sentenza n. 20/2009, la Corte costituzionale ha preso atto dell’evoluzione della giurisprudenza amministrativa ed ha riconosciuto che la tesi della sufficienza del voto solo numerico si era consolidata, costituendo ormai un vero e proprio “diritto vivente”. La questione, pur ritenuta ammissibile, venne però respinta nel merito, in quanto i parametri di costituzionalità denunciati afferivano all’aspetto processuale della tutela, non preclusa di per sé dalla ritenuta sufficienza del voto numerico.

Successivamente, la Consulta ha anche precisato che dall’art. 17-bis, comma 2, del r.d. n. 37 del 1934, coordinato con i successivi artt. 23, comma quinto, e 24, primo comma, sarebbe emerso che “il criterio prescelto dal legislatore” per la valutazione delle prove scritte nell'esame di avvocato era in ogni caso quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, e che sarebbe bastata ai fini della legittimità e della congruità della valutazione espressa la mera graduazione del dato numerico stesso.

In un passaggio importante, però, la Corte ha altresì evidenziato che la ritenuta adeguatezza motivazionale del solo punteggio numerico risponderebbe alle esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione, le quali rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove.

In altri termini, i criteri di economicità e di efficacia che regolano il procedimento amministrativo in genere giustificherebbero in questo caso la scelta del modulo valutativo adottato dal legislatore.

Quando però è sopravvenuta la legge 2012 n. 247, che, come visto, ha imposto l’apposizione di osservazioni positive o negative nei vari punti dell’elaborato a motivazione del voto, è stato subito evidente che il Legislatore aveva adottato un’impostazione innovativa rispetto a quella salvaguardata dalla Corte costituzionale, imponendo un obbligo motivazionale ulteriore rispetto al solo voto numerico.

Di tale innovazione non ha evidentemente preso atto l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 7 del 2017), la quale, nelle more dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ha ribadito l’inapplicabilità dell’art. 46, comma 5, della l. n. 247/2012, a fronte di una disposizione che ne differisce l’applicazione, con scelta, quella del differimento, ritenuta non irragionevole perché non producente effetti distorsivi sul piano della tutela.

E’ stata così ancora una volta confermata la capacità e l’idoneità del voto numerico, attribuito in base a criteri predeterminati, ad esprimere e sintetizzare il giudizio tecnico-discrezionale della commissione senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, atteso che il voto medesimo garantirebbe la trasparenza del giudizio.

Sono trascorse le stagioni, e con esse le alterne vicende dell’esame di avvocato (la cui struttura ha ovviamente risentito anche degli effetti della pandemia), fino a quando la sessione dell’anno 2023, disciplinata da una norma ad hoc (art. 4-quater del d.l. n. 51 del 2023), ha addirittura previsto lo svolgimento di una sola prova scritta (oltre ad un esame orale in caso di superamento della prima), per la cui valutazione ognuno dei tre componenti della sottocommissione avrebbe avuto a disposizione dieci punti di merito, senza ovviamente specificare alcun particolare onere motivazionale in capo agli esaminatori.

E’ stato lecito a questo punto chiedersi – e così hanno cominciato a fare alcuni Tribunali, sulla spinta dei ricorsi giurisdizionali proposti dai candidati “bocciati” con un semplice numerino – se la particolare situazione di fatto su cui si era basata la Corte costituzionale nel ritenere sufficiente la motivazione meramente numerica sia adesso cambiata.

Tanto per dirne una, la contrazione nel tempo del numero dei candidati e delle prove da correggere ha determinato il necessario contenimento dei tempi di correzione.

Ad esempio, proprio nella sessione dell’anno 2023 hanno partecipato un numero di candidati molto minore rispetto alle precedenti (9.703 aspiranti avvocati a fronte di 27.451 partecipanti alla sessione del 2016, a cui si riferiva la decisione assunta dall’Adunanza Plenaria nel 2017), e questi stessi candidati hanno dovuto redigere un solo elaborato scritto, a fronte delle tre prove previste dalle sessioni svoltesi sino al 2019.

E’ dunque ancora possibile sostenere, nell’attuale contesto, che la finalità di garantire il buon andamento dell’azione amministrativa renda inesigibile la formulazione da parte della Commissione di una motivazione ulteriore rispetto al solo punteggio?

Altra domanda che è lecito porsi è se la scelta operata dal Legislatore con l’art. 46 della legge n. 47 del 2012 (c.d. motivazione rafforzata), pur non sostanziandosi attualmente nell’obbligo di apposizione di specifiche annotazioni – in conseguenza del reiterato rinvio sull’applicabilità di tale norma – abbia comunque un valore precettivo “indiretto”, orientando le commissioni ad apporre quanto meno dei segni grafici idonei a palesare le parti dell’elaborato ritenute insufficienti o particolarmente meritevoli in relazione ai criteri valutativi dettati dalla normativa di riferimento per ciascuna sessione.

Una diversa interpretazione potrebbe invero porre un problema di irragionevolezza della disciplina legislativa che ha imposto il differimento delle nuove norme, anno dopo anno, specie se si considera che, con il passare del tempo, si possono attenuare le ragioni, di regola legate alla necessità di approntare una disciplina attuativa, che suggeriscono di rinviare l’efficacia di una riforma legislativa.

Il netto cambiamento del contesto di base in cui è maturata l’esigenza di differimento dell’introduzione della motivazione rafforzata (eccessivo numero di domande dei candidati all’esame) potrebbe infatti indubbiamente fare sorgere un problema di coerenza della disciplina stessa con la ratio che la ispira e con la nuova situazione di fatto.

Si potrebbe dunque ipotizzare che l’ulteriore differimento dell’applicabilità della riforma dell’esame di avvocato riguardi soltanto le modalità di correzione degli elaborati scritti indicate dal legislatore del 2012, e non già il più generale obbligo di motivazione rinforzata, che deve oramai ritenersi introdotto nell’ordinamento.

L’alternativa sarebbe quella di sollevare questione di legittimità costituzionale, una volta realizzata l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina di rango primario.

Sotto questo profilo, il Tribunale amministrativo per la Lombardia, con una recentissima pronuncia, ha ritenuto di potere fornire, rispetto all’ultima legge di proroga, un’interpretazione compatibile con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 della Costituzione, e ha ritenuto necessario che fin da subito i giudizi espressi dalla commissione d’esame siano supportati da una motivazione ulteriore rispetto a quella solo numerica, motivazione che, seppure non debba necessariamente consistere nell’apposizione di annotazioni, consenta di percepire, secondo modalità rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, le ragioni del giudizio espresso, in modo ulteriore e più specifico rispetto a quanto si realizza con il voto numerico. [1]

Con la conseguenza che dovrebbe andare “in soffitta”, nel caso di specie, anche la tesi secondo cui la rigida parametrazione dei criteri di valutazione costituirebbe un sufficiente presupposto per l’adeguatezza della motivazione numerica.

E il Consiglio di Stato? Cosa ne pensa il Giudice di appello e insieme di cassazione dei TAR?

Proprio in uno dei ricorsi “gemelli” che ha poi portato alla decisione innovativa – si direbbe quasi “rivoluzionaria” - del Tar Milano, l’ordinanza cautelare che ha riformato quella di primo grado ha così scolpito il suo giudizio sul tema: “(…) contrariamente a quanto assume il Tar, la censura relativa all’attribuzione del solo  voto  numerico non può ritenersi condivisibile alla luce del costante orientamento del Consiglio di Stato che sulla sufficienza del  voto  numerico ad esternare adeguatamente le ragioni del giudizio della Commissione di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si è espressa in senso affermativo (cfr. ex multis, sez. III, ord., 28 giugno 2024, n. 2452; id., ord., 29 settembre 2023, n. 3994; id. 12 aprile 2023, n. 3712; id., sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 56)”. [2]

E adesso? Adesso non resta che aspettare che il Consiglio di Stato si pronunci nuovamente sul motivatissimo, ulteriore provvedimento (stavolta non un’ordinanza cautelare, bensì una sentenza) del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia. Staremo a vedere.

Nel frattempo, la professione di avvocato, che è già diventata una difficile sfida per i giovani laureati che non vogliono o non possono fare altro, si arricchisce di un ulteriore punto interrogativo proprio ai blocchi di partenza, quando servirebbero più che mai regole chiare, trasparenti e uguali per tutti.






[1] TAR per la Lombardia, Milano, sez. III, sent. n. 1170/2025, depositata il 4 aprile 2025.

[2] Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza n. 2965/2024.