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Onere della prova e presunzioni nel processo tributario

Alma Chiettini • giu 16, 2024

Corte di Cassazione, sez. V, 13 giugno 2024, n. 16493


Con il comma 1 dell’art. 6 della l. n. 130 del 2022, entrato in vigore il 16 settembre 2022, è stato aggiunto il comma 5 bis all’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, che così recita: “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

Questa disposizione aveva suscitato immediato interesse negli operatori del diritto, e taluni vi hanno letto una novella disciplina in materia di onere della prova, maggiormente gravoso a carico dell’Amministrazione finanziaria, alla quale spetterebbe fornire una prova puntuale delle violazione che contesta e non potrebbe più ricorrere all’istituto delle presunzioni, con la sola eccezione di quelle assolute iuris et de iure.

La Corte di cassazione è intervenuta sul punto a distanza di poche settimane dall’entrata in vigore del nuova disposizione – in una vicenda riguardante operazioni soggettivamente inesistenti ove, a fronte di un complesso quadro indiziario fornito dall’Ufficio, ha affermato che il Contribuente ha l’onere di dimostrare la buona fede provando che i comportamenti posti in essere integrano l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore commerciale accorto – cogliendo l’occasione per osservare che il comma 5 bis dell’art. 7 si limita a «ribadire in maniera circostanziata, l’onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio. Pertanto, la nuova formulazione legislativa, non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale» (sez. V, 27.10.2022, n. 31878; richiamata da sez. V, 7.3.2023, n. 6772; id., sez. V, 16.6.2023, n. 17423; id., sez. V, 8.1.2024, n. 534).

In seguito – in una vicenda che vedeva la rettifica del reddito avvalendosi delle risultanze del cd. redditometro e nella cui decisione è stato confermato che “la prova contraria del possesso di redditi non imponibili che il contribuente deve fornire, per superare la ricostruzione presuntiva e sintetica del reddito operata dall’Amministrazione, non può limitarsi alla dimostrazione della mera disponibilità di ulteriori redditi o del semplice transito della disponibilità economica nella sfera patrimoniale dello stesso contribuente, perché deve essere data prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso” – la Corte ha nuovamente affermato che "il nuovo comma 5 bis dell’art. 7 non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongono al contribuente l’onere della prova contraria”,

Infatti, la precisazione contenuta nel secondo periodo del comma 5 bis, sul fatto che la fondatezza della prova deve essere valutata “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale”, «salvaguarda le presunzioni legali, quale quella in materia di accertamento sintetico, previste dalla normativa sostanziale tributaria, la cui persistenza non può quindi ritenersi in contrasto con disposizioni sull’onere della prova contenute nel primo e nel terzo periodo dello stesso comma, quale che sia la portata di queste ultime rispetto alla disciplina già evincibile dall’applicazione dell’art. 2697 c.c.» (Cass. civ., sez. V, 30.1.2024, n. 2746; richiamata da sez. V, 22.4.2024, n. 10721; id., sez. V, 22.4.2024, n. 10823).

Da ultimo, con la sentenza qui segnalata – pronunciata in una vicenda in cui era stata contestata l’indebita deduzione di costi e la non spettanza della detrazione IVA per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti – la Corte ha:

- riaffermato i consolidati principi secondo cui: “una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”, e che “l’oggetto specifico dell’onere incombente sull’amministrazione finanziaria non è costituito dalla prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né dalla prova della sua piena consapevolezza della frode ma solo che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale”;

- ulteriormente specificato che il comma 5 bis dell’art. 7 «non costituisce abrogazione, neppure implicita, dell’utilizzo delle presunzioni non legali in materia tributaria e, precisamente, delle presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., ma detta al giudice tributario le regole di valutazione della prova, stabilendo che se questa, anche presuntiva, fornita dall’amministrazione finanziaria, quando ne è onerata, è contraddittoria o insufficiente, allora il giudice deve annullare l’atto impositivo, e allo stesso modo dovrà fare quando addirittura essa manchi, come, invero superfluamente, pure prevede la disposizione in esame»;

- ed ancora, la Corte ha spiegato che “tale disposizione ha chiaramente natura sostanziale posto che tali sono le norme che, come quella in esame, consistono in regole di giudizio la cui applicazione comporta una decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda (mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove). Ne consegue che la disposizione in esame, di natura sostanziale e senza alcuna valenza interpretativa di altre disposizioni in tema di valutazione delle risultanze probatorie, non ha efficacia retroattiva e, quindi, si applica, ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore dell’art. 6 della legge n. 130 del 2022 che l’ha introdotta”.

Invero, tale ultima spiegazione è forse eccedente se, come finora affermato e ribadito dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione normativa, la disciplina sull’onere della prova, comprensiva delle presunzioni che invertono, in parte, la relativa responsabilità, è rimasta immutata.



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