Tar Campania – Napoli, sentenza 16 giugno 2021 n. 4127, est. Di Vita
IL CASO E LA DECISIONE
Nel settembre 2020, quindi in piena emergenza pandemica, il Governatore della Regione Campania emetteva l’ennesima ordinanza contingibile e urgente (n. 70 dell’8 settembre 2020) con la quale, in vista dell'avvio dell'anno scolastico, ha imposto al personale docente e non docente la sottoposizione a test sierologico o tampone, quale indefettibile misura di prevenzione sanitaria, finalizzata alla individuazione di eventuali casi di positività al virus in capo a soggetti asintomatici.
Contro il provvedimento sono insorti diversi dirigenti scolastici, docenti e collaboratori impiegati presso istituzioni scolastiche site nel territorio della Regione Campania.
L’ordinanza imponeva al personale scolastico docente e non docente l’obbligo: i) di sottoporsi al “test sierologico e/o tampone”; b) di esibire l’esito ai propri dirigenti scolastici (ovvero, per le scuole paritarie, al datore di lavoro); c) a questi ultimi, di raccogliere e segnalare alle AA.SS.LL. di riferimento della scuola i nominativi dei soggetti da sottoporre a screening nonché di verificare, antecedentemente all’avvio dell’anno scolastico, che tutto il personale fosse stato sottoposto al predetto monitoraggio, comminando, in caso di violazione, l’applicazione della sanzioni amministrative previste dall'articolo 4, comma 1, del D.L. n. 19/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 35/2020, salvo che il fatto costituisse reato diverso da quello di cui all’art. 650 del codice penale.
I ricorrenti hanno prospettato una serie complessa di motivi di illegittimità dell'ordinanza impugnata, dalla nullità per difetto assoluto di attribuzione (art. 21 septies l. 241/1990) in relazione all’art. 117, comma 2, lett. m), q) e comma 3 e agli artt. 3 e 32 della Costituzione, alla violazione dell’art. 32 della L. n. 833/1978 e dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, per assenza dei presupposti di contingibilità ed urgenza, previa contestazione del
difetto di istruttoria del provvedimento (in quanto i test sierologici non sarebbero stati risolutivi per la diagnosi della patologia, posto che l’eventuale assenza di anticorpi riscontrati dai predetti accertamenti non avrebbe escluso l’esistenza di una infezione in fase precoce), la disparità di trattamento tra gli stessi operatori scolastici (essendo destinata, l'ordinanza, solo a coloro che avrebbero dovuto prestare servizio entro il 24.9.2020), la violazione dei principi di proporzione e ragionevolezza, la violazione dell’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020, in relazione alla previsione di uno screening obbligatorio di cui non vi era traccia nei successivi d.P.C.M. del 30.4.2020 e del 7.9.2020.
La Regione Campania ha sostenuto, invece, che l’efficacia della misura regionale sarebbe cessata in seguito all’adozione del d.P.C.M. del 13.10.2020 e che comunque la disciplina dettata dall’ordinanza risulterebbe “ampiamente superata dal naturale scorrere degli eventi, senza la necessità di alcun intervento dell’autorità giudiziaria” e non sarebbe stata confermata in ordinanze successive, con le quali il Presidente della Regione Campania aveva disposto la sospensione della c.d. “attività didattica in presenza” e confermato le misure di prevenzione disposte con altre ordinanze.
Il Tribunale adito, dopo avere respinto la domanda cautelare per carenza del periculum in mora ex art. 55 c.p.a., alla luce della sopravvenuta modalità scolastica di c.d. didattica a distanza disposta durante il periodo emergenziale, ha introitato la causa per deciderla nel merito nel giugno del 2021.
Superati i profili di improcedibilità del ricorso, in ragione dell'incertezza normativa in ordine alla sopravvenuta inefficacia del provvedimento impugnato e dell'assenza di interventi in autotutela da parte dell'amministrazione regionale - con perdurante interesse dei ricorrenti a conseguire un vaglio di legittimità da parte dell’adito Tribunale -, il Giudice amministrativo di primo grado ha annullato l'ordinanza regionale.
La normativa rilevante ratione temporis e l’esistenza del cd. rischio specifico
Il T.A.R. compie una accuratissima quanto necessaria disamina delle norme coinvolte nella decisione, e lo fa in ragione della eccepita incompetenza regionale ad adottare provvedimenti in materia di Covid nella materia in questione, avendo la Regione Campania, di fatto, imposto al personale scolastico un trattamento sanitario obbligatorio.
Il punto di partenza è l'art. 1 del D.L. n. 19/2020, convertito dalla L. n. 35/2020, il quale prevedeva che allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid 19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, potevano essere adottate una o più misure, tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, reiterabili e rinnovabili fino al termine dello stato di emergenza, con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico, da esercitare nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente.
Il successivo art. 2, comma 1, attribuiva il potere di emanare tali misure al Presidente del Consiglio dei Ministri (mediante i noti “ d.P.C.M.”) nonché ai Presidenti delle Regioni interessate, ovvero al Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
L’art. 3 del citato D.L. 19/2020 (confermato dal successivo D.L. n. 33 del 16.5.2020, convertito dalla L. n. 74/2020, art. 1, comma 16) ha inteso attrarre allo strumento del d.P.C.M. la competenza all'adozione delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica da Covid 19, lasciando alle Regioni esclusivamente l'adozione di eventuali misure interinali “ulteriormente restrittive” ricomprese tra quelle di cui all’art. 2, comma 1, che si rendessero necessarie e fossero giustificate da specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario a livello locale.
L’intervento regionale era dunque previsto soltanto in via di urgenza e nelle more dell'adozione dei nuovi d.P.C.M. in materia: quindi, solo al ricorrere di specifiche condizioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario (Cons. St., sez. I, parere n. 735/2020), entro il perimetro delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica attribuite in via ordinaria alla competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri e comunque “nell’ambito delle attività di loro competenza” (legislativa e regolamentare degli enti regionali) e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.
Anche se, a differenza del precedente decreto-legge, il D.L. n. 33/2020, intervenuto successivamente, consentiva alle Regioni anche l’adozione di misure di diversificazione “ampliative” (nei soli casi e nel rispetto dei criteri previsti dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e d'intesa con il Ministro della Salute), il T.A.R. ha ritenuto che ciò non fosse decisivo, come pure non lo fosse la mancanza di un esplicito riferimento alla perimetrazione della regolamentazione regionale “nell’ambito delle attività di loro competenza” così come previsto nel D.L. n. 19/2020.
Il Tribunale ha invece messo in evidenza l’ulteriore elemento innovativo del D.L. n. 33/2020, costituito dall’attribuzione in via esclusiva al potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, da esercitare tramite d.P.C.M., della disciplina relativa alle attività scolastiche, didattiche e formative, alle quali è dedicata una specifica previsione (art. 1 comma 13, il quale dispone che “le attività dei servizi educativi per l'infanzia di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, nonché i corsi professionali e le attività formative svolte da altri enti pubblici, anche territoriali e locali e da soggetti privati, sono svolte con modalità definite con provvedimento adottato ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020”. )
Secondo il T.A.R, pertanto, “in relazione all’attività scolastica e di formazione universitaria e professionale, quindi, il D.L. n. 33/2020 non prevede una potestà derogatoria – in senso restrittivo o ampliativo – delle Regioni, trattandosi di materia interamente riservata a regolamentazione tramite D.P.C.M.; tale conclusione risulta peraltro corroborata dalla considerazione che il legislatore, come si è visto, vi ha dedicato autonoma previsione (comma 13).”
Da questo i giudici napoletani hanno edotto che la decisione del Presidente della Regione fosse priva di fondamento giuridico ed emessa, quindi, in difetto di potere in materia.
In primo luogo, la sottoposizione a screening obbligatorio del personale scolastico docente e non docente e, più in generale, l’imposizione di accertamenti sanitari non figuravano tra le prescrizioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 19/2020 che, secondo la richiamata disposizione, avrebbero potuto essere “aggravate” dalle Regioni.
È stata, infatti, affermata l’afferenza della materia alla potestà legislativa dello Stato, per una diversa serie di ragioni: i) la Regione non ha fornito una diversa ricostruzione ermeneutica e quindi non ha ricondotto la contestata misura ad alcuna delle fattispecie delineate dal richiamato art. 1, comma 2 (es. limitazione circolazione persone, chiusura strade, interventi su eventi e manifestazioni culturali, sportive e religiose, trasporti, sospensione dei servizi scolastici e della presenza negli uffici pubblici, regolazione di attività commerciali, imprenditoriali e professionali, etc.); ii) la Regione non ha motivato in ordine alle “ specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”, e quindi di fatto, non ha motivato in ordine ai dati scientifici “dei casi di positività al virus, per lo più connesso a soggetti asintomatici o paucisintomatici”.
Il T.A.R. campano compie un pregevole passaggio in ordine al principio di precauzione (che, in teoria, potrebbe essere invocato per la necessità di una scelta maggiormente cautelativa in grado di “prevenire e limitare eventuali focolai in ambiente scolastico, che avrebbero gravissime ripercussioni sulla salute pubblica e sulle attività formative e scolastiche”), evidenziando la differenza concettuale che intercorre tra precauzione (limitazione di rischi ipotetici o basati su indizi) e prevenzione (limitazione di rischi oggettivi e provati).
Tale principio, esplicitato dall’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in materia ambientale, e a seguire recepito da ulteriori fonti comunitarie e dai singoli ordinamenti nazionali (artt. 3 ter e 301 del Codice dell’Ambiente) che ne hanno riconosciuto la valenza generale (per effetto dell’art. 1 della L. n. 241/1990 per il tramite del rinvio ai principi dell’ordinamento comunitario), fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l'effettiva esistenza e la gravità di tali rischi e prima che subentrino più avanzate e risolutive tecniche di contrasto (Cons. St., sez. III, n. 6655/2019). Il Consiglio di Stato (sentenze sez. IV, n. 5525/2014; sez. V, n. 2495/2015) ha riconosciuto la legittimità di tale principio, per cui l'azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa.
La decisione in commento fa riferimento a una importante Comunicazione della Commissione Europea, del 2 febbraio 2000, che ha fornito indirizzi in merito alle condizioni di applicazione del principio di precauzione in materia di ambiente e salute, individuandole: a) nella sussistenza di indicazioni ricavate da una valutazione scientifica oggettiva che consentano di dedurre ragionevolmente l'esistenza di un rischio per l'ambiente o la salute umana; b) in una situazione di incertezza scientifica oggettiva che riguardi l'entità o la gestione del rischio, tale per cui non possano determinarsene con esattezza la portata e gli effetti.
Ed è proprio l’assenza del “rischio specifico” che manca, secondo il T.A.R., nell’ordinanza n. 70 del 2020, la quale “non specifica quali dati statistici ed epidemiologici o evidenze scientifiche siano stati utilizzati per corroborare l’avversata scelta amministrativa; viceversa, l’unico parametro riportato in ordine alla potenziale trasmissibilità della malattia infettiva (rischio di contagio “moderato”, con RT puntuale di 0,80 di cui al Report definitivo di Monitoraggio Fase 2 – per il periodo 24-30 agosto 2020) non appare coerente con l’enunciato quadro generale di aggravamento del rischio sanitario che ha condotto alla pratica obbligatoria di screening, non prevista dalla legislazione nazionale.”
La questione delle competenze in materia.
L’altro passaggio importante della decisione in commento, riguarda l’ambito di applicazione del potere regionale.
L’esistenza di una competenza regionale concorrente nella materia dell’istruzione, nonché in quella della tutela della salute e l’istruzione, è indiscutibile.
Tuttavia, per i giudici partenopei, prevalgono i profili ascrivibili alle competenze legislative dello Stato, con specifico riferimento ai principi fondamentali in materia di tutela della salute (art. 117, comma 3, della Costituzione), ai livelli essenziali di assistenza (art. 117, comma 2, lett. ‘m’), alla profilassi internazionale (art. 117, comma 2, lett. ‘q’) e alle norme generali sull’istruzione (art. 117, comma 2, lett. ‘n’).
Il riferimento è alle sentenze della Corte Costituzionale in materia, che hanno sancito a) il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (sentenze n. 5/2018; n. 169/2017, n. 282/2002, n. 338/2003); b) che tali cure avvengano in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.
Ed è fondamentale ribadire che tali principi valgono non solo per le scelte dirette a limitare o a vietare determinate terapie o trattamenti sanitari, ma anche per l’imposizione di ulteriori trattamenti: lo Stato ha quindi l’obbligo e il diritto, anzi il compito, di qualificare come obbligatorio un determinato accertamento o trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili, a maggior ragione quando ciò riguarda la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive, che richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale.
È innovativo il riferimento alla questione delle competenze in materia di profilassi internazionale, di cui all’art. 117, comma 2 lett. q), della Costituzione, nella misura in cui le norme in questione servono a garantire uniformità anche nell’attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale connesse alla emergenza pandemica (Corte Costituzionale, n. 5/2018 in materia di vaccinazione obbligatoria).
La decisione della Regione sulla obbligatorietà dello screening, per contro, si è discostata dalle indicazioni ministeriali, peraltro espressamente richiamate nel provvedimento gravato (nota del Ministero della Salute del 7 agosto 2020 prot. 8722), che fornivano indirizzi operativi per l’effettuazione su base esclusivamente volontaria dei test sierologici sul personale docente e non docente delle scuole private e pubbliche di tutto il territorio nazionale.
Altra competenza violata è quella di cui all’art. 117, secondo comma, lett. ‘n’ della Costituzione, posto che una decisione del genere ben potrebbe rientrare, come materia, tra le “norme generali sull’istruzione” (art. 117, secondo comma, lett. ‘n’ della Costituzione), venendo ad incidere sul complessivo assetto organizzativo del sistema scolastico (Corte Costituzionale, n. 284/2016, n. 62/2013, n. 279/2012), e quindi ricadendo ancora una volta nella potestà del legislatore statale.
Peraltro, i giudici amministrativi hanno ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 13, del D.L. n. 33/2020, la disciplina dell’attività scolastica nel periodo emergenziale è stata attribuita in via esclusiva allo strumento del d.P.C.M. previsto dall’art. 2 del D.L. n. 19/2020, con esclusione del potere derogatorio delle Regioni, tanto meno in senso restrittivo.
Dinanzi a un intervento fondato su tali e tanti titoli di competenza legislativa dello Stato, le attribuzioni regionali recedono, dovendosi peraltro rilevare che esse continuano a trovare altri spazi non indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo all’organizzazione dei servizi sanitari e all’identificazione degli organi competenti a verificare e sanzionare eventuali violazioni.
I trattamenti sanitari obbligatori
L’ulteriore, ma altrettanto importante, questione esaminata dalla Quinta Sezione del T.A.R. Napoli riguarda la spinosa materia dei trattamenti sanitari obbligatori.
Uno screening obbligatorio, attuato mediante test sierologico e tampone, è certamente da considerare un accertamento diagnostico, come descritto nella circolare del Ministero della Salute del 30.10.2020 (“Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”).
In tale materia, pertanto, non è stata ritenuta sostenibile una imposizione con regolamentazione affidata a provvedimenti amministrativi, ostandovi la riserva di legge ai sensi:
- dell’art. 1 della L. n. 180/1978, secondo cui “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”;
- dell’art. 33 della L. n. 833/1978, a tenore del quale “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”;
- dell’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”).
Da qui il responso, inequivocabile, circa l’illegittimità dell’ordinanza emessa dal Presidente della Regione, che ha quindi travalicato la sfera delle competenze regionali anche se, conformemente a quanto già affermato da altro T.A.R (T.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 1462/2020), è stato ribadito dal Giudice amministrativo che non si è in presenza di un provvedimento emesso in assenza assoluta di attribuzione e, come tale, affetto da nullità ai sensi dell’art. 21 septies della L. n. 241/1990, bensì di una illegittimità vera e propria, che va sancita con l’annullamento del provvedimento, in quanto l’atto emanato dal Presidente della Giunta Regionale è volto alla tutela della sanità pubblica, a cui sono finalizzati i poteri che l’art. 32, comma 3, della L. n. 833/1978 gli attribuisce e non è, dunque, predicabile la carenza in assoluto del potere esercitato.
Il potere di ordinanza contingibile ed urgente
Infine, il T.A.R. fa un passaggio anche sui limiti di applicabilità del potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti, previsto dall’art. 32 della L. n. 833/1978, quando la materia trattata abbia valenza ultraregionale o nazionale.
La norma in questione prevede, effettivamente, il potere sia ministeriale che del presidente della Giunta regionale e del Sindaco di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia – per quanto concerne il presidente della Giunta regionale - estesa alla Regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni.
Tuttavia, in materia di gestione dell’emergenza connessa al diffondersi del Covid 19, il potere regionale delineato dall’art. 32 è stato limitato e conformato, quanto ai relativi presupposti, limiti e oggetto, dalla sopravvenuta e speciale normativa di pari rango primario contenuta nell'art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020; tanto risulta espressamente confermato dall'art. 3, comma 3, del medesimo decreto, ove si chiarisce che "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente".
In questo caso, quindi, fermo restando il potere in questione, la sentenza del T.A.R. ha stabilito che la legittimità di un’ordinanza quale quella in questione va scrutinata in relazione ai presupposti e ai limiti delineati dall’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020 che, come si è visto, non risultano rispettati.
Peraltro, l’art. 32 della l. 83371978, va coordinato con l’art. 117 del D.Lgs. n. 112/1998, e con l’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000.
Entrambe dette disposizioni, pur riconoscendo ai governatori degli enti locali i poteri di ordinanza in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, ne circoscrivono la portata all’ambito locale e/o regionale, rimettendo allo Stato il potere di intervento “negli altri casi”.
Il concetto di dimensione dell’emergenza è stato ritenuto, pertanto, correlato alla dimensione del potere esercitabile: laddove vi sia un carattere ultraregionale se non addirittura nazionale (come nel caso della nota emergenza pandemica), la competenza ad adottare simili provvedimenti di urgenza non potrà che essere riservata al centro di imputazione ministeriale. Diversamente opinando, si darebbe luogo ad una inversione del meccanismo della c.d. “attrazione in sussidiarietà” che il nostro ordinamento tuttavia non ammette nei termini sopra descritti; in altri termini, la Regione eserciterebbe infatti una competenza statale per risolvere problemi regionali, laddove di solito è lo Stato centrale ad “attrarre” competenze regionali per affrontare questioni di livello nazionale (T.A.R. Lazio, Roma, n. 10047/2020).
RIFLESSIONI SUL POTERE DI ORDINANZA DELLE AUTORITA' LOCALI E SULLA DISTINZIONE TRA PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E PRINCIPIO DI PREVENZIONE
L'accurata decisione del Tar Campania presenta numerosi profili di interesse, tra i quali spicca la chiara delimitazione del potere regionale di intervento in materia di emergenza Covid, anche nella materia sanitaria, per effetto del sistema di norme esistenti, corroborate da pronunce della Corte Costituzionale, che rimettono allo Stato centrale il potere di intervento in situazioni che vedano coinvolti i diritti dell’individuo in materia di salute, quando si tratti di decisioni che scaturiscono da una situazione estesa, quanto a dimensioni e gravità, all’intero territorio nazionale e comunque non al territorio della singola Regione.
È fondamentale che questo passaggio sia stato chiarito in sede giurisdizionale e che lo sia stato anche sotto il profilo dei rapporti con il potere di ordinanza contingibile e urgente, che spesso è stato considerato, soprattutto a livello locale, quale strumento per eludere la normativa di legge sulle competenze dei Sindaci e dei Governatori regionali, soprattutto nelle materie della sanità pubblica e dell’ordine pubblico.
Orbene, la sentenza in commento mette in relazione, per ciò che concerne il potere di ordinanza, sia la completezza dell’istruttoria che il quadro delle competenze di legge.
In ciò è in linea con la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. II, 22 aprile 2021, n.3260), che ha inteso delimitare tale potere in funzione dell’istruttoria svolta, stabilendo che il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti in tema di sanità e igiene pubblica, previsto dagli articoli art. 50, comma 5 (in tema di sanità e igiene pubblica, attinente al presente giudizio), e 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000, “presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale” (sul punto vedi anche sez. V, sentenze 29 maggio 2019, n. 3580, 21 febbraio 2017, n. 774, e 22 marzo 2016, n. 1189).
Peraltro, in materia di Covid, già il T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 12 febbraio 2021, n. 304, ha stabilito che il potere di ordinanza contingibile e urgente del Sindaco, nel quadro determinato dall'emergenza epidemiologica COVID -19, è limitato ai casi in cui sia necessaria una risposta urgente a specifiche situazioni che interessino il territorio comunale, situazioni che per l'evolversi del virus non siano state già apprezzate ed amministrate dall'Autorità governativa e dalle singole Regioni.
Quest’ultima decisione è stata emessa nei confronti di una decisione con la quale il Sindaco di un Comune aveva disposto “la sospensione della didattica in presenza in tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado, ivi comprese le scuole private e quelle paritarie, fino al 23 gennaio 2021”.
Anche in questo caso, il T.A.R. calabrese aveva richiamato la sua precedente giurisprudenza (sentenza del 18 dicembre 2020, n. 2077) nella parte in cui aveva delineato i limiti dell'intervento dell'ordinanza contingibile ed urgente da parte del Sindaco nell'adozione di misure di contenimento del virus Covid 19 alla luce delle dettagliate previsioni statali con riferimento, nella specie, del servizio di istruzione. Il riferimento era, naturalmente, al D.L. 25 marzo 2020, n. 19, conv. con mod. con l. 22 maggio 2020, n. 35, per come risultante dai successivi interventi modificativi e interpolativi prodotti dal D.L. maggio 2020, n. 33, conv. con mod. con L. 14 luglio 2020, n. 74, dal D.L. 30 luglio 2020, n. 83, conv. con mod. con L. 25 settembre 2020, n. 124, e dal D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, che demandava l'eventuale la sospensione dei servizi educativi per l'infanzia di cui all'articolo 2 del d.lgs. 13 aprile 2017, n. 65, e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado, allo strumento attuativo del d.P.C.M.
Si è altresì ribadito che, alla luce del quadro nazionale, il potere di ordinanza straordinaria ed urgente emessa dall'autorità locale ai sensi dell'art. 32, comma 3, l. 23 dicembre 1978, n. 833, e dell'art. 50 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, è limitato ai casi in cui sia necessaria una risposta urgente a specifiche situazioni che interessino il territorio comunale, situazioni che per l'evolversi del virus non siano state già apprezzate ed amministrate dall'Autorità governativa ed, eventualmente, dalle singole Regioni.
In ogni caso, risulta fondamentale, in presenza dei presupposti di eccezionalità ed imprevedibilità delle situazioni, l’esistenza di una motivazione e di una adeguata istruttoria nonché il rispetto di rigorose garanzie sostanziali costituite dai principi generali dell'ordinamento.
Infine, va rilevato il fondamentale richiamo, nella sentenza commentata, al principio di precauzione, fatto proprio dalla Commissione europea sin dai primi anni 2000 nella materia della salute e dell’ambiente, ossia nei contesti nei quali il progresso scientifico non sempre garantisce informazioni esaustive e adeguate, ragion per cui spetta alle autorità competenti il dovere di salvaguardare la comunità da rischi non fronteggiabili in altro modo.
Formalizzato, per la prima volta, con la Dichiarazione di Rio sull’Ambiente del 14 giugno 1992 adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, in cui l’applicazione di misure precauzionali viene subordinata al ricorrere di un rischio di danni gravi o irreversibili, è stato successivamente inserito dal Trattato di Maastricht (ex art. 174 TCE, oggi art. 191 TUE), tra i principi fondamentali della politica europea ambientale, insieme ai principi di prevenzione, correzione e a quello di “chi inquina paga”.
Con la Comunicazione della Commissione europea del 2000, richiamata espressamente dal T.A.R. Napoli, il principio di precauzione viene inserito nell’alveo dei principi generali dell’ordinamento europeo. Da ciò deriva l’obbligo in capo alle Amministrazioni di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la salute, la sicurezza e l’ambiente.
Il principio di precauzione, pertanto, si pone come cardine dell’attività amministrativa in presenza di un rischio per la salute, la sicurezza e l’ambiente.
Durante la pandemia da Covid 19, esso si è posto come principio ispiratore dell’azione governativa per la gestione dei rischi legati alla diffusione del virus.
Esso, nell’ottica in cui è stato considerato dalla Commissione europea nella Comunicazione citata, non è però la base per legittimare qualsivoglia intervento pubblico volto al contemperamento dell’interesse alla salute con altri diritti fondamentali dei cittadini.
Il T.A.R. ha confermato che esiste un limite dalle competenze altrui (nel caso, quelle statali) dato dalla completezza e esaustività della motivazione dell’istruttoria.
Peraltro, la stessa Commissione ha ritenuto che l'azione precauzionale è giustificata solo quando vi sia stata l'identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un ragionamento rigorosamente logico e, tuttavia, permanga un'ampia incertezza scientifica sulla "portata" del suddetto rischio (par. 5.1.3).
"Nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere, tra l'altro: - proporzionali rispetto al livello prescelto di protezione, - non discriminatorie nella loro applicazione, - coerenti con misure analoghe già adottate, - basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell'azione o dell'inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un'analisi economica costi/benefici), - soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici, e - in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio" (par. 6).
In linea con tale indirizzo, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si individuano lungo il segnalato percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi - carattere necessario delle misure adottate, presuppone l'esistenza di un “rischio specifico” all'esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura (Cons. St., sez. III, n. 6655/2019; sez. IV, n. 1240/2018; Cons. Giust. Amm. Sicilia, n. 581/2015).
Alla luce delle indicazioni della Commissione europea, è possibile distinguere il principio di precauzione dal principio di prevenzione. Infatti, il primo presuppone l’esistenza di un’incertezza scientifica che non consente di determinare con sufficiente certezza il rischio (per cui si parla di rischio potenziale); il secondo, invece, postula l’esistenza di un rischio la cui esistenza è oggettivamente provata.
La sentenza dei giudici partenopei, pertanto, si inserisce nel solco del dibattito tra principio di precauzione e libertà fondamentali.
Peraltro, nella decisione del 9 giugno 2016, N. c-78/16 e C- 79/16, la sez. I della Corte di Giustizia ha ribadito che il principio di precauzione deve essere necessariamente contemperato con il principio di proporzionalità, per cui tali misure non devono mai oltrepassare i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il perseguimento degli obiettivi di tutela perseguiti.
La Corte Costituzionale, nella sentenza 9 maggio 2013, n. 85, aveva già evidenziato che il principio di precauzione caratterizza l'intero sistema normativo ambientale e va contemperato con altri principi (prevenzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione) e con i diritti costituzionalmente garantiti. L’interpretazione del Giudice delle Leggi è sempre stata orientata a garantire che il principio di precauzione, nel necessario bilanciamento, non sia mai prevalente, al fine di garantire che i diritti e le libertà compresse dalle misure adottate non vengano troppo menomate, specie quando nella valutazione del rischio persista l’incertezza scientifica.
Il giudice amministrativo si è allineato a tale orientamento, affermando che, in sede di applicazione, il principio di precauzione deve essere contemperato con il principio di proporzionalità, che impone misure congrue rispetto al livello prescelto di protezione e un’analisi dei vantaggi e degli oneri. Ciononostante, specie in materia di salute, e specie nell’emergenza pandemica, il ruolo del principio di precauzione è divenuto fondamentale, come la stessa V sezione del T.A.R. Campania aveva stabilito in un'ordinanza adottata in pieno
lockdown, (la n. 826 del 22 aprile 2020), in relazione alla assenza di "acclarate e solide conoscenze scientifiche in ordine alle modalità di trasmissione del coronavirus" e alla "possibilità che il virus resti sulle superfici per diverso tempo, anche se con carica virale progressivamente decrescente", circostanze in quella sede valorizzate per ritenere legittima l'adozione, stante la sussistenza di incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, di "misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l'effettiva esistenza e la gravità di tali rischi", in un'ottica di "prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche”.