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Presunzioni sugli utili extra-bilancio e ristrettezza della base sociale

Alma Chiettini • 6 marzo 2024

Cass. Civile, sez. V, 5 febbraio 2024, n. 3292


In tema di accertamento delle imposte sui redditi di una società di capitali che presenta una ristretta base partecipativa, la Corte di cassazione afferma da tempo che è legittima la presunzione di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, e che rimane sempre salva la facoltà per la società e per il socio di provare che i maggiori ricavi societari non sono stati fatti oggetto di distribuzione ma sono stati, invece, accantonati oppure reinvestiti; e pure il singolo socio può dimostrare la propria estraneità alla gestione e alla conduzione societaria.

Ciò vale sia nelle ipotesi di quote societarie di società familiari sia in assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utili extra-bilancio. Quello che rileva è solo la ristrettezza dell’assetto societario, la quale implica un vincolo di solidarietà e il reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria. Pertanto, tale peculiare forma partecipativa consente di riconoscere, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c. (sulle presunzioni semplici), mentre non consente di ricondurne il fondamento nell’alveo dell’art. 5 (sulle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice) del d.P.R. n. 917 del 1986, che è infatti applicabile alle sole società di persone.

La Corte di legittimità ricorda che nella tassazione degli utili da partecipazione in società ed enti soggetti a IRES (art. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 917 del 1986) si applicano i criteri di imponibilità per esenzione (limitata) in capo ai soci, secondo le diverse percentuali stabilite in funzione della natura del socio partecipante, così come stabilito dagli artt. 47 (per le persone fisiche) e 89 (per imprese e società) e seguenti dello stesso d.P.R. n. 917 del 1986. Per esempio, per il socio persona fisica che detiene la partecipazione nell’esercizio di un’impresa è prevista l’esenzione limitata al 41,86% (con tassazione del 58,14%), fino ad arrivare all’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% sugli utili deliberati per il socio che detiene la partecipazione fuori dall’esercizio di una impresa, sia che si tratti di partecipazione qualificata che non qualificata. 

Ma la Corte ha da tempo anche precisato che il beneficio dell’esenzione parziale dall’imposizione degli utili societari opera unicamente nel caso in cui si discuta di redditi regolarmente dichiarati dalla società in un documento contabile, e non opera in caso di utili extra-bilancio che, una volta accertati per altra via, vanno imputati in misura intera e non ridotta. Tale conclusione non presenta “alcun intento para-sanzionatorio” ma è fondata sulla considerazione che i soci, come avviene in entità prive di personalità giuridica, abbiano agito ripartendosi sic et simpliciter l’utile societario presuntivamente accertato in capo alla società.

Trattandosi dunque di utili ottenuti in evasione di imposta, mai pervenuti nella contabilità societaria in quanto non oggetto di registrazione nelle scritture né di indicazione in dichiarazione, trattandosi, in altre parole, di “utili ‘in nero’ (Cass. civ., sez. V, 23.12.2019, n. 34282), è chiaro che non c’è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione perché la stessa non c’è mai stata, dato che la società non aveva dichiarato quegli utili extracontabili che sono quindi sfuggiti all’imposizione a livello societario. In altri termini: “il beneficio dell’esenzione parziale nell’imposizione degli utili societari viene meno poiché la ripartizione del maggior utile sottratto a imposizione tra i soci giustifica la perdita del beneficio della più mite imposizione degli utili societari, la cui esistenza trova fondamento nel rispetto della normativa sulla loro determinazione in forza unicamente del bilancio di esercizio” (Cass. civ., sez. VI - 5, 30.11.2022, n. 35293, e la giurisprudenza ivi citata).

Tali principi oramai assodati, sono stati ri-affermanti dalla sentenza qui segnalata, la quale ha precisato che quando a una società a ristretta base partecipativa viene contestata la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extra-contabili accertati, “non è in alcun modo applicabile (diversamente da quanto sostiene parte della dottrina) il disposto di cui all’art. 47 TUIR, che attiene alla tassazione degli utili distribuiti ai soci con delibere formali dell’assemblea e, pertanto, non trova applicazione per i redditi extracontabili, che per definizione non risultano menzionati nella contabilità societaria, poiché trattandosi di utili ottenuti in evasione di imposta … è chiaro che non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione … non avendo la società dichiarato tali utili extracontabili”.



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