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Processo tributario e udienza pubblica su richiesta di parte

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • 23 marzo 2022

Corte costituzionale 18 marzo 2022, n. 73


L’art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1992 sul processo tributario prevede la trattazione della controversia in camera di consiglio, salvo che almeno una delle parti non chieda, con apposita istanza da depositare in segreteria e da notificare alle altre parti costituite, la discussione in pubblica udienza. 

Nel processo tributario è quindi lasciata alla valutazione discrezionale di ogni parte costituita la scelta della trattazione della causa in forma pubblica. 

La disposizione è stata sospettata di incostituzionalità perché la regola generale della pubblicità dei dibattimenti giudiziari – la quale è implicita nel precetto costituzionale dell’art. 101 che fonda l’amministrazione della giustizia sulla sovranità popolare – non potrebbe essere derogata dalla volontà dei litiganti, stante il carattere indisponibile della pretesa fiscale dedotta in giudizio; né l’interesse sotteso al principio della pubblicità delle udienze potrebbe essere bilanciato con una finalità, quale quella dell’economia processuale, priva di rilevanza costituzionale; perché la più ampia tutela giurisdizionale di cui all’art. 111 Costituzione si attuerebbe solo con la discussione in pubblica udienza; e per contrasto con l’art. 136 Costituzione, essendo stata già dichiarata costituzionalmente illegittima una norma (art. 39, primo comma, d.P.R. n. 636 del 1972) che escludeva l’applicabilità al processo tributario del principio generale di pubblicità dell’udienza di cui all’art. 128 c.p.c.

Ma la Corte costituzionale, con la sentenza qui segnalata, ha respinto ogni censura. 

Innanzitutto, è stata esclusa la violazione del giudicato costituzionale di cui all’art. 136 perché essa si configura solo quando la nuova disposizione mantiene in vita o ripristina gli effetti della medesima struttura normativa oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, mentre nel nuovo processo tributario i due riti, in pubblica udienza e in camera di consiglio, coesistono in rapporto di alternatività.

È stata poi esclusa la violazione dell’art. 101 sul principio di pubblicità dei dibattimenti giudiziari perché, nonostante esso non sia stato positivizzato neanche a seguito della riforma introdotta dalla legge cost. n. 2 del 1999 e sebbene la stessa Corte ne abbia ravvisato un’enunciazione implicita anche nel novellato primo comma dell’art. 111 Costituzione, il rafforzamento della sua rilevanza costituzionale accresce sì la sua forza di resistenza ma “il precetto in questione non ha carattere assoluto e può subire deroghe” in quanto “la Costituzione non impone in modo indefettibile la pubblicità di ogni tipo di procedimento giudiziario e tanto meno di ogni fase di esso”. Si pensi che anche nel processo penale, in cui l’udienza pubblica assume un valore più pregnante, diverse pronunce costituzionali hanno ravvisato un vulnus al principio di pubblicità dei dibattimenti giudiziari nell’assenza, in alcune procedure camerali penali, non già dell’udienza pubblica quale snodo procedimentale necessario, ma piuttosto della previsione della possibilità, per l’interessato, di richiederne la celebrazione.

Nel processo tributario la pubblica udienza è non esclusa ma condizionata alla sollecitazione di parte. E tale modalità operativa soddisfa adeguatamente l’esigenza di controllo popolare sottesa al principio di pubblicità dei giudizi. Pertanto, avuto anche riguardo alla circostanza che il legislatore ha connotato il giudizio tributario come processo prevalentemente documentale (in particolare dal punto di vista probatorio, tanto che è esclusa l’ammissibilità della prova testimoniale e del giuramento), “non è irragionevole la previsione di un rito camerale condizionato alla mancata istanza di parte dell’udienza pubblica”.

Ed è stata anche esclusa la violazione dell’art. 111: il secondo comma, introdotto dalla legge cost. n. 2 del 1999, ha positivizzato il principio audiatur et altera pars in base al quale il provvedimento giurisdizionale non può assumere carattere di definitività senza che la parte destinata a subirne gli effetti sia stata posta in condizione di svolgere una difesa effettiva e di influire, in condizioni di parità rispetto alle altre parti, sul convincimento del giudice. Nondimeno, l’attuazione del contraddittorio non implica necessariamente che il confronto dialettico tra i litiganti si svolga in modo esplicito e contestuale, potendo dispiegarsi anche in tempi successivi, purché anteriori all’assunzione del carattere della definitività della decisione. Difatti, non in tutti i processi la trattazione orale costituisce un connotato indefettibile del contraddittorio e, quindi, del giusto processo, potendo tale forma di trattazione essere surrogata da difese scritte tutte le volte in cui la configurazione strutturale e funzionale del singolo procedimento lo consenta e purché le parti permangano su di un piano di parità.

Nel processo tributario non è esclusa la discussione in pubblica udienza ma subordinata a una tempestiva richiesta di almeno una delle parti; inoltre, per la trattazione in camera di consiglio esse possono depositare, oltre alle memorie illustrative, ulteriori memorie di replica in un identico termine in parallelo (art. 32, comma 3). E ciò garantisce “un’adeguata e paritetica possibilità di difesa”. Al contempo, la trattazione camerale soddisfa “primarie esigenze di celerità e di economia processuale, particolarmente avvertite in un processo, come quello tributario, che attiene alla fondamentale e imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l’esercizio delle sue funzioni attraverso l’attività dell’Amministrazione finanziaria".

In definitiva, il meccanismo del processo tributario dell’udienza pubblica su richiesta per un profilo consente a entrambe le parti, pubblica e privata, di valutare caso per caso la reale necessità di avvalersi della discussione in pubblica udienza, e per altro e correlato profilo persegue un ragionevole fine di elasticità – in forza del quale le risorse offerte dall’ordinamento devono essere calibrate in base alle effettive esigenze di tutela – e non interferisce con la cura dell’interesse pubblico al prelievo fiscale.



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