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Progetti di inclusione, fondi ministeriali ed esclusiva in favore degli enti del terzo settore

a cura di Federico Smerchinich • 22 agosto 2024

TAR Liguria, sentenza n. 310/2024 - TAR Lombardia, Milano, sentenza n. 1652/2024


PREMESSA

Il diritto cresce attraverso le sentenze e la sua crescita è tanto più stimolata, quanto più c’è contrapposizione di idee sulle stesse tematiche. Il diritto, poi, influenza la legislazione, l’amministrazione pubblica e la società.

E, così, nel presente scritto si tratterà proprio di come due TAR, nello stesso periodo di tempo, abbiano optato per conclusioni diverse sull’approvazione di progetti per persone sorde o ipoacustiche. Posizioni che incideranno direttamente sull’attualità delle scelte politiche, pubbliche e private.

Prima di addentrarci nelle singole sentenze occorre ricostruire il quadro normativo alla base delle decisioni.

Il legislatore, con L. n. 145/2018, ha istituito un fondo per l’inclusione di persone sorde e ipoacustiche. Con d.p.c.m. 14.02.2023 è stata riprogrammata l’assegnazione di tali finanziamenti a Regioni e Province autonome. prevedendo il coinvolgimento di enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie.

A fronte di tale impianto normativo, Regioni e Province autonome possono attivare progetti di inclusione, nel rispetto della quota di fondi di propria spettanza. 

Nei casi che si andrà ad analizzare, un ente privato ha impugnato le delibere regionali di approvazione dell’avviso pubblico per la realizzazione dei suddetti progetti di inclusione. 

In ordine cronologico si partirà dal caso ligure, per poi passare a quello milanese.

Sullo sfondo, il codice del terzo settore (d.lgs. n. 117 del 2017), in base al quale le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del terzo settore, tramite un modello di condivisione della “funzione” pubblica che rappresenta una delle più significative attuazioni del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, in cui la limitazione solo ad alcuni soggetti, aventi determinate caratteristiche, degli enti che possono collaborare con la pubblica amministrazione, è direttamente connessa e giustificata dal tipo di attività da svolgere, a spiccata valenza sociale, e dalla rappresentatività della "società solidale" che appartiene naturalmente a tali enti.

Riprendendo le considerazioni del TAR Milano, "la “convergenza di obiettivi” e l’aggregazione di risorse pubbliche e private “per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico” (così Corte cost., 26 giugno 2020, n. 131), costituiscono la ragione preponderante della riserva del modello di condivisione sopra richiamato in favore degli enti del terzo settore, che più di ogni altro ente privato, per gli scopi perseguiti e per le modalità impiegate nel perseguimento degli stessi (consistenti in finalità solidaristiche attuate in forma di azione volontaria e di erogazione gratuita di beni e servizi), offrono la rigorosa garanzia di una posizione di indipendenza rispetto al mercato e alle finalità di profitto che lo caratterizzano.

D’altra parte, in questa prospettiva – e tenendo presente che il nuovo codice dei contratti pubblici consacra definitivamente la coesistenza di due schemi organizzativi alternativi, l’uno fondato sulla concorrenza e l’altro sulla solidarietà (regolato dal codice del terzo settore) - le amministrazioni possono mettere a disposizione dell’organismo no profit risorse economiche, materiali ed umane per lo svolgimento del servizio di interesse generale, purché motivino la scelta di ricorrere al primo o al secondo modello".


I CASI E LE DECISIONI

Nel giudizio dinanzi al TAR Liguria, un ente privato non del terzo settore (società con scopo di lucro) ha impugnato il bando sul finanziamento di progetti di inclusione sociale, muovendo delle censure avverso la scelta regionale di limitare agli enti del terzo settore la platea dei partecipanti all’avviso pubblico, senza apparenti motivazioni ragionevoli o logiche rispetto all’obiettivo finale dei fondi. 

In particolare, per partecipare e aggiudicarsi la possibilità di realizzare i progetti finanziabili, il bando della Regione richiede l’iscrizione al RUNTS, all’anagrafe unica dell’Agenzia delle Entrate, la sede operativa in Liguria e la pregressa esperienza nell’ambito dell’inclusione su attività svolte in Liguria.

Il ricorrente, nell’ambito della sua impugnativa, coglie anche l’occasione di lamentare l’illegittima inclusione di un certo progetto, senza l’opportuna preventiva comparazione. 

Il TAR Liguria, dopo aver ricostruito il quadro normativo della procedura de qua, inizia ad analizzare le questioni in rito, tra cui l’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione della graduatoria, superata dal TAR facendo ricorso a quella giurisprudenza che ritiene la graduatoria come un mero atto consequenziale al bando e, dunque, direttamente caducata per effetto dell’annullamento del bando. 

Viene, altresì, superata l’eccezione relativa al fatto che la ricorrente, non essendo un ente del terzo settore, non avrebbe potuto contestare il bando.

Preliminare, è inoltre il richiamo alla normativa nazionale di riferimento per i finanziamenti pubblici in discussione (art. 1, comma 456, della legge n. 145/2018 e d.p.c.m. 14 febbraio 2023), che si sarebbe limitata, secondo il TAR ligure, a contemplare l’assegnazione alla Regioni ed alle Province autonome di fondi per realizzare progetti sperimentali volti all’inclusione sociale delle persone sorde e con ipoacusia, prevedendo il coinvolgimento degli enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie (ossia i disabili uditivi) soltanto per l’individuazione dei progetti da sovvenzionare, ma non, necessariamente, per la relativa attuazione.

Con la conseguenza che l’Amministrazione regionale avrebbe dovuto motivare la decisione di dare corso ad una procedura di co-progettazione ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 117/2017, con affidamento agli ETS anche della fase esecutiva, ed esclusione a priori delle imprese che perseguono un profitto.

Il TAR passa, così, al merito, richiamando le norme in materia di coprogettazione (art. 55 d.lgs. n. 117/2017) e di amministrazione condivisa nel codice dei contratti pubblici (art. 6 d.lgs. n. 36/2023), lette nella più ampia tematica della sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 c. 4 Cost..

Nella sua argomentazione, il TAR Liguria afferma che l‘art. 55 d.lgs. n. 117/2017 è una norma volta a realizzare un modello condiviso di funzione pubblica, consentendo alle pubbliche amministrazioni e agli enti del terzo settore di creare un canale di condivisione e collaborazione per la realizzazione dell’interesse pubblico in materia sociale. Tale ricostruzione non smentisce il fatto che, nell’ambito dei servizi sociali, constano due modelli alternativi: uno fondato sulla concorrenza (d.lgs. n. 36/2023) e l’altro sulla solidarietà (d.lgs. n. 117/2017).

L’esistenza di due modelli alternativi per realizzare progetti di inclusione richiede che l’amministrazione pubblica motivi la scelta di ricorrere all’uno o all’altro di essi, indicandone le ragioni di preferenza. Per rendere il quadro completo, bisogna precisare che la giurisprudenza fa rientrare i servizi sociali nell’ambito del codice dei contratti pubblici quando l’amministrazione corrisponde al prestatore un corrispettivo. Non è, invece, ricompresa nel Codice l’attività svolta in forma gratuita. 

Il TAR condivide l’idea che sarebbe da applicare il codice dei contratti pubblici tutte le volte in cui gli enti del terzo settore si avvalgono di imprese private fornitrici di beni e servizi a titolo oneroso per realizzare progetti inerenti i servizi sociali, almeno quando le attività fornite da essi risultino preponderanti nell’ambito dell’attività affidata.

All’esito di tale ragionamento, il TAR ritiene che la Regione non abbia adeguatamente motivato rispetto alla scelta di dare corso ad una procedura di coprogettazione ai sensi dell’art. 55 d.lgs. n. 117/2017 e non ad una gara pubblica aperta anche alle imprese private non del terzo settore, in presenza di vari indizi che dimostrerebbero presenza di una remunerazione nell’esecuzione dei progetti da affidare.

Inoltre, il TAR Liguria accoglie anche il motivo relativo alla illegittima concessione di contributi per un progetto determinato, sul presupposto che, per come è costruito in concreto l’affidamento, non sarebbe ravvisabile una differenza tra coprogettazione e ordinario appalto di servizi. Difatti, ravvisandosi la possibilità per gli enti del terzo settore di acquistare beni e servizi a sua discrezione tra le tre offerte, vi sarebbe il rischio che l’art. 55 d.lgs. n. 117/2017 venga utilizzato per eludere il d.lgs. n. 36/2023. Infine, il TAR accoglie anche il motivo sulle clausole di territorialità, ritenendole ingiustificate alla luce del tipo di affidamento di prestazioni di interpretariato online per l’accesso ai servizi pubblici dei non udenti e degli ipoudenti. 

In sintesi, il TAR Liguria ha concluso che la Regione ha il potere di individuazione dei progetti e di affidamento, quindi non un mero potere esecutivo, ma un effettivo esercizio di discrezionalità sindacabile dal giudice. 

In altre parole, secondo il TAR Liguria, il “pallino” delle scelte è nelle mani delle Regioni.


Benché riguardi la stessa materia trattata dal TAR Liguria, la sentenza del TAR Lombardia, Milano, affronta la questione da una prospettiva diversa. Nel caso lombardo, la società ricorrente - S.r.l. operante anche nell’ambito dell’accessibilità linguistica e sensoriale in favore delle persone sorde e ipoacusiche, che aveva in corso di esecuzione, per tale motivo, alcuni appalti di fornitura del servizio di video-interpretariato online in Lingua italiana dei Segni con diversi importanti enti pubblici nazionali, tra i quali vi sarebbe stato “l’intero sistema socio-sanitario pubblico e convenzionato della stessa Regione Lombardia” - ha contestato l'approvazione da parte della Regione di un progetto di inclusione che aveva coinvolto soltanto enti del terzo settore. 

Innanzitutto, il ricorrente ha sostenuto che il riferimento fatto dagli atti impugnati all’art. 2 del d.p.c.m. 14.02.2023, che si riferisce agli enti del terzo settore, sia volto ad individuare i soggetti che possono coadiuvare la Regione nella scelta di progetti da finanziare e non nella successiva esecuzione. Quindi, sarebbe stata errata la mancata attivazione di una procedura aperta, con conseguente arbitraria selezione degli enti del terzo settore da coinvolgere.

Inoltre, viene contestata la scelta di inserire dei criteri di territorialità nella scelta del vincitore e viene censurato il difetto di motivazione nella scelta di precludere ai soggetti privati non del terzo settore di presentare e attivare progetti da finanziare. 

In tal senso, viene messa in discussione anche la scelta di usare criteri stringenti per circoscrivere solo agli enti del terzo settore la possibilità di partecipare ai progetti finanziabili. Infine, è contestato anche il fatto che l’amministrazione non avrebbe consultato la ricorrente ai fini della possibilità di presentare il progetto.

Il TAR Milano inizia a scrutinare le eccezioni di rito, concentrandosi, in particolare, su quella di inammissibilità per mancata impugnazione del d.p.c.m. 14.02.2023 e di carenza di interesse della ricorrente. L’eccezione posta è che se il d.p.c.m. prevede che gli enti del terzo settore siano gli unici soggetti a poter realizzare i progetti finanziabili, allora una mancata impugnazione di tale d.p.c.m. renderebbe inammissibile il ricorso, essendo la Regione vincolata ed eseguire tale d.p.c.m. 

Secondo il ricorrente, invece, il d.p.c.m. riserverebbe agli enti del terzo settore solo la fase di scelta dei progetti da finanziare, consentendo, dall’altro lato, la partecipazione anche degli enti non del terzo settore nella fase dell’affidamento del progetto.

Il TAR accoglie l’eccezione e ritiene inammissibile il ricorso, reputando la delibera della Regione meramente esecutiva del d.p.c.m. non impugnato. In tal senso, la Regione sarebbe vincolata da tale d.p.c.m. nell’esercizio del suo potere. 

Nel suo ragionamento, il TAR parte dall’assunto che è la Presidenza del Consiglio ad avere in gestione i fondi e a stabilire come disporne, decidendo anche quali soggetti coinvolgere. Il d.p.c.m., quindi, determinerebbe ab origine una restrizione soggettiva all’accesso. A differenza della tesi del ricorrente, il TAR ritiene che la fase di individuazione del progetto e di esecuzione debba andare di pari passo e che il riferimento solo agli enti del terzo settore sia da intendere riferito sia alla fase di individuazione del progetto, sia a quella esecutiva. 

In tal senso, solo gli enti del terzo settore potrebbero essere coinvolti in questi progetti e il d.p.c.m. avrebbe valenza precettiva nell’andare a prevedere che gli enti pubblici eseguano i progetti insieme agli enti del terzo settore e non in alternativa ad essi. Nello sviluppare l’argomento, il TAR ritiene che il d.p.c.m., così interpretato, alluda alla fattispecie dell’art. 55 d.lgs. n. 117/2017, prevedendo una riserva per gli enti del terzo settore ed escludendo i privati. Quindi, il d.p.c.m. farebbe riferimento ad un modello di condivisione della funzione pubblica (coprogrammazione, coprogettazione, forme di accreditamento), in ottica di sussidiarietà orizzontale, attraverso una convergenza di obiettivi che legittimano la riserva di cui si è detto a favore degli enti del terzo settore che, per definizione, sono esenti da logiche e interessi di profitto.

Aggiunge il TAR che, in ogni caso, la scelta del modello concorrenziale o di coprogrammazione da seguire non spetta alle Regioni, bensì al Governo. D'altra parte, pur avendo la previsione a valle della forma “consortile” garantito un “governo” del progetto stesso, tale da non attribuire agli enti aggiudicatari un ruolo di committenza e di regia direttamente o indirettamente remunerato con soldi pubblici, "qualora tale associazione temporanea non potesse o non avesse potuto erogare le prestazioni previste, se non avvalendosi di imprese private fornitrici di beni e servizi a titolo oneroso, nulla avrebbe potuto o dovuto escludere una scelta di tali imprese private secondo le regole del codice dei contratti pubblici, o comunque mediante procedure trasparenti, una volta che l’osservanza di tali procedure sia normativamente dovuta".

In definitiva, secondo il TAR Milano, il potere di scelta "a monte" sarebbe stato nelle mani del Governo e non delle Regioni. Tesi diversa, questa, da quella del TAR Liguria.


LE SCELTE PUBBLICHE TRA GOVERNO CENTRALE E AUTONOMIA REGIONALE

Le due sentenze commentate trattano e decidono formalmente in modo diverso casi simili: l’una accoglie nel merito il ricorso, l’altra dichiara il ricorso inammissibile. Tuttavia, le sentenze seguono anche una via sostanzialmente diversa: secondo il TAR Liguria residuerebbe sulle scelte di fondo dell'attribuzione dei fondi un potere discrezionale in capo alle Regioni, potere che, invece, secondo il Tar Milano non sussisterebbe. 

Non volendo prendere posizione su quale decisione sia più corretta, si tenta di fare alcune riflessioni partendo da un dato certo: il d.p.c.m. 14.02.2023, all’art. 2 c. 2, ha un significato letterale ambiguo. Infatti, la norma parla espressamente del potere delle Regioni di “individuare” i progetti, senza spiegare come deve, poi, avvenire l’affidamento del progetto scelto. Così, ad una lettura piana e letterale, pare effettivamente che non venga disciplinata dalla norma la fase successiva all’individuazione. 

Tuttavia, guardando al d.p.c.m. in ottica teleologica e sistematica, il riferimento dell’art. 2 c. 2 all’organizzazione consortile tra P.A. o tra P.A. ed enti del terzo settore non dovrebbe essere limitata alla fase di individuazione del progetto, perché altrimenti sarebbe inspiegabile prevedere un’associazione per individuare qualcosa che poi non viene realizzato dalla stessa. In tal senso, la lettura data dal TAR Lombardia parrebbe rispecchiare questo ragionamento.

Dall’altra parte, la sentenza del TAR Liguria non affronta il tema in maniera così diretta, forse perché le questioni e le eccezioni sono state poste in maniera differente dalle parti. Tuttavia, convince anche la tesi del giudice genovese, nella parte in cui stabilisce il principio per cui in fase esecutiva e di affidamento residuerebbe un potere della Regione nello scegliere se procedere tramite coprogettazione (d.lgs. n. 117/2017) o tramite contrattualistica pubblica (d.lgs. n. 36/2023), ipotizzando che non ci sia alcun vincolo della Regione al d.p.c.m. governativo nel seguire un determinato modello. Una soluzione in tal senso potrebbe rispecchiare la necessità che a livello territoriale siano gli enti regionali a decidere, conoscendo meglio i fabbisogni della comunità di riferimento.

Insomma, entrambe le soluzioni parrebbero avere una loro ratio, ma nella crescita del diritto a cui si accennava in premessa solo una si farà strada nella giustizia amministrativa.

Sarà, dunque, interessante vedere quale delle due tesi verrà condivisa dal Consiglio di Stato in sede di appello o se, nel prossimo d.p.c.m. in materia ci saranno chiarimenti al riguardo. 

Volendo tirare le fila del ragionamento, si potrebbero leggere le due sentenze come il frutto di un momento storico e sociale in cui, spesso, la soluzione corretta sta nel mezzo, cioè in un punto di equilibrio tra l’esigenza dello Stato di raggiungere fini sociali il più velocemente possibile usando anche strumenti atipici come i d.p.c.m. per vincolare gli Enti territoriali, svuotandone le competenze, e la necessità degli Enti territoriali stessi di esercitare il proprio potere di controllo a che i fondi pubblici vengano correttamente allocati, anche tramite procedure competitive, per meglio realizzare l’interesse delle comunità di riferimento. Proprio sviluppando questo ragionamento, e pensando ai principi di efficienza e risultato che permeano il nostro tempo, forse sarebbe più opportuno interpretare il rapporto tra Governo e Regioni non come gerarchico, nel senso che il primo vincola le seconde in maniera assoluta, ma come di collaborazione e scambio, in modo che entrambi tendano a generare la procedura migliore per garantire la realizzazione dell’interesse pubblico. Il tutto nel rispetto dei vincoli posti a livello governativo. 

In questo passaggio storico, si crede che un ruolo fondamentale sarà giocato anche dalle parti processuali e dal modo in cui le stesse declineranno le loro censure e il loro petitum, eventualmente anche tentando di portare la questione alla Corte costituzionale al fine di verificare se, nell’ambito dei servizi sociali, un atto atipico come il d.p.c.m. possa avere la forza di svuotare il potere delle Regioni o se, detto altrimenti, le Regioni possano decidere discrezionalmente su aspetti già fissati da un d.p.c.m.

Insomma, la storia e il diritto in questa come in altre materie sono tutti da scrivere e niente appare scontato. Ma è forse proprio questo il "bello" del diritto.




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