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Responsabilità della struttura sanitaria e suicidio del paziente

Avv. Anna La Bombarda • 25 marzo 2022

Ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del Tribunale civile di Rovigo, depositata in data 10.2.2022


IL CASO

La controversia trae origine dalla vicenda occorsa al figlio del ricorrente, il quale, in data 04.04.2016, è stato trasportato presso il reparto di Pronto Soccorso dell’Ospedale di Rovigo a seguito di un tentativo suicidario in auto ed è stato ricoverato nel reparto OBI per essere sottoposto ad accertamenti ed esami strumentali volti ad indagare la presenza di eventuali complicazioni connesse all'evento traumatico stradale. 

Scongiurata la presenza di tali lesioni, il paziente è stato trattenuto presso il predetto nosocomio al fine di essere sottoposto anche alla necessaria consulenza psichiatrica. Dopo una notte trascorsa in discrete condizioni fisiche ed alla presenza dei genitori, verso le ore 12:00 della mattina seguente il paziente si è alzato dal letto informando i presenti della sua intenzione di utilizzare i servizi igienici ma, recandosi in cima alla rampa di scale, si è lanciato nel vuoto, ponendo così fine alla sua vita.

A seguito di tale evento, il padre del paziente ha esperito procedimento ex art. 696 bis c.p.c. nei confronti dell’Azienda Sanitaria, chiedendo ed ottenendo lo svolgimento di una consulenza tecnica medico - legale, al fine di accertare la sussistenza dei lamentati profili di responsabilità per omessa custodia da parte del personale sanitario operante presso il predetto presidio ospedaliero. 

Il ricorrente ha allegato il mancato rispetto da parte degli operatori sanitari di quanto prescritto dalla Raccomandazione del Ministero della Salute (piano di prevenzione del suicidio di paziente in ospedale – Dipartimento della qualità, Direzione Generale della Programmazione sanitaria, dei livelli di assistenza e dei principi etici di sistema ufficio III – Raccomandazione n. 4, marzo 2008), delle prescrizioni relative all’attuazione della Procedura dell’ULSS 18 di Rovigo del 2009 per la prevenzione del suicidio in ospedale, nonché, più in generale, la violazione di quanto previsto dalle linee guida all’epoca vigenti per la gestione ospedaliera di pazienti psichiatrici a rischio suicidario.

I consulenti tecnici designati hanno concluso le operazioni peritali ritenendo configurabile una responsabilità di tipo “strutturale”, essendo imputabili all’Azienda sanitaria una serie di comportamenti omissivi aventi rilevanza causale nel determinismo del decesso del paziente, tra cui, in particolare:

- non aver approntato una terapia farmacologica adeguata all’evidente alterazione psicologica manifestata dal paziente;

- non aver predisposto un sistema adeguato e costante di controllo dello stesso;

- non aver organizzato ed attuato con rapidità ed immediatezza il trasferimento presso struttura psichiatrica idonea al ricovero al controllo delle sue pulsioni suicidarie, una volta appurata l’assenza di lesioni da trauma stradale. 

Il ricorrente, quindi, ha introdotto il giudizio di merito con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in conformità a quanto disposto dalla L. n. 24/2017 c.d. Gelli – Bianco, chiedendo la condanna dell’Azienda Ospedaliera al risarcimento del danno iure proprio asseritamente subìto in conseguenza della perdita del rapporto parentale con il figlio. 

All’esito del giudizio, il Tribunale di Rovigo ha respinto il ricorso per ragioni di carattere principalmente tecnico-giuridico, fondate sullo specifico titolo di responsabilità dedotto dal ricorrente e sul mancato assolvimento del relativo onere probatorio. 


LA DECISIONE. SPUNTI DI RIFLESSIONE

Il Giudice di merito, nell’adottare la predetta decisione, ha, in primo luogo, affermato la natura extracontrattuale dell’azione promossa dai prossimi congiunti di colui che si assuma essere stato leso da una malpractice sanitaria. 

In tal senso, viene richiamato l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale “essendo il rapporto contrattuale sorto esclusivamente tra il paziente (deceduto per suicidio) e la struttura sanitaria, è escluso che gli stretti congiunti di quest’ultimo possano far valere nei confronti della struttura, onde ottenere il risarcimento del danno iure proprio da perdita parentale, una responsabilità contrattuale da inadempimento” (Cass. Civ.. 8.7.2020 sent. n. 14258, a sua volta aderente alla precedente Cass. Civ. 8.5.2012 n. 6914).

Dalla qualificazione dell’azione in termini di domanda di risarcimento del danno causato da illecito aquiliano, derivano evidenti e rilevanti conseguenze in tema di ripartizione dell’onere probatorio: non è sufficiente, infatti, allegare il danno e provare la sussistenza del nesso causale, dovendo il danneggiato dimostrare anche l’elemento soggettivo del fatto illecito, e, quindi, il carattere quantomeno colposo della condotta sanitaria in tesi lesiva.

Precisa in tal senso il Giudice di merito, nella sentenza in commento, che “L’attore, infatti, non può giovarsi dell’inversione dell’onere di cui all’art. 1218 cc (potendo in tal caso limitarsi ad allegare l’inadempimento della struttura e gravando di contro su quest’ultima l’onere di dare la prova dell’esatto adempimento della prestazione), ma è gravato dal ben più consistente onere tipico della responsabilità aquiliana, dovendo egli dar prova del fatto dannoso (e delle sue conseguenze dannose), dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) che fondi la rimproverabilità della condotta del convenuto danneggiante, e del nesso di causa tra condotta e danno”. 

All’esito della disamina delle risultanze dell’indagine peritale compiuta ed in applicazione della richiamata impostazione, il Giudice ha rigettato la domanda risarcitoria del ricorrente in ragione del fatto che nel caso di specie “non appaiono provati comportamenti di natura colposa rimproverabili all’Azienda convenuta, il che ne esclude dunque, in questa sede, la responsabilità risarcitoria”.

Il tutto, peraltro, dopo una rivalutazione delle conclusioni a cui erano pervenuti i consulenti tecnici all’esito dell’ATP, in punto responsabilità ascritta all’Azienda Sanitaria: in particolare, il Tribunale ha valorizzato l’appurata inesigibilità, nel caso di specie, di un controllo più incisivo sul paziente nell’ambito di un’ambiente nosocomiale caratterizzato dalla presenza di numerosissimi altri pazienti, nonché (e prima ancora) l’assenza delle condizioni cliniche di conclamata urgenza psichiatrica in capo al soggetto poi suicidatosi. 

Una simile decisione, dunque, pare degna di particolare attenzione, in quanto evidenzia i limiti degli effetti giuridici c.d. protettivi esplicati verso terzi da parte del c.d. contratto di spedalità, proponendo interessanti spunti di riflessione relativamente alla fattispecie risarcitoria del danno da c.d. perdita del rapporto parentale (fattispecie, come noto, oggetto di plurime pronunce della Corte di Cassazione sullo specifico fronte dell’individuazione del più adatto metodo di quantificazione tabellare di tali poste di danno), in considerazione della necessaria valorizzazione della sua natura non contrattuale.


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