Cassazione Civile, Sez. V, 15 settembre 2022, n. 27158
Tra i poteri degli Uffici fiscali in sede di accertamento tributario vi è la possibilità di richiedere atti e documenti, anche tramite questionari, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette e ai sensi dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA.
A tali fini, l’Amministrazione deve notificare la richiesta di documenti e fissare un termine per l’adempimento, termine che non può essere inferiore a quindici giorni (a trenta giorni nel caso di attività finanziarie e creditizie). E, soprattutto, vige la regola che “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’Ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che l’invito a fornire dati e documenti assolve alla “funzione di assicurare - in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria - un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale
inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio” (sez. VI, 1.10.2020, n. 20954). Ma ha anche soggiunto che la disciplina in esame deve essere “interpretata in modo restrittivo” e che ciò comporta che siano inutilizzabili in sede amministrativa e processuale solamente i documenti “espressamente richiesti dall’Ufficio”, in quanto “la norma deve essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione e con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione” (sez. V, 21.4.2021, n. 10507). Da ultimo, ha ulteriormente precisato che “a fronte di un invito a consegnare documentazione privo dei requisiti di specificità, non sussiste un onere in capo al contribuente di chiedere chiarimenti in ordine a quali documenti siano richiesti: è invero il richiedente Ufficio che prende l’iniziativa a dover rendere la stessa adeguatamente precisa e chiara da poter essere adempiuta agevolmente dal contribuente rispettoso dei propri doveri, senza che sia legittimo né ragionevole addossare a quest’ultimo l’onere di integrarne il contenuto con proprie iniziative essendo interesse dell’Ufficio, non del contribuente che già ne conosce ovviamente il contenuto, esaminare i documenti oggetto della richiesta” (sez. VI, 6.9.2022, n. 26245).
Gli Uffici fiscali possono richiedere documenti anche nel corso attività di accessi, ispezioni o verifiche disposte ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette e ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA. In questi casi, “i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”.
Per questa fattispecie la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che essa “trova applicazione ai soli
casi di ispezione, con ciò intendendo l’attività di esame e controllo svolta dai verificatori in sede di accesso presso il contribuente o in luoghi a questi collegati, e non nei
casi in cui i documenti sono richiesti con l’invio di apposita comunicazione o questionario ma senza introduzione e stazionamento per quanto necessario di personale dell’Amministrazione presso il soggetto sottoposto a controllo”, e che essa, principalmente, “prevede chiaramente come elemento essenziale della condotta che origina la preclusione quello della intenzionalità di non consentire l’esame della documentazione” (sez. V, 14.6.2021, n. 16757).
Ebbene, è necessario che in entrambe le ipotesi l’Amministrazione indichi esattamente quanto richiede e che avverta espressamente delle conseguenze in caso di inottemperanza. Tuttavia le due ipotesi – come ha bene evidenziato la sentenza segnalata – divergono per le relative preclusioni:
- nel primo caso, il mancato invio della documentazione puntualmente richiesta nel termine indicato equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova il contribuente è onerato;
- nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile quella documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’Amministrazione. Su questo punto era già stato precisato che “la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto a impedire l’ispezione documentale”, e ciò perché le citate disposizioni hanno carattere eccezionale e devono essere interpretate alla luce degli artt. 24 e 53 della Costituzione in modo da non comprimere il diritto alla difesa, sicché, per esempio, “non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile” (sez. V, 1.8.2019, n. 20731).
Ne è disceso che in un caso di verifica presso la sede del contribuente ove erano stati prodotti solo alcuni documenti contabili mente altri erano stati consegnati in seguito, aveva sbagliato la Commissione Tributaria Regionale, applicando l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 anziché l’art. 33 dello stesso testo normativo, a ritenere operante il principio di inutilizzabilità degli altri documenti, perché in tal modo era stato erroneamente “valorizzato il dato oggettivo della mancata produzione trascurando di vagliare l’aspetto intenzionale …senza indagare il profilo soggettivo, volontaristico e doloso del contribuente alla base della mancata produzione documentale”.