Superamento dei limiti “europei” di inquinamento dell’aria e conseguenze giuridiche

a cura di Stefano Tenca • 24 marzo 2021

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 10 novembre 2020, causa C- 644/18


PREMESSA

L'adozione delle misure stabilite dall’Unione europea per prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana (e sull’ambiente nel suo complesso), causati dalle frazioni di particolato aerodisperso aventi diametro aerodinamico inferiore a 10 µm (le c.d. polveri fini PM10), costituisce un obbligo giuridico ineludibile per lo Stato italiano.

PM (Particulate Matter) è il termine generico con il quale si definisce un mix di particelle solide e liquide (particolato) che si trovano in sospensione nell’aria. Il PM può avere origine sia da fenomeni naturali (processi di erosione del suolo, incendi boschivi, dispersione di pollini, ecc.) sia, principalmente, da attività antropiche, in particolar modo dai processi di combustione e dal traffico veicolare (particolato primario). Esiste, inoltre, un particolato di origine secondaria che si genera in atmosfera per reazione di altri inquinanti come gli ossidi di azoto (NOx), il biossido di zolfo (SO2), l’ammoniaca (NH3) ed i Composti Organici Volatili (COV), per formare solfati, nitrati e sali di ammonio.

Gli studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra le concentrazioni di polveri in aria e la manifestazione di malattie croniche alle vie respiratorie, in particolare asma, bronchiti, enfisemi. A livello di effetti indiretti inoltre il particolato agisce da veicolo per sostanze ad elevata tossicità, quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici ed alcuni elementi in tracce (As, Cd, Ni, Pb).

Accanto alle possibili iniziative giudiziarie “di sistema” – come quella intrapresa dalla Commissione europea e sfociata nella sentenza in commento – anche il singolo cittadino, colpito da eventi lesivi delle vie respiratorie, può lamentare un danno biologico e un danno morale causato dall’inerzia o comunque dalla violazione colposa di precisi limiti legali da parte di strutture pubbliche facenti capo allo Stato inadempiente.

La liquidazione di un danno presuppone che si riesca a dimostrare l’insorgenza di disturbi connessi alla permanenza continuativa in aree con un livello oltre la soglia massima di tollerabilità di agenti inquinanti, quali ad esempio il biossido di zolfo, e ad escludere che tali disturbi derivino da una condizione psico-fisica individuale e preesistente all’esposizione a tali agenti.

D’altra parte, il fatto che la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza in commento, abbia ritenuto che nel nostro Paese il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per il PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni in un numero importante di zone, nonostante l’obbligo incombente allo Stato membro di adottare tutte le misure appropriate ed efficaci per conformarsi al requisito secondo cui il periodo di superamento deve essere il più breve possibile, se da un lato facilita la prova sulla condotta inadempiente dell’Autorità statale, dall’altro non esime l’interessato, qualora le sue doglianze si appuntino (anche) nei confronti di enti locali o della Regione di riferimento, dall'onere di allegare come tali enti abbiano contribuito, tramite condotte concorrenti o autonome, a generare l’evento lesivo denunciato.

Resta inoltre aperta la questione della necessità o meno di dimostrazione dell'elemento soggettivo dell'ente convenuto, in relazione al titolo di responsabilità fatto valere, e tenendo presente che la Corte di Giustizia, nel valutare l'inadempimento dello Stato membro, ha ritenuto irrilevante, in difetto di prova dell’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza, che tale inadempimento sia doloso o colposo, ovvero scaturisca da difficoltà tecniche o strutturali cui lo Stato avrebbe dovuto far fronte. 


Commento

a cura di Stefano Tenca

A) SINTESI DEL CONTESTO NORMATIVO 

Ai sensi dell’art. 258 del TFUE la Commissione, “quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea”.

L’art. 1, punto 1, della direttiva 2008/50 istituisce misure volte a definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso. 

In tale contesto, l’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, dispone che gli Stati membri provvedano affinché i livelli di PM10 presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, il valore limite stabilito nell’allegato XI della medesima direttiva. Quest’ultimo valore (nella definizione di cui all’articolo 2, punto 5, della direttiva), è individuato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo insieme, deve essere conseguito entro un dato termine e non essere superato una volta raggiunto.

Il considerando 18 della direttiva statuisce l’opportunità di predisporre piani per la qualità dell’aria per le zone e gli agglomerati entro i quali le concentrazioni di inquinanti nell’aria ambiente superano i rispettivi valori obiettivo o valori limite per la qualità dell’aria, più eventuali margini di tolleranza provvisori.

Nel richiamare tali premesse, l’art. 23 della direttiva regola il piano per la qualità dell’aria, il quale deve stabilire misure appropriate affinché il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile e può inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi segnatamente i bambini. Inoltre, deve contenere almeno le informazioni essenziali, può includere misure a norma dell’articolo 24 (Piani d’azione a breve termine per il rischio di superamento delle soglie d’allarme), e va comunicato alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento.

B) IL PROCEDIMENTO DI INFRAZIONE

In data 11/7/2014, la Commissione ha contestato all’Italia (attraverso un atto di messa in mora) l’inosservanza degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50, a causa del continuato superamento – per il periodo compreso tra il 2008 e il 2012 – dei valori limite di concentrazione delle polveri fini inquinanti nell’aria (PM10, particelle aventi dimensione inferiore o uguale a 10 micrometri), fissati dalla direttiva 2008/50/CE del 21 maggio 2008. 

Il 16 giugno 2016 è stata emessa una lettera di messa in mora complementare.

Ritenendo insoddisfacenti i chiarimenti forniti dalle autorità italiane, il 28 aprile 2017 la Commissione ha assunto un parere motivato lamentando, per il periodo dal 2008 al 2015 (nelle 27 zone indicate), una persistente e continuata non conformità al valore limite giornaliero e annuale fissato per il PM10. In secondo luogo, sarebbe stato disatteso l’obbligo di predisporre piani per la qualità dell’aria efficaci. 

Dopo l’ulteriore contraddittorio, il 13 ottobre 2018 la Commissione ha deciso di proporre nei confronti dell’Itala ricorso “per inadempimento”.

C) LE CONTESTAZIONI

La prima censura investe la violazione sistematica e prolungata dell’art. 13 comma 1 e dell’allegato XI, consistente nel travalicamento dei limiti (giornalieri e annuali) del particolato inquinante nelle zone interessate dal 2008 al 2016, tenuto conto che la Repubblica italiana non ha ottenuto alcun differimento della data alla quale assicurare la conformità dei valori limite fissati per il PM10 ai sensi dell’articolo 22 della direttiva 2008/50. Va tenuto conto che la Corte aveva già dichiarato (cfr. sentenza 19/12/2012 Commissione c. Italia C-68/11) che la Repubblica italiana è venuta meno all’obbligo di garantire che, per gli anni 2006 e 2007, le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente non superassero i valori limite giornaliero e annuale fissati dalla direttiva 1999/30 in numerose zone e agglomerati italiani. 

La seconda censura concerne l’inosservanza dell’art. 23 comma 1 e dell’allegato XV lettera A della direttiva, ossia l’inadempimento all’obbligo di predisporre strumenti pianificatori idonei a garantire che il periodo di superamento dei valori limite fissati per il PM10 sia il più breve possibile. In particolare, gli Stati membri sono tenuti a elaborare piani per la qualità dell’aria per le zone e gli agglomerati coinvolti al fine di rispettare il valore limite, e, ove la soglia sia oltrepassata alla scadenza del termine fissato, devono prevedersi misure appropriate affinché l’arco temporale di inosservanza sia ridotto allo stretto indispensabile. 

D) IL GIUDIZIO DELLA CORTE (PRIMA CENSURA)

1. Dopo aver premesso che l’esame può essere esteso ai dati relativi al 2017 acquisiti in corso di causa, la Corte osserva che il procedimento di cui all’articolo 258 TFUE si basa sull’accertamento oggettivo dell’inosservanza, da parte di uno Stato membro, degli obblighi imposti dal Trattato FUE o da un atto di diritto derivato, e che è stato “più volte sottolineato che il superamento dei valori limite fissati per il PM10 nell’aria ambiente è di per sé sufficiente per poter accertare l’inadempimento del combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e dell’allegato XI di quest’ultima …”.

Da questo punto di vista, dai dati esibiti dalla Repubblica italiana si evince il regolare travalicamento in una pluralità di zone dei valori limite giornalieri e annuali fissati per il PM10 (il numero massimo di superamenti è fissato in 35 giorni per anno dall’allegato predetto). 

2. Nel replicare alle obiezioni sollevate dall’Italia in corso di giudizio, la Corte di Giustizia evidenzia che:

- alla luce dell’art. 2 punto 5 della direttiva, non interferisce sulla sistematicità e continuità dell’inadempimento il fatto che le soglie non siano stati superate nel corso di taluni anni, in quanto il valore limite deve essere conseguito entro un dato termine – nel caso di specie dall’1 gennaio 2008 – e non essere superato una volta raggiunto.

- non interferisce neppure sulla conclusione la parziale tendenza al ribasso desumibile dai dati raccolti, la quale non comporta che lo Stato coinvolto si conformi ai valori limite al cui rispetto è tenuto; 

- la direttiva 2008/50 non prevede solo un obbligo di riduzione progressiva dei livelli di concentrazione di PM10 (con l’unico effetto di obbligare gli Stati membri ad adottare un piano per la qualità dell’aria), poiché “… gli Stati membri sono tenuti a conseguire il risultato perseguito dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e dall’allegato XI di quest’ultima, che consiste nel non superare i valori limite fissati da tali disposizioni”; l’opposta interpretazione demanderebbe la realizzazione dell’obiettivo di tutela della salute umana alla sola discrezionalità degli Stati membri, in contrasto con le intenzioni del legislatore dell’Unione, e si consentirebbe a uno Stato membro di sottrarsi al rispetto della scadenza imposta per rientrare nei valori limite fissati per il PM10 (così compromettendo l’effetto utile delle disposizioni);

- solo l’art. 22 della direttiva prevede espressamente la possibilità per uno Stato membro di essere esentato da tale scadenza, a condizioni rigorose che nella fattispecie non sono state rispettate. 

3. A quest’ultimo riguardo, l’art. 2 punto 7 della direttiva regola il margine di tolleranza, quale misura percentuale del valore limite consentita a determinate condizioni. L’art. 22 par. 1 e 2 accordano la possibilità di rinviare di cinque anni il termine per conformarsi ai valori limite per il biossido di azoto o il benzene o di sospendere fino all’11 giugno 2011 l’obbligo di applicare i valori limite per il PM10, a causa della situazione specifica della zona interessata. In entrambi i casi, il paragrafo 4 impone agli Stati membri di inviare una notifica in tal senso alla Commissione, accompagnata da un piano per la qualità dell’aria, e condiziona l’operatività della deroga al silenzio-assenso della Commissione decorsi nove mesi dalla data di ricezione della notifica. L’Italia non ha intrapreso l’iter per la concessione di una proroga, e in ogni caso la misura transitoria ha perso efficacia da quasi un decennio. 

4. A fronte dell’osservazione dello Stato italiano che solo il 17% dell’intero territorio nazionale rientra nel raggio delle contestazioni della Commissione e che vi sono differenze di valori registrate nelle stazioni di rilevamento nell’ambito di una medesima area, la Corte ha ritenuto che il superamento dei valori limite fissati per il PM10, anche in un’unica area, sia di per sé sufficiente a dimostrare una violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50. Per stabilire che un valore limite è stato superato rispetto alla media calcolata per anno civile, la Corte reputa sufficiente che un livello di inquinamento superiore a tale valore sia misurato presso un singolo punto di campionamento. In buona sostanza, non esiste una “soglia minima di tolleranza o esenzione” per quanto riguarda il numero di zone nelle quali può essere constatato un superamento, o in riferimento al numero di stazioni di rilevamento di una zona ove sono registrati scostamenti (peraltro, nelle zone interessate dal ricorso si trovano i più grandi agglomerati d’Italia, i quali contano diverse decine di milioni di abitanti e ignorare tale circostanza si risolverebbe nel violare gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2008/50). 

5. Non è ritenuta degna di apprezzamento neppure la deduzione circa la necessità di una prova di “imputabilità esclusiva” della violazione allo Stato membro in quanto le fonti di inquinamento rientrerebbero nelle materie di competenza dell’Unione (in particolare trasporti, di energia e di agricoltura), circostanza che ridurrebbe le possibilità per un singolo paese di intervenire. Neppure viene accolta l’obiezione per la quale le zone e gli agglomerati in questione presentano particolarità topografiche e climatiche particolarmente sfavorevoli alla dispersione delle sostanze inquinanti. 

Dopo aver rilevato che il legislatore dell’Unione ha fissato i valori limite tenendo conto del fatto che gli inquinanti atmosferici sono prodotti da molteplici fonti e attività e che le diverse politiche sia nazionali sia dell’Unione possono avere un’incidenza al riguardo, la Corte statuisce che l’articolo 22, paragrafo 2, della stessa direttiva prevede le condizioni alle quali, a causa della situazione particolare di una zona o di un agglomerato dovuta alle caratteristiche di dispersione del sito o alle condizioni climatiche avverse, l’esenzione temporanea dall’obbligo del rispetto di detti valori può essere concessa. Di conseguenza, uno Stato membro destinatario di una messa in mora non può, senza che siano state concesse le deroghe secondo le condizioni previste, invocare tali circostanze per confutare l’imputabilità dell’inadempimento addebitato e sottrarsi all’osservanza di obblighi maturati fin dal 1º gennaio 2005 (in virtù della direttiva 1999/30 precedentemente in vigore). Accertata la violazione, in difetto di prova dell’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza, è irrilevante che l’inadempimento sia doloso, colposo ovvero scaturisca da difficoltà tecniche o strutturali cui lo Stato avrebbe dovuto far fronte. 

Le caratteristiche topografiche e climatiche delle zone e degli agglomerati interessati, particolarmente sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti, costituiscono fattori che, come risulta dall’allegato XV, parte A, punto 2, lettere c) e d), della direttiva 2008/50, devono essere presi in considerazione nel contesto dei piani per la qualità dell’aria che tale Stato membro deve elaborare per tali zone o agglomerati al fine di rientrare nel valore limite nell’ipotesi in cui sia oltrepassato.

E) IL GIUDIZIO DELLA CORTE (SECONDA CENSURA)

In diversi passaggi della motivazione i giudici europei sottolineano l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente perseguiti dalla direttiva.

1. Dopo aver affermato che l’articolo 23 della direttiva 2008/50 stabilisce un nesso diretto tra il superamento dei valori limite fissati per il PM10, e la predisposizione di piani per la qualità dell’aria, la Corte ricorda che alla predisposizione di questi ultimi non è estranea una ponderazione tra l’obiettivo della riduzione del rischio di inquinamento e i diversi interessi pubblici e privati in gioco (il che esclude un rigido automatismo tra lo scostamento dai valori limite e la dichiarazione dell’inosservanza degli obblighi ex art. 23). Tuttavia, avverte la Corte che “sebbene gli Stati membri dispongano di un certo margine di manovra per la determinazione delle misure da adottare, queste ultime devono, in ogni caso, consentire che il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile”. 

2. Premesso che la Repubblica italiana è venuta meno, in modo sistematico e continuato, agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e dell’allegato XI (cfr. prima censura) l’obbligo di predisporre, in caso di superamento dei valori limite previsti dalla direttiva 2008/50, piani per la qualità dell’aria contenenti misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile grava sullo Stato membro interessato fin dall’11 giugno 2010 (e i superamenti erano già stati constatati in tale data o addirittura in epoca anteriore nella quasi totalità delle zone e degli agglomerati interessati dal ricorso). 

Anche tale obbligo è stato disatteso.

3. Risulta dagli atti che il piano per la qualità dell’aria per la Regione Sicilia è stato adottato il 18 luglio 2018, ossia dopo la scadenza del termine accordato nel parere motivato (28 giugno 2017). Pur essendo stati adottati i Piani nelle altre regioni interessate, quelli per l’Umbria, il Lazio, la Campania e la Puglia non contengono indicazioni sul termine previsto per il raggiungimento degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria. In altri casi, i piani regionali annunciano un periodo di realizzazione che può protrarsi per più anni o talvolta addirittura per due decenni dopo l’entrata in vigore dei valori limite fissati per il PM10 (Emilia Romagna e Toscana 2020, Veneto e Lombardia 2025, Piemonte 2030). Infine, le misure strutturali sono state introdotte solo di recente, in aggiornamenti adottati appena prima della scadenza del termine di risposta al parere motivato della Commissione o anche successivamente (e alcune sono ancora in fase di predisposizione).

4. All’obiezione di una netta tendenza al miglioramento della qualità dell’aria registrata in tutto il territorio italiano, in particolare nel corso degli anni recenti, la Corte replica che, nelle 27 zone e agglomerati oggetto del ricorso, il valore limite giornaliero fissato per il PM10 – da non superare più di 35 volte nel corso di un anno – è stato rispettato nel corso del 2017 solo in due zone. Inoltre, nella grande maggioranza delle aree coinvolte emerge un incremento del numero di superamenti per il 2017 rispetto al 2016. Inoltre, la quantità degli scostamenti del valore limite giornaliero nel 2017 è, in varie zone e agglomerati interessati, corrispondente a quello del 2010 e può raggiungere, in alcuni casi, il doppio o addirittura il triplo del quantum massimo permesso. 

5. Per quanto riguarda l’argomento addotto dalla Repubblica italiana, secondo cui è indispensabile che lo Stato membro interessato abbia ampi orizzonti temporali per consentire alle misure previste nei singoli piani per la qualità dell’aria di produrre effetto, la Corte ritiene che tale considerazione non può, in ogni caso, giustificare un periodo particolarmente lungo per porre fine al superamento dei valori limite, come quelli previsti nella presente causa, che devono essere valutati, in ogni caso, alla luce dei riferimenti temporali previsti dalla direttiva 2008/50 (il 1° gennaio 2008 per i valori limite fissati per il PM10 e l’11 giugno 2010 per l’adozione dei piani di qualità dell’aria).

6. La Corte, poi, rammenta che difficoltà strutturali, connesse alla sfida socioeconomica e finanziaria dei vasti investimenti da realizzare, non rivestivano, di per sé, carattere eccezionale e non erano idonee a escludere che sarebbe stato possibile stabilire termini più brevi.

7. In conclusione, la Repubblica italiana non ha manifestamente adottato in tempo utile misure appropriate che consentano di garantire che il periodo di superamento dei valori limite fissati per il PM10 fosse il più breve possibile nelle zone e negli agglomerati interessati. Pertanto, il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per il PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni in dette zone, nonostante l’obbligo incombente a tale Stato membro di adottare tutte le misure appropriate ed efficaci per conformarsi al requisito secondo cui il periodo di superamento deve essere il più breve possibile.

F) PENDENZE ULTERIORI (E AFFINI)

Oltre alla procedura sfociata nella sentenza commentata, due ulteriori procedure sono in corso per il superamento dei livelli di ossido di azoto NO2 – con ricorso trasmesso alla Corte di Giustizia UE – e delle polveri ultrasottili PM2,5, con emissione della lettera di messa in mora. L’Italia deve pertanto conformarsi alla sentenza senza indugio, comunicando alla Commissione le misure di attuazione della direttiva sulla qualità dell’aria, salvo esporsi, in caso contrario, all’inflizione di sanzioni pecuniarie.

Sussiste inoltre l’esigenza, strettamente correlata al dovere delle Autorità competenti di tutelare la salute pubblica e individuale, di intervenire sui fenomeni inquinanti con la massima diligenza, al fine di evitare l’ulteriore esborso economico per le casse pubbliche correlato a cause di risarcimento del danno in cui venga riconosciuto il nesso di causalità tra la manifestazione di malattie croniche alle vie respiratorie e una condotta colposa e omissiva o addirittura agevolativa dell'illecito da parte delle strutture pubbliche facenti capo allo Stato inadempiente.