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Sospensione dall'attività lavorativa e giurisdizione

22 ottobre 2022

Tribunale di Ancona, Seconda civile, ordinanza ex art. 700 c.p.c. del 12 gennaio 2022 (r.g. n. 2021/5358)/ Corte di Cassazione Sez. Unite, 29 settembre 2022, n. 28429


IL CASO E IL CONFLITTO DI GIURISDIZIONE

Un fisioterapista ha chiesto l'annullamento in via d’urgenza del provvedimento con cui nel novembre del 2021 l’Ordine dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle professioni sanitarie tecniche della riabilitazione e della prevenzione di Ancona, Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, preso atto delle comunicazioni trasmesse dall’Azienda sanitaria regionale in merito al mancato rispetto da parte sua dell’obbligo vaccinale, e tenuto conto di quanto allora previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44/2021, l’ha sospeso temporaneamente dall’esercizio della propria professione.

Preliminarmente, il Giudice di prime cure ha dovuto pronunciarsi sulla sussistenza della giurisdizione in capo al G.O., decidendo infine di negarla.

In particolare, il Tribunale ordinario ha condiviso l’orientamento già emerso all'epoca da alcune significative pronunce della giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’atto di accertamento dell’ottemperanza da parte del sanitario dell’obbligo vaccinale ex art. 44, comma 1, d.l. n. 44/2021 inerirebbe ad uno specifico segmento procedimentale propriamente amministrativo e pubblicistico diretto ad accertare, mediante l’esercizio di un potere discrezionale ed autoritativo, se il sanitario abbia ricevuto o meno la somministrazione del vaccino contro il SARS-CoV-2.

E ciò, nonostante l’attività amministrativa svolta dall’Azienda Sanitaria fosse riconducibile nell’ambito di un potere vincolato di accertamento e i ricorrenti lamentassero la lesione di diritti fondamentali, come il diritto al lavoro ed alla retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost. e del diritto ad autodeterminarsi anche in campo sanitario ai sensi degli artt. 2 e 32 della medesima Carta fondamentale.

D'altra parte, sempre secondo il Giudice ordinario, ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 11.01.2018 n. 3, l’Ordine resistente doveva essere qualificato come un ente pubblico non economico, che agisce quale organo sussidiario dello Stato al fine di tutelare non soltanto gli interessi dei professionisti, ma in generale la salute pubblica, con la conseguenza che si sarebbe sempre imposta, anche sotto questo profilo, la giurisdizione del giudice amministrativo, non trattandosi di impugnazione di provvedimenti aventi natura disciplinare o comunque contestabili dinanzi ai competenti organi nazionali.

In effetti, la sospensione operata dall'Ordine nei confronti del fisioterapista giungeva all'esito di un accertamento procedimentale di natura complessa, e il relativo provvedimento aveva costituito un mero effetto automatico che discende direttamente dalla legge a carico del sanitario inottemperante.

Sempre secondo il Giudice ordinario, le conclusioni in ordine alla corretta individuazione del Giudice fornito di giurisdizione sarebbero coerenti con il petitum e la causa petendi dei procedimenti in questione, in quanto tali procedimenti sarebbero "volti in buona sostanza a contestare l’intera azione amministrativa posta in essere dalle Aziende Sanitarie in attuazione del potere vincolato loro conferito dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per l’accertamento dell’obbligo vaccinale".

Il ricorso ex art. 700 c.p.c. è stato dunque respinto, e il fisioterapista ha dovuto riassumere il giudizio davanti al TAR Marche, che peraltro ha sollevato conflitto negativo di giurisdizione, rimettendo gli atti per la decisione alla Corte di Cassazione.


LA SOLUZIONE DELLA CASSAZIONE E LA NORMATIVA ESAMINATA

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha risolto il conflitto di giurisdizione sollevato dal TAR per le Marche con la declaratoria di giurisdizione del giudice ordinario, posto che verrebbe “in rilievo un diritto soggettivo - ossia continuare ad esercitare la professione sanitaria, nonostante l'inadempimento all'obbligo vaccinale - nei cui confronti la pubblica amministrazione non esercita alcun potere autoritativo correlato all'esercizio di poteri di natura discrezionale, venendo in rilievo esclusivamente limiti e condizioni di previsione legislativa”.

Nel merito delle norme esaminate, il punto di partenza è che l’art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76  ha imposto agli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, l’obbligo della vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, inizialmente, sino al 31 dicembre 2021. Il termine di efficacia della misura è stato, poi, prorogato più volte, tramite disposizioni novellatrici del citato art. 4; dapprima, di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021 e, quindi, sino al 31 dicembre 2022 (in forza dell’art. 8, comma 1, lett. a), del d.l. n. 24 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 52 del 2022).

Lo stesso comma 1 dell’art. 4 dispone che la “vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione”. 

L’esenzione dalla vaccinazione obbligatoria o il suo differimento può aversi soltanto “in caso in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2”. 

L’art. 4, dal comma 3 al comma 7, ha, quindi, previsto una articolata scansione procedimentale volta a regolare le modalità operative dell’obbligo vaccinale e a verificarne l’adempimento, la quale è stata oggetto di modificazioni ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. b, del d.l. n. 172 del 2021, convertito, con modificazioni, nella legge n. 3 del 2022. 

In particolare, sono stati rimessi all’Ordine professionale territorialmente competente, i compiti, prima assegnati alle aziende sanitarie locali: di verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 (tramite Piattaforma nazionale-DGC); di invito all’interessato a presentare la documentazione attestante l’effettuazione della vaccinazione o la richiesta di vaccinazione ovvero ancora la documentazione attestante le condizioni di esenzione/differimento o l’insussistenza dei presupposti dell’obbligo vaccinale; di accertamento del “mancato adempimento dell’obbligo vaccinale”. 

Inoltre, il novellato comma 4 dell’art. 4, proprio nel disporre che “l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale è adottato da parte dell’Ordine professionale territorialmente competente, all’esito delle verifiche di cui al comma 3”, ha precisato che tale atto “ha natura dichiarativa e non disciplinare, determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale”.

Quanto all'attribuzione della giurisdizione, posto che la questione aveva dato luogo fin da subito ad orientamenti difformi nella giurisprudenza, la Suprema Corte ha innanzitutto escluso che la controversia esaminata debba essere devoluta alla giurisdizione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, giudice speciale - istituito dall’art. 17 del d.lgs. c.p.s. 13 settembre 1946, n. 233, ratificato con la legge 17 aprile 1956, n. 561 (e oggetto di successive plurime modificazioni) – che “decide sui ricorsi ad essa proposti a norma” del citato d.lgs. c.p.s. del 1946, come previsto dall’art. 18 dello stesso decreto.

I ricorsi sui quali ha giurisdizione la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie sono quelli contro i provvedimenti adottati dal Consiglio direttivo (o dalla commissione di albo) nella materia dell’iscrizione dei professionisti all’Ordine nel rispettivo albo e nella materia disciplinare [art. 3, comma 1, lett. a), e comma 2, lett. a) e c), del d.lgs. c.p.s. n. 233 del 1946], ma l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, nella sua formulazione originaria (applicabile ratione temporis) – diversamente da quanto previsto dal d.l. n. 172 del 2021 - non rimette all’Ordine professionale (e per esso ai suoi organi competenti per materia) l’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, bensì soltanto la comunicazione all’interessato della “sospensione dal diritto di svolgere prestazioni” professionali implicanti contatti interpersonali o comportanti il rischio di diffusione del contagio da SARS CoV-2; sospensione che, tuttavia, deriva automaticamente, ex lege (secondo quanto previsto dal comma 6 dello stesso art. 4), dall’accertamento, ad opera della ASL, della inosservanza dell’obbligo vaccinale.

Non vi è, dunque, secondo la Corte, alcun “provvedimento” dell’Ordine contro il quale l’interessato possa proporre ricorso, come dispone l’art. 3, comma 4, del d.lgs. c.p.s. n. 233 del 1946.

Né la misura della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 rientra nelle materie su cui insiste la giurisdizione speciale della Commissione centrale, in quanto l'essere vaccinati è divenuto, almeno transitoriamente, un requisito essenziale per l’esercizio della professione sanitaria, ovvero una condizione imposta dalla legge a tutela della salute pubblica e della sicurezza delle cure (in attuazione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, con particolare attenzione alle “categorie più fragili” e ai “soggetti più vulnerabili”), che, dunque, opera su un piano oggettivo, a prescindere da connotazioni di disvalore della eventuale condotta inadempiente.

Inoltre, detto “requisito essenziale” attiene all’esercizio della professione e, dunque, al suo svolgimento già consentito dalla previa iscrizione all’albo professionale – svolgimento che, in caso di inadempimento all’obbligo di vaccinazione, rimane solo temporaneamente inibito -, ma non incide sullo status di professionista iscritto all’albo, che persiste come tale.

Non trovano rilievo, pertanto, la materia dell’iscrizione all’albo professionale, né quella disciplinare, là dove, poi, per quest’ultima, la conferma della sua non pertinenza rispetto all’inadempimento dell’obbligo vaccinale si trae anche dallo stesso art. 4, comma 4, del d.l. n. 44 del 2021, come modificato dal d.l. n. 172 del 2021, che ha espressamente qualificato l’atto di accertamento di tale inadempimento come di natura “non disciplinare”.

Qualificazione, questa, che, del resto, assume valenza solo ricognitiva del carattere, deontologicamente neutro, dell’atto di accertamento già previsto dal testo originario dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 44 del 2021, essendo rimasta immutata la natura dell’obbligo vaccinale quale “requisito essenziale per l’esercizio della professione” e la ratio legis della relativa imposizione, rendendosi quella espressa qualificazione opportuna per aver la novella di cui al d.l. n. 172 del 2021 affidato all’Ordine professionale (e non più alla ASL) la competenza sull’adozione del medesimo.

La giurisdizione spetta invece, secondo i giudici di legittimità, al Giudice ordinario.

In primo luogo, la Corte ha evidenziato ancora una volta che la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni professionali in ambito sanitario deriva automaticamente, ex lege, dall’accertamento, ad opera della ASL (ed ora dell’Ordine professionale), della inosservanza dell’obbligo vaccinale. 

Tale accertamento non ha valore provvedimentale, trattandosi della mera verifica della sussistenza o meno di tale “requisito essenziale per l’esercizio della professione”. La ASL o l’Ordine professionale non sono dunque chiamati ad effettuare una ponderazione tra gli interessi in gioco di eminente rilievo costituzionale: interesse alla salute collettiva, da una parte, diritto al lavoro e all’autodeterminazione dall’altra, perché tale comparazione è stata già effettuata a monte dal legislatore con l’introduzione di una fattispecie ex lege d’inidoneità del “lavoratore della sanità” non vaccinato a svolgere la prestazione lavorativa; senza dunque che sia prevista l’intermediazione dell’esercizio di potere da parte di alcuna Pubblica Amministrazione. 

Lo schema regolante il rapporto è quindi quello della norma che pone un nuovo presupposto per l’esercizio della professione sanitaria, incidendo direttamente sul diritto soggettivo del professionista o dell’operatore ad espletare le relative mansioni. La norma disciplina dunque direttamente il fatto producendo da sé i conseguenti effetti giuridici secondo lo schema “norma-fatto-effetto”. Con la conseguenza che l’organo amministrativo è chiamato solamente ad accertare il compimento di una fattispecie legale specificamente regolata, ossia che – nei termini stabiliti dalle disposizioni di legge – si sia determinato il “fatto” dell’inadempimento all’obbligo vaccinale e a darne, quindi, attestazione.

Da tale atto, di mera verifica dell’essersi determinato il “fatto” dell’inadempimento all’obbligo imposto dalla legge, discende, in modo automatico, e senza alcun apprezzamento discrezionale di sorta, la sospensione del sanitario dall’esercizio della professione.

Pertanto, secondo la Corte, se è vero che la disciplina in esame è orientata alla tutela di interessi pubblici di primaria importanza, da ciò non si può desumere che sia stato attribuito alla pubblica amministrazione, per il raggiungimento di tali fini, un potere conformativo della sfera giuridica del privato. L’amministrazione infatti non è chiamata ad esercitare un potere sanzionatorio o disciplinare sull’operatore sanitario che non si è vaccinato, ma solo a “fotografare” un fatto cui la legge connette l’inidoneità temporanea del medesimo operatore sanitario, in quanto lavoratore, sia esso autonomo o subordinato, a svolgere l’attività sanitaria.

Si comprende quindi che, pur avendo l’obbligo vaccinale la sua genesi in una finalità spiccatamente di interesse pubblico, l’intera disciplina approntata dal legislatore con l’art. 4 in esame, rimane racchiusa nell’ambito “privatistico - lavorativo”.

La delibazione operata dalle Sezioni Unite è stata come al solito orientata, in punto di riparto di giurisdizione, dal criterio del c.d. petitum sostanziale, ossia dall’esame della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio.

Ha trovato nuovamente applicazione la consolidata giurisprudenza dei giudici di legittimità secondo cui appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui venga in rilievo un diritto soggettivo nei cui confronti la pubblica amministrazione eserciti un’attività vincolata, nei cui confronti cioè l'amministrazione deve verificare soltanto se sussistano i presupposti predeterminati dalla legge per l’adozione di una determinata misura, senza dunque esercitare alcun potere autoritativo correlato all’esercizio di poteri di natura discrezionale.

Secondo il Giudice regolatore del riparto di giurisdizione, la differenza tra le due situazioni sostanziali di diritto soggettivo e di interesse legittimo – che è sempre rilevante e necessaria ai fini del riparto nelle ipotesi in cui non si verte in ipotesi di giurisdizione esclusiva ex art. 133 c.p.a. –, sta che nel caso dell'interesse legittimo l’acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela appunto in modo diretto l’interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo.

La norma è attributiva del potere, cioè, quando conferisce all’autorità amministrativa la potestà di scelta discrezionale in ordine alla disposizione degli interessi e alla fissazione del precetto giuridico.

Se invece il diritto sostanziale è stato fissato dalla legge con la preventiva definizione della gerarchia degli interessi, il rapporto giuridico che viene così instaurato attiene a diritti soggettivi e l’autorità amministrativa può all’occorrenza essere preposta alla vigilanza circa l’osservanza del precetto giuridico o a darvi attuazione.

La norma attributiva del potere offre, in definitiva, al titolare dell’interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l’esercizio del potere, anziché finale, come accade per il diritto soggettivo.

La Corte di Cassazione riafferma così la tesi della rigida dicotomia "potere discrezionale-potere vincolato" per individuare la differenza tra diritto soggettivo e interesse legittimo, nonostante sia ormai insegnamento consolidato, quanto meno in dottrina, che può esistere una posizione di interesse legittimo anche a fronte di un potere che sia vincolato in tutti i suoi elementi dalla norma giuridica.



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