Spigolature 33. Ancora su "Homo sacer" di Giorgio Agamben
Facendo seguito al n. 32 di Spigolature, nel quale si è introdotto il discorso sul pensiero del prof. Giorgio Agamben, si segnala ora l'interessantissimo scritto di Giulio Pignatti (Università degli studi di Padova) intitolato “Agamben, homo sacer e l’emersione del «vincolo segreto» biopolitico nell’età contemporanea”. Il saggio è pubblicato su “In Circolo rivista di filosofia e culture” n. 7 – Giugno 2019 ed è rinvenibile online all'indirizzo https://www.incircolorivistafilosofica.it/wp-content/uploads/2019/07/Pignatti-Agamben-Homo-sacer-n.7.pdf .
L'Autore così introduce l'argomento:
Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, pubblicato nel 1995, è probabilmente l’opera più importante del filosofo italiano Giorgio Agamben (Roma, 1942). Essa può essere anche individuata come uno spartiacque all’interno della variegata e prolifica pubblicazione del pensatore; questo testo, infatti, inaugura un mosaico di altre otto opere – uscite nel corso dei vent’anni successivi e il cui titolo complessivo è, appunto, Homo sacer – che si pone come obiettivo un’opera genealogica di scavo nelle principali strutture politiche, giuridiche ed economiche della cultura occidentale.
Le due opere che prenderemo in esame in questo lavoro, Homo sacer e Stato di eccezione [1], sono, in particolar modo, i tasselli fondamentali di quel «ripensamento di tutte le categorie della nostra tradizione politica» [2] che si propone Agamben. Dal momento che tale ripensamento avviene «alla luce del rapporto fra potere sovrano e nuda vita» [3], l’operazione di scavo assume un carattere eminentemente biopolitico. Nell’Introduzione a Homo sacer, infatti, Agamben dichiara esplicitamente che la presente ricerca concerne precisamente questo nascosto punto d’incrocio fra il modello giuridico-istituzionale e il modello biopolitico del potere. Ciò che essa ha dovuto registrare fra i suoi probabili risultati è precisamente che le due analisi non possono essere separate e che l’implicazione della nuda vita nella sfera politica costituisce il nucleo originario –
anche se occulto – del potere sovrano. Si può dire, anzi, che la produzione di un corpo biopolitico
sia la prestazione originale del potere sovrano. [4]
Quanto alla
nozione di biodiritto sviluppata da Michel Foucault,
Giulio Pignatti, in via preliminare, tratteggia i caratteri della biopolitica:
... Tale concetto si impone nel dibattito filosofico e culturale a partire dall’interpretazione che ne dà Michel Foucault (1926-1984) dalla metà degli anni Settanta.
Il termine compare per la prima volta nel quinto e ultimo capitolo dell’opera La volontà di sapere (1976) [5]. Per Foucault si dà una nascita della biopolitica (questo è anche il titolo del corso tenuto al Collège de France nel semestre 1978-1979): «Per millenni l’uomo è rimasto quel che era per Aristotele: un animale vivente ed inoltre capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente» [6]. Nell’epoca moderna la politica diventa biopolitica in quanto il controllo e la cura che essa dispiega sono rivolti primariamente all’esistenza biologica degli individui – sia presi singolarmente come corpi (entra qui in gioco il dispositivo della disciplina), sia complessivamente come specie, cioè come popolazione (attraverso il dispositivo della bio-politica in senso stretto). Il potere, quindi, non si esercita più negativamente come potere di morte (che al limite lascia vivere), bensì si afferma positivamente sulla vita, cominciando «a gestirla, a potenziarla, a moltiplicarla, ad esercitare su di essa controlli precisi e regolazioni d’insieme» [7]. La realtà biologica non è più solo uno sfondo oscuro dominato dalla fatalità, ma funge da referente diretto dei giochi e dei calcoli politici. È solo nella prospettiva della nascita di questo bio-potere che per Foucault si possono spiegare fenomeni caratteristici dell’âge classique (che, nella storiografia francese, corrisponde ai tre secoli compresi tra il 1453 e il 1789) [8] come [lo] sviluppo rapido […] delle varie discipline – scuole, collegi, caserme, ateliers; [l’] emergenza anche, nel campo delle pratiche politiche e delle osservazioni economiche, dei problemi di natalità, longevità, di salute pubblica, di habitat, di migrazione; [l’] esplosione dunque di tecniche diverse e numerose per ottenere la subordinazione dei corpi ed il
controllo delle popolazioni. [9]
Infine per Foucault lo sviluppo del capitalismo stesso, in quanto «inserimento controllato dei corpi nell’apparato di produzione» [10], è incomprensibile se si prescinde dalla considerazione del paradigma del bio-potere.
Così tratteggiata la nozione di biopotere come sviluppata da Foucault, Pignatti evidenzia il carattere originale e differenziato che il concetto assume nel pensiero di Agamben:
Il concetto foucaultiano di biopolitica, la cui idea fondamentale è che la presa del potere avvenga al livello della vita biologica, è lo stesso che caratterizza anche la concezione agambeniana della sovranità [11]. Vi è però una differenza fondamentale tra i due pensatori, che è necessario esaminare prima di approfondire l’argomentazione di Agamben – la quale comunque porta l’analisi del paradigma biopolitico in una direzione in parte diversa e in ogni caso più “radicale” rispetto al filosofo francese.
Abbiamo detto che per Foucault la biopolitica nasce: vi è cioè un momento preciso, da collocarsi intorno al XVIII secolo, in cui, in alcuni paesi europei, avviene «l’ingresso della vita nella storia – l’ingresso dei fenomeni propri alla vita della specie umana nell’ordine del sapere e del potere –, nel campo delle tecniche politiche» [12]; questo momento è chiamato dal filosofo francese «soglia di modernità biologica».
L’operazione che invece compie Agamben in tal senso è quella di «smontare la periodizzazione proposta da Foucault» [13]; ciò è evidente fin dalle prime parole di Homo sacer, che rimandano all’ambito della cultura greca antica, e quindi alle radici della tradizione occidentale. È Agamben stesso a sottolineare questa differenza rispetto all’approccio di Foucault e a spiegarne il senso:
La biopolitica è, in questo senso, antica almeno quanto l’eccezione sovrana. Mettendo la vita biologica al centro dei suoi calcoli, lo Stato moderno non fa, allora, che riportare alla luce il vincolo segreto che unisce il potere alla nuda vita, riannodando così (secondo una tenace corrispondenza fra moderno e arcaico che è dato riscontrare negli ambiti più diversi) col più immemoriale degli arcana imperii. [14]
Non si tratta dunque semplicemente di una questione formale o secondaria: quella che Agamben si propone di analizzare è una sorta di struttura originaria della sovranità, che, in quanto tale, come scrive Sandro Chignola, «non ha davvero storia», ma «tuttalpiù figure, angoli di riverbero, soglie di scivolamento nelle quali si evidenzino gradienti minimali di diversificazione…» [15]. Come vedremo questo è un punto quantomeno controverso, che permette di proporre una parziale riarticolazione della prospettiva agambeniana.
Nel rinviare necessariamente alla lettura integrale del saggio, si riporta di seguito il secondo paragrafo intitolato:
“Sovranità e stato di eccezione”.
In che cosa consiste questa struttura originaria della sovranità per Agamben? La sovranità si dà come paradosso; il paradosso consiste nel fatto che il sovrano, a un tempo fuori e dentro all’ordinamento politico-giuridico – sicché egli è definibile secondo l’ossimoro «estasi-appartenenza» [16] –, ne costituisce la soglia-limite e quindi il principio. «Il sovrano, avendo il potere legale di sospendere la validità della legge, si pone legalmente fuori legge» [17]. Per Agamben, che qui segue pedissequamente e dichiaratamente lo Schmitt della Teologia politica (1922), la specificità della sovranità non consiste nel monopolio della sanzione o del potere legislativo, quanto in quello della decisione. Tale Entscheidung ha come oggetto la possibilità della validità stessa della legge, la quale può essere applicata solo in un contesto normale – «non esiste nessuna norma che sia applicabile al caos» [18]. Il sovrano è colui che decide sulla sussistenza di tale normalità (che assume quindi la forma di “normabilità”).
Questo «potere legale di sospendere la validità della legge» si configura come «eccezione sovrana», termine che rimanda semanticamente a quello fondamentale di «stato di eccezione». Quest’ultimo è quello stato in cui viene sospesa la vigenza della legge, su decisione del sovrano e a causa della necessità dettata generalmente dall’emergenza (ma vedremo che per Agamben su questo aspetto la questione si fa più complessa); pertanto la decisione sulla normabilità è, in ultima istanza, una decisione sullo stato di eccezione [19]. Lo stato di eccezione non è una condizione di totale anarchia, bensì uno stato in cui il potere sovrano opera una krisis tra applicazione e vigenza della norma: La prestazione specifica dello stato di eccezione non è tanto la confusione dei poteri, su cui si è fin troppo insistito, quanto l’isolamento della «forza-di-legge» dalla legge. Esso definisce uno «stato di legge» in cui, da una parte, la norma vige, ma non si applica (non ha «forza») e, dall’altro, atti che non hanno valore di legge ne acquistano la «forza». […]
Lo stato di eccezione è uno spazio anomico, in cui la posta in gioco è una forza-di-legge senza legge (che si dovrebbe pertanto scrivere: forza-di-legge). [20]
Effetti e scopi della proclamazione dello stato di eccezione sono due, strettamente collegati. Innanzitutto l’eccezione è «la struttura originaria in cui il diritto si riferisce alla vita e la include in sé attraverso la propria sospensione» [21]. Lo stato di eccezione è quella condizione temporanea – ma vedremo che su questo punto Agamben avrà da eccepire – in cui la legge, attraverso la propria sospensione, si riferisce in maniera immediata alla vita (come pura vis obligandi, forza-di-legge senza legge), in modo da creare le condizioni necessarie alla vigenza stessa del diritto (cioè la normalità, contrapposta all’emergenza). È, questo, il punto fondamentale che sarà necessario approfondire già a partire dal prossimo paragrafo.
In secondo luogo, in quanto lo stato di eccezione è condizione di possibilità della vigenza della legge (pur costituendo una sospensione temporanea di tale vigenza), esso è la figura decisiva per la spazializzazione dell’ordinamento giuridico: costituisce la «soglia a partire dalla quale interno ed esterno entrano in quelle complesse relazioni topologiche che rendono possibile la validità dell’ordinamento» [22]. L’idea di fondo di tutta la teoria agambeniana – che motiva la centralità dell’Ausnahmezustand – è che questo spazio vuoto di diritto [lo stato di eccezione] sembra essere, per qualche ragione, così essenziale all’ordine giuridico, che questo deve cercare in tutti i modi di assicurarsi una relazione con esso, quasi che, per fondarsi, dovesse mantenersi necessariamente in rapporto con un’anomia. [23]
La paradossalità dello stato di eccezione è che esso costituisce il luogo in cui l’illecito (cioè ciò che è esterno al diritto) assume veste legale. La figura dell’exceptio consiste infatti, per Agamben, in un’inclusione esclusiva: nello stato di eccezione l’inclusione nell’ordinamento implica allo stesso tempo l’esclusione derivata dalla sospensione dello stesso; e «il particolare “vigore” della legge consiste [proprio] in questa capacità di mantenersi in relazione con un’esteriorità» [24]. Proprio perché il vigore dell’ordinamento giuridico si gioca sulla capacità di includere in sé ciò che gli è esterno è così importante per Agamben la disputa – la “gigantomachia attorno a un vuoto” [25] –, in parte diretta e in parte implicita, tra Benjamin e Schmitt sul tema della sovranità, e in particolare il tentativo schmittiano di includere ad ogni costo la violenza pura (o “divina”) benjaminiana all’interno del diritto – proprio attraverso la figura dello stato di eccezione. Infatti, scrive Agamben, ciò che il diritto non può in nessun caso tollerare, ciò che esso sente come una minaccia con cui è impossibile venire a patti è l’esistenza di una violenza al di fuori del diritto; e questo non perché i fini di una violenza siano incompatibili col diritto, ma «per il semplice fatto della sua esistenza al di fuori del diritto». [26]
Nel prossimo numero di Spigolature si tratterà delle interessanti (e, a parere del redattore delle spigolature, condivisibili) considerazioni svolte da Giulio Pignatti, nella parte finale del suo scritto, sul ruolo giocato dal nichilismo contemporaneo sul biodiritto.
^^
(note)
1 Giorgio Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 2005; Giorgio
Agamben, Stato di eccezione. Homo sacer: II, 1, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
2 Giorgio AGAMBEN, Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 10. Quest’opera raccoglie diversi testi che costituiscono i nuclei o gli spunti per le varie fasi di quel
«cantiere aperto» che è Homo sacer.
3 Ibidem.
4 AGAMBEN, Homo sacer, p. 9.
5 Michel FOUCAULT, Histoire de la sexualité I. La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976, tr. it. Pasquale Pasquino e Giovanna Procacci, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 119-142 (capitolo Diritto di morte e potere sulla vita). Altri luoghi in cui Foucault tratta del tema della biopolitica e del biopotere (tema che comunque, in senso stretto, impegna il pensatore francese per un arco relativamente breve della sua attività intellettuale), che però qui non prenderemo in esame, sono: Sorvegliare e punire (1975) e i corsi al Collège de France Bisogna difendere la società (1975-1976), Sicurezza, territorio, popolazione (1977-1978) e Nascita della biopolitica (1978-1979).
6 Ivi, p. 127.
7 Ivi, p. 121.
8 Riccardo CAMPA, Biopolitica e biopotere. Da Foucault all’Italian Theory e oltre, in «Orbis Idearum», Vol. 2, 2015, Issue 1, pp. 125-170; qui p. 129.
9 FOUCAULT, La volontà di sapere, pp. 123-124.
10 Ivi, p. 124.
11 Cfr. AGAMBEN, Mezzi senza fine, p. 16: «La tesi di Foucault, secondo cui “la posta in gioco è oggi la vita” – e la politica è, perciò, diventata biopolitica –, è, in questo senso, sostanzialmente esatta».
12 FOUCAULT, La volontà di sapere, p. 125.
13 CAMPA, Biopolitica e biopotere, p. 134.
14 AGAMBEN, Homo sacer, p. 9; cfr. anche infra: «La tesi foucaultiana dovrà, allora, essere corretta o, quanto meno, integrata, nel senso che ciò che caratterizza la politica moderna non è tanto l’inclusione della zoé nella polis, in sé antichissima, né semplicemente il fatto che la vita come tale divenga un oggetto eminente dei calcoli e delle previsioni del potere statale […]». Ivi, p. 12, corsivo nostro.
15 Sandro CHIGNOLA, Regola, Legge, forma-di-vita. Attorno ad Agamben: un seminario, in ID., Da dentro. Biopolitica, bioeconomia, Italian Theory, DeriveApprodi, Roma 2018, pp. 154-172; qui p. 159.
16 AGAMBEN, Stato di eccezione, p. 48.
17 AGAMBEN, Homo sacer, p. 19, corsivo nostro.
18 Carl SCHMITT, Politische Theologie, Vier Kapitel zur Lehre vor der Souveränität, München-Leipzig 1922, p.
39, cit. in AGAMBEN, Homo sacer, p. 20.
19 Ivi, p. 31: «La sovranità si presenta nella forma di una decisione sull’eccezione».
20 AGAMBEN, Stato di eccezione, p. 52.
21 AGAMBEN, Homo sacer, p. 34.
22 Ivi, p. 23.
23 AGAMBEN, Stato di eccezione, p. 66.
24 AGAMBEN Homo sacer, p. 22.
25 AGAMBEN, Stato di eccezione, pp. 68-83.
26 Ivi, pp. 69-70.