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Tutti contro tutti (Ma c’è un giudice anche a Melbourne)

di Roberto Lombardi • 16 gennaio 2022

Benvenuti nel regno della razza umana. E’ la frase che l’antieroe per eccellenza di John Carpenter pronuncerebbe anche a proposito di questa pandemia che ci perseguita, ma stavolta non dopo avere “spento” il mondo, bensì guardando in modo beffardo persone e istituzioni battersi a mani nude, mentre i ricchi diventano più ricchi e gli ultimi restano ancora più indietro.

Vaccinati contro tamponati, giovani contro anziani, mascherati contro smascherati, complottisti contro leccapiedi, lavoratori contro non lavoratori, governo contro regioni, nazioni contro nazioni, Stati contro individui.

Il mondo frigge su una padella che diventa sempre più scottante, senza che una chiara via di uscita dall’emergenza si affacci all’orizzonte. La sensazione però è quella di un impazzimento generale che provoca tensioni e che puntualmente sfocia in pittoresche liti giudiziarie.

Tocca quindi sempre più spesso a un giudice, e quasi sempre ad esito di un esercizio solitario di “giurisdizione urgente”, stabilire cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, o, meglio ancora, cosa è più giusto e cosa è più sbagliato, in un mare magnum ordinamentale di pressappochismo e contraddizioni.


Stato vs Regione Campania

A seguito dell’ultimo decreto-legge del Governo, che non ha impedito il rientro scolastico in aula degli studenti dopo festività segnate da un esponenziale aumento dei contagi, limitandosi ad individuare la disciplina per la “gestione dei casi di positività all’infezione da SARS-CoV-2 nel sistema educativo, scolastico e formativo”, la Regione Campania ha adottato un’ordinanza (la n. 1 del 7 gennaio 2022) con la quale ha ravvisato la necessità di provvedere nel senso proposto dall'Unità di crisi regionale, al fine di scongiurare il collasso del suo sistema sanitario, già fortemente sotto pressione, come provato dalla disposta sospensione di plurime attività di ricovero ed ambulatoriali.

Nello specifico, si proponeva l’adozione di misure straordinarie di contenimento.

Ciascuna delle ASL campane aveva attestato infatti di aver ricevuto richieste dai Comuni e dagli Istituti scolastici di supporto in vista della riapertura delle scuole prevista per il 10 gennaio, ma di essere nella impossibilità di assicurare il contact tracing e gli screening prescritti dal decreto-legge n. 1 del 2022 relativamente alla popolazione scolastica, per l’enorme attuale pressione sulla organizzazione sanitaria, impegnata nella somministrazione di tamponi ai contatti di soggetti positivi, nella gestione delle quarantene e dei soggetti positivi fino alla negativizzazione nonché nella prosecuzione della campagna vaccinale.

L’Unità di crisi aveva pertanto suggerito di sospendere le attività in presenza, quantomeno nelle scuole dell’infanzia e del ciclo primario e secondario di primo grado, trattandosi della platea di soggetti in cui la diffusione del virus starebbe raggiungendo altissimi picchi di incidenza in tutte le province della Regione, e rispetto alla quale già prima della chiusura prefestiva si erano registrati numerosissimi focolai.

Una platea di soggetti particolarmente a rischio di contagio anche perché attualmente vaccinata solo in piccola parte e con grandi rischi di amplificazione della pandemia attraverso i contatti diretti con i coetanei e con l’ambiente familiare, tenuto conto altresì della difficoltà di applicare alla fascia di età in questione le regole di prevenzione sanitaria diffuse tra i più adulti.

Non ritenendo pertanto che la situazione attuale nei territori di pertinenza avrebbe consentito di assicurare il rispetto delle disposizioni introdotte dal Governo con il decreto-legge del 7 gennaio 2022, fondato sull’autosorveglianza e sugli screening, il Presidente della Giunta regionale della Regione Campania ha disposto la sospensione delle attività in presenza dei servizi educativi per l'infanzia e dell'attività scolastica e didattica in presenza della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado.

E lo ha fatto dopo avere rilevato che l’attuale situazione del territorio regionale della Campania corrisponderebbe alla fattispecie di “circostanze di eccezionale e straordinaria necessità dovuta all’insorgenza di focolai o al rischio estremamente elevato di diffusione del virus SARS-CoV-2 o di sue varianti nella popolazione scolastica”, in presenza delle quali la disposizione di cui all’art. 1, comma 4 del decreto legge 6 agosto 2021, n. 111, convertito dalla legge 24 settembre 2021, n.133, nell’effettuare il bilanciamento tra il diritto costituzionale alla salute e quello all’istruzione, consente eccezioni allo svolgimento in presenza delle attività educative e scolastiche.

Tuttavia, come ha giustamente fatto rilevare anche il Presidente della V Sezione del TAR per la Campania – giudice monocratico competente per materia a cui la legge affida il compito di decidere su domande cautelari “urgentissime” -, è proprio la stessa disposizione richiamata dalla Regione Campania a consentire ai Presidenti delle Regioni e ai Sindaci di derogare all’attività scolastica in presenza, per specifiche aree del territorio o per singoli istituti, “esclusivamente in zona rossa”, mentre la Campania allo stato non lo è.

Il Giudice ha dunque sospeso a sua volta il provvedimento di sospensione delle attività scolastiche in presenza impugnato dal Governo centrale.

La dettagliata normativa prevista dal d.l. n. 111 del 2021, e quelle che si sono succedute poi, essendo di rango primario, e disciplinando in maniera specifica la gestione dei servizi e delle attività didattiche in costanza di pandemia, al fine di “prevenire il contagio” e di garantire, nel contempo, il loro espletamento “in presenza”, costituiscono, a dire del TAR, un fattore normativo che preclude la possibilità per le Regioni di emanare ordinanze contingibili che vengano a regolare diversamente i medesimi settori di attività.

Infatti, da un lato, vi è già una regola della concreta fattispecie, prevista proprio per il caso che dovrebbe andare a regolare l’ordinanza regionale; dall’altro, lo Stato ha effettuato la scelta politico-valoriale di preservare e garantire la continuità di esercizio dell’attività scolastica in presenza, nonostante il permanere dello stato di emergenza e di tutte le sue inevitabili conseguenze, come l’aumento dei contagi e la “sofferenza” del sistema sanitario.

In altri termini, secondo il giudice adito, e secondo le regole vigenti, la Regione non può disciplinare diversamente l’attività scolastica durante questa fase dell'emergenza pandemica, in quanto il legislatore ha già scelto il punto di equilibrio del bilanciamento tra i diversi valori coinvolti, individuando il livello di tutela dell’interesse primario alla salute, individuale e collettiva, a fronte del valore della scuola come comunità e della necessità di protezione della sfera sociale e psico-affettiva della popolazione scolastica sull’intero territorio nazionale.

Viene allo stato bocciata dal TAR, in definitiva, un’interpretazione volta a consentire l’intervento delle singole Regioni, in materia di svolgimento dell’attività scolastica in presenza, anche qualora le stesse non si trovino collocate in “zona rossa”, fermi restando i dubbi di incostituzionalità di una disciplina normativa decisamente accentratrice delle competenze in materia sanitaria, a distanza di quasi due anni, ormai, dalla proclamazione dello stato di emergenza.

Sotto altro profilo, d’altra parte, è stata giustamente ritenuta dubbia financo l’idoneità della misura disposta a raggiungere l’obiettivo prefissato, tenuto conto che la prolungata chiusura connessa alle festività natalizie non ha evitato l’aumento registrato dei contagi. Anzi.

La bocciatura dell'ordinanza regionale non sembra in ogni caso avere scoraggiato i Comuni dal "chiudere" autonomamente le scuole, con ulteriore alimentazione delle diseguaglianze territoriali già esistenti nel nostro Paese in materia di istruzione.


Lega Calcio vs Asl

Campionato di calcio di serie A. L’insorgere di numerosi mini-focolai, all’interno dei club sportivi tenuti, da calendario, a scendere in campo nei primi giorni di gennaio, ha indotto le Aziende sanitarie competenti per territorio a intervenire sui singoli calciatori o componenti dello staff sottoponendoli a quarantena o al regime di autosorveglianza, pur se negativi e asintomatici, e vietando infine alle loro squadre di giocare.

La Lega Calcio è insorta in giudizio chiedendo la sospensione delle decisioni che impedivano di fatto alle società coinvolte di presentarsi in campo.

Secondo la ricorrente, gli atti impugnati violerebbero sia l’art. 2 del d.l. 229 del 2021 che la circolare del 18.6.2020 del Ministero della Salute.

La prima norma citata ha previsto, al fine di impedire la paralisi delle attività lavorative in presenza di una curva risalente dei contagi da COVID e di una buona risposta anticorpale rispetto alla malattia dei soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale con la terza dose o che hanno ricevuto la seconda dose da meno di 120 giorni, che la misura della quarantena precauzionale non si applichi a questi ultimi, qualora abbiano avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al COVID-19.

Tali soggetti, infatti, sono attualmente sottoposti all’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 fino al decimo giorno successivo alla data dell'ultimo contatto stretto con soggetti confermati positivi al COVID-19, e di effettuare un test antigenico rapido o molecolare per la rilevazione dell'antigene Sars-Cov-2 soltanto alla eventuale comparsa dei sintomi.

La circolare del 18 giugno 2020, invece, aveva previsto che nel caso di quarantena dell’intero “Gruppo Squadra” per l’accertata positività di un componente dello stesso, il team possa essere posto “in bolla”, di modo da consentire la disputa delle partite professionistiche, previa effettuazione di test nel giorno della gara.

I provvedimenti delle ASL avrebbero violato sia la prima che la seconda disposizione, nella misura in cui hanno imposto il divieto di partecipare ad eventi sportivi dal 5 al 9 gennaio 2022 indiscriminatamente a tutto il “Gruppo Squadra”, impedendo ai soggetti sottoposti a quarantena (contatti asintomatici di positivi) di avvalersi della possibilità di “mettersi in bolla”, e ai soggetti sottoposti al regime di mera sorveglianza di giocare tout court.

I giudici aditi (sempre in via monocratica e “urgentissima”) hanno dato prevalentemente ragione (3 contro 1) alla Lega Calcio.

Nel merito, e nei limiti propri di una cognizione sommaria, è stata rilevata la doppia “violazione di legge” dedotta dalla ricorrente.

Sotto il profilo dell’urgenza, si è fatto riferimento alla “dichiarata impossibilità di recuperare tutte le giornate di gara perse entro la data di conclusione del Campionato di serie A, a fronte del quale non è ravvisabile un concreto pericolo di danno alla salute pubblica laddove venga rispettata la prescrizione della previa effettuazione di test nel giorno della gara ai sensi della suindicata circolare del Ministero della Salute del 18 giugno 2020 (1).

In senso contrario, altro TAR ha invece statuito “che nell’attuale, straordinaria, grave e tuttora irrisolta (…) emergenza sanitaria risulta necessariamente prevalente (…) la tutela dell’interesse pubblico fondamentale alla salvaguardia della sicurezza sanitaria collettiva rispetto all’interesse privato, economico e sportivo fatto valere in giudizio dalla società ricorrente (2).

Questione chiusa? Non del tutto. Il responso del Giudice amministrativo può astrattamente influire da oggi in poi sull’esito delle controversie instaurate dinanzi al Giudice sportivo per l’omologazione di risultati a tavolino inerenti a partite non disputate.

Nel campionato scorso, nel caso della famosa partita “fantasma” tra Juventus e Napoli, il cui risultato a tavolino in favore della Juventus fu poi ribaltato dal Collegio di Garanzia dello Sport del CONI (3), si stabilì il principio secondo cui l’obbligo di quarantena domiciliare con divieto di partecipare a gare stabilito dalle ASL costituisca sempre un “factum principis” che esime da responsabilità il club che non si presenta conseguentemente allo stadio, seppure tale condotta si ponga contestualmente in violazione del protocollo stabilito – conformemente alle norme della circolare del 18 giugno 2020 adottata dal Ministero della Salute – dagli stessi club professionistici.

Ma la lettura della predetta circolare viene contestata da chi, non senza una qualche ragione, ritiene che non vi siano i presupposti per disporre il trasferimento dei giocatori “in bolla” qualora siano più di uno i giocatori positivi, e che in ogni caso la disciplina in questione prevedrebbe l’esercizio di una facoltà discrezionale – come desumibile dal dato letterale della circolare stessa (4) -, e non di un’attività vincolata, con la conseguenza che il trasferimento “in bolla” dovrebbe considerarsi legittimamente negato sia in caso di gravità della situazione generale che nel caso di gravità della situazione specifica della squadra attinta dal divieto della ASL.

Si aspetta adesso l’approvazione di un nuovo protocollo dopo l’intesa Stato-Regioni di questi giorni, ma la verità è che anche il mondo del calcio è “andato nel pallone” a causa della pandemia. 


Djokovic vs Australia

Il campione serbo parte per l’Australia per giocare una delle quattro prove del Grande Slam (la massima competizione del tennis professionistico), con documentazione medica attestante l’avvenuta guarigione dal covid nel mese di dicembre 2021.

Secondo le indicazioni ricevute alla partenza dagli organi australiani competenti, tale documentazione avrebbe dovuto essere sufficiente ad ottenere il visto per motivi di lavoro, nonostante la mancata vaccinazione.

Ma il Governo australiano, spinto dall’onda di sdegno che si era levata sui media per la notizia dell’ingresso del giocatore serbo senza che lo stesso si fosse previamente vaccinato contro il covid, interviene a gamba tesa e revoca il suo visto all’atto dell’ingresso nel Paese.

Premesso che resta nebulosa l’origine dei fatti che hanno portato Djokovic ad ottenere il certificato di avvenuta guarigione dal covid (secondo il tennista il certificato sarebbe vero ma lui avrebbe violato, in parte consapevolmente e in parte inconsapevolmente, le regole di isolamento mentre era positivo); premesso che se successivamente le autorità australiane riterranno la sussistenza di una falsa dichiarazione per l'ingresso nella Terra dei canguri il giocatore serbo dovrà essere giustamente arrestato ed espulso, allo stato il Tribunale di Melbourne competente per l’accertamento della legittimità del rifiuto opposto dal Governo australiano ha dovuto decidere in base alle “carte” che aveva a disposizione (5).

E la documentazione prodotta in giudizio dai legali di Djokovic ha attestato una condotta conforme a quanto gli era stato preventivamente richiesto e consentito per ottenere il visto, sulla base di un certificato medico che è da considerarsi legalmente rilasciato e attestante il vero fino a prova contraria.

Il Giudice australiano si è dunque trovato a decidere su questo: un cittadino serbo giocatore di tennis professionista che chiedeva di potersi trattenere lecitamente nel Paese ospitante il torneo agonistico a cui è iscritto.

Non ha dovuto giudicare sulle qualità morali di chi non vuole vaccinarsi o di chi, peggio ancora, ha girato impunemente in mezzo agli altri pur essendo potenzialmente contagioso.

Non ha utilizzato un criterio politico di selezione della sua scelta, né si è dovuto soffermare sulla legittimità di un certificato medico di cui nessuno ha offerto la controprova della falsità.

Ha dovuto semplicemente stabilire se il richiedente il visto avesse o meno rispettato le regole che ne disciplinano i presupposti.

Si è limitato ad applicare il diritto, fregandosene della volontà politica di uno Stato (il suo Stato) che minacciava addirittura di “invalidare” la decisione del Tribunale, nel caso di una pronuncia a sé sfavorevole.

E’ una cosa che spesso succede ad un giudice, quando affronta un caso che è posto sotto la “pressione” politica o mediatica. La salvezza sta nell’applicare sempre e soltanto il diritto, nel far prevalere la legge sulle opinioni. 

Al di là della simpatia e dell’antipatia umana, al di là del solito cretino che ne ha approfittato per fare inutili distinguo tra Djokovic ed altri campioni del tennis, al di là anche dei fondati dubbi sulla strana origine e durata della positività del giocatore serbo – questione inconferente rispetto al caso concreto affrontato fino ad oggi a Melbourne -, resta scolpita nella mente una frase che i resoconti giornalistici ci riportano come pronunciata nel corso dell’udienza dal giudice Anthony Kelly (e che ci piace credere sia stata pronunciata per davvero).

E’ una frase che condensa in poche parole e con uno straordinario esempio applicativo quel canone di proporzionalità tanto osannato da alcuni giuristi e che non è altro che una declinazione legale del rispetto del “buon senso” anche nell’esercizio del potere.

E’ una frase che forse ci restituisce il senso di umanità e di equilibrio che qualcuno durante la pandemia ha smarrito.

Cosa avrebbe potuto fare di più, quest’uomo?



(5) Successivamente, Djokovic è stato definitivamente espulso sulla base di una decisione del Ministro dell'Immigrazione australiano, ritenuta questa volta dal giudice (Corte federale), pronunciatosi su istanza urgente dei difensori del giocatore, né illegale né manifestamente irragionevole. In particolare, la motivazione con cui il Ministro ha annullato nuovamente il visto del cittadino serbo è connessa alla sua mancata vaccinazione contro il Covid-19, in considerazione del fatto che la sua presenza sul territorio australiano è stata considerata un rischio per la salute pubblica e un possibile rafforzamento - controproducente rispetto agli obiettivi sanitari del Governo australiano - delle tesi contrarie alla vaccinazione.

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