Cass. Civile, Sezione V, 14 febbraio 2025, n. 3800
La recente riforma del sistema sanzionatorio tributario, di cui al d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, ha introdotto l’art. 21 bis nel d.lgs. n. 74 del 2000 che al comma 1 prevede: “la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi”.
Sono di immediata evidenza le condizioni previste dalla novella disposizione:
- la sentenza penale deve essere stata pronunciata “in seguito a dibattimento”; sono di conseguenza esclusi i decreti di archiviazione, le sentenze di applicazione della pena ex art 444 c.p.p. (c.d. di patteggiamento) e tutte le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato;
- la sentenza penale deve sancire che “il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso”; sono pertanto escluse le sentenze penali che recano formule assolutorie quali “il fatto non costituisce reato”, oppure “l’imputato non è punibile o non è imputabile”, oppure le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia.
Tale nuova normativa è già stata oggetto di alcune decisioni della Corte di legittimità che ne hanno valutato l’immediata operatività con riguardo a decisioni penali preesistenti alla novella (lo “ius superveniens si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 87 del 2024”), e che hanno individuato alcuni limiti alla sua applicazione con riguardo alle decisioni emesse dal giudice dell’udienza preliminare oppure alla diversità delle statuizioni espresse (vedasi sentenze 31 luglio 2024, n. 21584; 3 settembre 2024, n. 23570; 3 settembre 2024, n. 23609; 11 ottobre 2024, n. 16584; 2 dicembre 2024, n. 30814; 3 dicembre 2024, n. 30900; 16 gennaio 2025, n. 1021).
Ora, con la pronuncia qui segnalata la Corte ha invece esaminato approfonditamente la nuova disposizione - con un “inquadramento sistematico della sua effettiva valenza e incidenza nel sistema processuale e sostanziale” - e ha espresso i seguenti innovativi principi di diritto:
a) l’art. 21 bis è riferito esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non riguarda né l’imposta, né la decisione del giudice tributario sulla pretesa impositiva, perché la ratio della riforma è rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem, in vista di una razionalizzazione dei sistemi sanzionatori tributario e penale (si vedano le contestuali modifiche agli artt. 19-21 del d.lgs. n. 74 del 2000); dal momento che il legislatore ha voluto tutelare l’esigenza di trattare in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario, l’art. 21 bis, secondo una interpretazione letterale e sistematica, è suscettibile di esplicare i suoi effetti in termini diretti esclusivamente con riguardo alla sanzione irrogata, mentre con riguardo all’imposta la valutazione della sentenza penale di assoluzione resta tuttora ancorata ai principi afferenti alla circolazione della prova, esclusa ogni automatica estensione al giudizio tributario;
b) il giudicato penale di assoluzione esplica i suoi effetti in quanto la sentenza sia “pronunciata sugli stessi fatti materiali oggetto del giudizio tributario, fatti considerati nella loro materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo": ciò presuppone un accertamento di fatto, rimesso fisiologicamente al giudice del merito, sull’identità dei fatti materiali e non alla loro astratta contestazione; infatti, l’oggetto del processo penale è diverso da quello della violazione tributaria, per cui in questo secondo occorre:
- valutare la coincidenza o meno del fatto in relazione al capo d’imputazione;
- riferire la formula assolutoria alla contestazione; la Corte sul punto ha pure riportato un esempio: per il reato di omesso versamento dell’IVA l’art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede che la soglia di punibilità configuri un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”; è evidente che, in tale fattispecie, i fatti accertati ai fini penali sono diversi da quelli rilevanti in sede tributaria;
c) non è suscettibile di rilievo, con valenza di giudicato, l’assoluzione pronunciata ai sensi del comma 2 dell’art. 530 c.p.p. – perché, come nel processo civile e in quello amministrativo, occorre distinguere le assoluzioni disposte in base ai due differenti commi dell’art. 530 (prova positiva dell’innocenza dell’imputato al comma 1 e prova negativa della sua responsabilità al comma 2), in quanto l’efficacia vincolante del giudicato penale può essere configurata solo quando è stato raggiunto, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l’insussistenza del fatto; la ratio della scelta di attribuire efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione trova fondamento nel maggior approfondimento istruttorio che caratterizza il processo penale (rispetto a quelli civile, amministrativo e tributario) e dalla possibilità, propria del processo penale, di ricostruire la situazione fattuale con estrema certezza; tuttavia tale ultima condizione - la ricostruzione del fatto con grandissima certezza - si ha solamente nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 1, c.p.p. e non nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 2, c.p.p. per prova mancante, insufficiente o carente;
d) l’art. 21-bis ha anticipato alla fase di cognizione il sistema del "doppio binario" penale-tributario, ossia:
- per i profili sanzionatori, occorre valutare se i fatti sono i medesimi e, quindi, in applicazione dell’art. 21 bis, riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione (alle condizioni sopra riportate);
- per l’accertamento dell’imposta, il giudizio, i criteri di ripartizione dell’onere della prova e la valutazione da parte del giudice restano soggetti agli ordinari criteri e principi che disciplinano il giudizio civile e quello tributario: la sentenza penale di assoluzione conserva la sua rilevanza nell’alveo dei principi della circolazione della prova ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, dunque quale prova, soggetta all’autonoma valutazione del giudice, da apprezzare insieme alle altre prove acquisite nel giudizio.
In definitiva, la connotazione dell’intervento normativo in esame come centrato sui soli profili sanzionatori appare, allo stato, idonea a superare le possibili criticità di illegittimità costituzionale:
- sia per l’impatto sul regime probatorio dell’ordinamento tributario (si pensi all’irreparabile vulnus al principio di uguaglianza e di ragionevolezza causato dal fatto che per le evasioni di più limitata portata, non suscettibili di rilevanza penale, varrebbe l’ordinario e più rigoroso regime probatorio del giudizio tributario, mentre per quelle più gravi il contribuente potrebbe fruire del regime proprio del giudizio penale);
- sia per il fatto, rilevante ex art. 111 Cost., della mancata partecipazione al giudizio penale dell’Agenzia delle Entrate, soggetto leso che non si può neppure costituire parte civile per conseguire il pagamento dell’imposta.