l'angolo dell'attualità

in tema di intercettazioni : - Alberto Cisterna*, Intercettazioni: riforma contrastata che limita il potere delle indagini (Guida al diritto 13/2025, 12-16, editoriale) [*presidente di sezione del Tribunale di Roma]. Il disegno di legge n. 2084 - approvato dal Parlamento il 19 marzo scorso - recante «Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione». in tema di immigrazione : - Cons. Stato III 25.2.25 n. 1615, pres. De Nictolis, rel. Scarpato (Guida al diritto 13/2025, 88 T, sotto il titolo: “Sbarchi in porto sicuro, ministero dell’Interno coinvolto sui collocamenti nei centri di accoglienza”): 1. Lo sbarco in un luogo sicuro costituisce sicuramente la fase finale delle operazioni di salvataggio, attenendo all’assistenza dei naufraghi soccorsi e alla loro sicurezza, il che radica la competenza sull’individuazione del porto di sbarco in capo all’autorità nazionale individuata dalle fonti di attuazione delle convenzioni internazionali (art. 2 DPR 662/1994). Tuttavia, non può negarsi che l’arrivo in massa di migranti è idoneo a creare allo stesso tempo rilevanti problematiche di ordine e sicurezza pubblica, rendendo necessario il coinvolgimento del Ministero dell’Interno, competente a stabilire dove collocare i migranti (in parte potenziali richiedenti asilo ed in parte migranti cosiddetti “economici” e dunque irregolari) e come smistarli nei vari centri di accoglienza siti sul territorio nazionale. 2. I provvedimenti di assegnazione di porti di sbarco o approdo si risolvono in atti organizzativi che devono ineludibilmente rispondere a criteri di celerità ed efficienza, funzionali all'efficacia dell'attività di salvataggio e che non devono pertanto trovare ostacoli o subire restrizioni di natura formale o procedurale prive di incidenza sostanziale sui relativi contenuti, posto che esauriscono la propria funzione all'interno della gestione del singolo evento e, in quanto tale, intrinsecamente non necessitano di motivazione. - (commento di) Davide Ponte, Individuazione Pos spetta allo Stato che opera e coordina il salvataggio (Guida al diritto 13/2025, 98-102) in tema di beni culturali : - Cons. Stato VI 21.1.25 n. 412, pres. Simonetti, est. Lamberti (Guida al diritto 13/2025, 31): L’attivazione ex officio del procedimento volto alla dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante non implica un “ripensamento” da parte dell’autorità tutoria rispetto alla già ritenuta inesistenza dell’interesse storico, trattandosi della riconduzione ad una diversa ipotesi legislativa, con specifici presupposti e caratteristiche sue proprie, della medesima fattispecie concreta. in materia edilizia (opere di urbanizzazione primaria): - TAR Milano 2^, 26.2.25 n. 670, pres. Russo, est.Rossetti (Guida al diritto 13/2025, 31): Sotto il profilo edilizio, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate a ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria, e non vanno qualificate come nuove costruzioni, trattandosi di strutture che, per esigenze di irradiamento del segnale, si sviluppano normalmente in altezza, tramite elementi metallici, pali o tralicci, non presentano volumetria o cubatura e non determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni. (Nella fattispecie, era stata chiesta l’autorizzazione a installare un impianto di telefonia mobile). in tema di inquinamento (trattamento acque reflue urbane): - Corte giust. Ue 6^, 27.3.25, causa C-515/23 (Guida al diritto 13/2025, ): La Corte Ue condann nuovamente l’Italia a pagare una somma forfettaria di 10 milioni di euro, a cui aggiungere una penalità di 13,687 mln per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2014; i termini partono dal 27 marzo e si protraggono fino alla completa esecuzione. Ricorda la Corte che la direttiva 21.5.1991 n. 271 (91/271/ CEE) del Consiglio, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, mira a proteggere la salute umana e l’ambiente imponendo la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane prima dello scarico nell’ambiente. Sebbene il danno ambientale sia diminuito grazie alla riduzione significativa del numero di agglomerati, che sono passati da 41 nel 2014 a 4, un pregiudizio all’ambiente, seppur minore, tuttavia persiste, tanto più grave se si considera che i quattro agglomerati non conformi scaricano le loro acque reflue in aree sensibili. La Corte rileva il lungo periodo di mancata esecuzione trascorso dalla sentenza del 2014, sottolineando che si tratta di una durata eccessiva, pur riconoscendo che c’è bisogno di diversi anni per i lavori infrastrutturali. in tema di ambiente e diritti fondamentali (Ilva di Taranto): - Cedu 1^, 27.3.25, ric. 30336/22, Laterza ed Errico c/ Italia (Guida al diritto 13/2025, 31-32 e 104 solo massima): Il diritto alla vita riconosciuto dall’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo include sia obblighi sostanziali che procedurali. Di conseguenza, gli Stati sono tenuti a svolgere inchieste effettive per accertare le cause della morte delle persone che si ammalano per l’esposizione a sostanze tossiche, incluso l’amianto, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Gli accertamenti devono essere approfonditi e, nel caso in cui si decida l’archiviazione, i giudici nazionali sono tenuti a fornire una motivazione approfondita. (Nel ricorso la moglie e il figlio dell’operaio hanno sostenuto che l’Italia ha violato il diritto alla vita, sotto il profilo procedurale, per aver archiviato la causa che avevano intentato per omicidio colposo senza prendere in considerazione la perizia che dimostrava la correlazione tra la malattia dell’uomo e la sua esposizione a sostanze nocive sul luogo di lavoro. Inoltre, hanno sostenuto che nell’interrompere l’indagine, le autorità avevano scelto di non esaminare le prove che, a loro parere, avrebbero permesso di identificare le persone responsabili dell’attuazione delle misure di sicurezza nello stabilimento. Nella sentenza la Cedu evidenzia che, tenuto conto della giurisprudenza nazionale pertinente e del fatto che non era stata esclusa fin dall’inizio un’origine professionale della patologia di cui era morto l’operaio, le autorità avrebbero potuto ordinare ulteriori indagini per accertare l’eventuale esistenza di un nesso di causalità tra l’esposizione a sostanze nocive e il decesso, al fine di individuare i responsabili di eventuali violazioni delle misure di sicurezza. Per la Corte, i tribunali nazionali non hanno fatto sforzi sufficienti per accertare la verità e la decisione di archiviare l’indagine non è stata adeguatamente motivata, dunque l’inchiesta non è stata efficace). - (commento di) Marina Castellaneta, Cedu, Italia condannata per non aver accertato le cause della morte di un operaio dell’Ilva di Taranto (Guida al diritto 13/2025, 104-106) in tema di adozione : - Corte cost. 21.3.25 n. 33, pres. Amoroso, red. Navarretta (Guida al diritto 13/2025, 34 stralcio): In tema di adozione di minori residenti da parte di persona non coniugata è incostituzionale l'art. 29-bis, comma 1, L 4.5.1983 n. 184 («Diritto del minore ad una famiglia»), nella parte in cui, facendo rinvio all'art. 6, non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero residente all'estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all'adozione. - (commento di) Valeria Cianciolo, Un’apertura ancora limitata ai soli “casi internazionali” (Guida al diritto 13/2025, 42-48). Anche la Convenzione europea sull'adozione dei minori firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 renderebbe possibile l'adozione da parte della persona singola. in tema di famiglia (maltrattamenti): - Cass. pen. 6^, 14.11.24-13.1.25 n. 1268 (Guida al diritto 13/2025, 69 T): Le condotte volte a osteggiare il coniuge nella ricerca dell’attività lavorativa, finalizzati alla limitazione dell’autonomia economica della persona offesa integrano il delitto di maltrattamenti in famiglia laddove emerge l’imposizione di un sistema di potere asimmetrico all’interno del nucleo familiare, di cui la componente economico-patrimoniale rappresenta un profilo di particolare rilievo perché oggetto di decisone assunta unilateralmente dall’imputato, tale da incidere sull’autonomia, la dignità umana e l’integrità psico-fisica del coniuge. - (commento di) Carmelo Minnella, Serve lo sforzo del giudice per svelare il momento in cui si consuma il reato (Guida al diritto 13/2025, 74-79). Nella violenza domestica rientrano anche avarizia e taccagneria, nonché i casi di cyber violenza come l'accesso ai dati sensibili della vittima e ai suoi account privati. La sentenza identifica il tempus commissi delicti con il compimento dell’ultima condotta vessatoria. in tema di contratto preliminare : - Cass. 2^, 22.3.25 n. 7634 (Guida al diritto 13/2025, 29): L’articolo 2645-bis c.c. non fa distinzioni in ordine alle conseguenze della scadenza dei termini annuale e triennale da essa disposti: si tratta infatti di termini entrambi previsti in relazione all’efficacia della trascrizione nei confronti dei terzi estranei alle controparti del contratto preliminare. Pertanto, i contraenti del preliminare, pur sempre liberi di regolare diversamente il loro accordo, subiscono la compressione di tale libertà dovendo rispettare le norme dettate in tema di trascrizione. Quindi essi ben possono posticipare il termine originariamente fissato dal contratto preliminare per la stipula del rogito, ma l’opponibilità ai terzi dell’accordo modificativo del contratto preliminare si produce soltanto alla duplice condizione che il rogito sia trascritto entro tre anni dalla trascrizione del preliminare e che la proroga della data originariamente fissata per il rogito intervenga prima della scadenza del termine di un anno decorrente da tale data e mediante atto debitamente trascritto. In caso contrario, fermi gli effetti tra le parti dell’accordo modificativo del contratto preliminare, lo stesso non può essere validamente ritenuto opponibile ai terzi. in tema di IA (uso di ChatGBT nel processo) - Trib. Firenze, Sez. imprese, 16.3.25 (Guida al diritto 13/2025, 17 T, sotto il titolo: “Errore di ChatGPT nella memoria difensiva, non scatta la condanna per lite temeraria”): Fermo restando il disvalore relativo all’omessa verifica in relazione a riferimenti giurisprudenziali suggeriti dai sistemi di intelligenza artificiale (e poi rivelatisi falsi), non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 96 c.p.c. la condotta della parte che in giudizio riporti tali errate indicazioni, tenuto conto del fatto che le stesse avrebbero semplicemente confermato la strategia difensiva precedentemente assunta. La responsabilità prevista dall’art. 96 c.p.c. ha natura extracontrattuale e quindi richiede sempre la prova, a carico di chi chiede l’applicazione di tale misura, dell’an e del quantum debeatur e, pur essendo possibile che la liquidazione del danno venga di- sposta d’ufficio, è indispensabile che tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa. (Nell’ambito di un’articolata questione relativa alla violazione di diritti di proprietà industriale, con cui un soggetto titolare di un marchio e di un domain name lamentava la violazione dei propri diritti di privativa, in particolare relativamente a una serie di vignette, riprodotte senza autorizzazione su capi di abbigliamento, il reclamante segnalava che nella comparsa di costituzione della controparte erano presenti riferimenti giurisprudenziali del tutto inesistenti. Il difensore della società costituita ammetteva che il noto sistema Chat GPT aveva inventato di sana pianta una serie di riferimenti giurisprudenziali, non verificati in sede di redazione dell’atto giudiziario. Il procuratore del soggetto reclamato riconosceva l’omesso controllo sui dati forniti dal sistema di intelligenza artificiale e giungeva a chiedere lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva. Il Tribunale di Firenze ha rigettato la richiesta di condanna formulata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. nei confronti della parte che aveva citato «sentenze inesistenti, ovvero il cui contenuto reale non corrisponde a quello riportato»). - (commento di) Andrea Sirotti Gaudenzi, Giustizia “vittima” di allucinazioni basate sulla realtà distorta dall’AI (Guida al diritto 13/2025, 22-27) in tema di processo tributario (prove in appello): - Corte cost. 27.3.25 n. 36, pres. Amoroso, red. San Giorgio (Guida al diritto 13/2025, 30): L’art. 58, comma 3, DLg 546/1992, inserito dall’art. 1, comma 1, lett. bb), DLg 220/2023 (Disposizioni in materia di contenzioso tributario), dispone che nel giudizio di appello «[n]on è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo 14 comma 6-bis». Tale norma è incostituzionale limitatamente alle parole «delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti», in quanto il divieto assoluto di produzione delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere, sancito dal nuovo comma 3, non trova appiglio nelle caratteristiche oggettive dei suddetti documenti, non essendo rinvenibile in essi un elemento differenziale sul quale il legislatore possa costruire una disciplina diversificata. La nuova disciplina, là dove inibisce il deposito delle deleghe, delle procure e degli atti di conferimento di potere, pur quando ne sia stata incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comprime ingiustificabilmente il diritto alla prova, posto che in tali ipotesi il processo di appello costituisce la prima e unica occasione per dedurre i mezzi istruttori che non siano stati introdotti in primo grado per causa non imputabile alla parte. in materia penale (indebita percezione di erogazioni pubbliche): - Cass. SSUU 28.11.24-26.3.25 n. 11969, rif. SU 16.12.10, Pizzuto (Guida al diritto 13/2025, 80 s.m., annotata): Integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall'art. 316-ter c.p. l'indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità per effetto dell’omessa comunicazione dell'esistenza della condizione ostativa prevista dall'art. 8, comma 4-bis, L 23.7.1991 n. 223 [abrogato, a decorrere dal 1°gennaio 2017, dall'art. 2, comma 71, lett. b), L 28.6.2012 n. 92], senza che assumano rilievo, a tal fine, le modalità di ottenimento del vantaggio economico derivante dall'inadempimento dell'obbligazione contributiva. (La Corte ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato, si ha erogazione, pur in assenza di una materiale elargizione di denaro, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico posto a carico della comunità: in altri termini l’erogazione può consistere anche nell'esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, non essendo necessario il materiale ottenimento di una somma di denaro). c.s. Solo ciò che è effimero è eterno (aforisma spagnolo, da "Achille e Odisseo - La ferocia e l’inganno", di Matteo Nucci)
La Corte costituzionale si pronuncia sul processo tributario e sul concetto di capacità contributiva
Corte costituzionale, sent. n. 36 del 2025 e sent. n. 34 del 2025 A fine marzo di quest'anno, la Corte costituzionale ha adottato due pronunce di interesse per il diritto tributario. Quanto alla sentenza n. 36 del 2025 , occorre premettere che i l d.lgs. n. 220 del 2025, di modifica del d.lgs. n. 546 del 1992 , aveva introdotto due novità nel giudizio d’appello: - all’ art. 58, comma 1 , il divieto di “nuovi mezzi di prova”, divieto che letto in combinato disposto con l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 220 comportava che la nuova regola si applicasse anche giudizi instaurati in secondo grado a far data dal giorno successivo all’entrata in vigore della nuova disposizione (ossia il 4 gennaio 2024); - all’ art. 58, comma 3 , il divieto di “deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo, 14 comma 6-bis”. Ebbene, con la sentenza n. 36, depositata il 27 marzo 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato: - l’illegittimità costituzionale per irragionevolezza della disciplina di cui al comma 1 dell’art. 58, in quanto la novella, sebbene formalmente prevista solo per il futuro, nella sostanza incideva sugli effetti giuridici di situazioni processuali instauratesi quando era in vigore la normativa precedente. Trattandosi di una disposizione intertemporale, vige “ il principio generale il quale esige che il passaggio da un previgente ad un nuovo regime processuale non sia regolato da norme manifestamente irragionevoli e lesive dell’affidamento nella tutela delle posizioni legittimamente acquisite ”. Per cui la Corte ha giudicato fondate le censure ex artt. 3 e 111 Cost. con cui si prospettava, da un lato, la “ palese ed ingiustificata violazione del principio del giusto processo sotto il profilo della prevedibilità delle regole processuali dell’intero percorso di tutela e, dall’altro, il pregiudizio recato alla scelta difensiva delle parti dei processi già instaurati in primo grado al momento dell’entrata in vigore della novella processuale ”; - l’illegittimità costituzionale della seconda disposizione censurata dell’art. 58 limitatamente alle parole “delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti”. Nella sentenza si legge che “l a novella del 2023 ha optato per un modello di gravame ad istruttoria chiusa, temperato, però, dal riconoscimento della facoltà per le parti di introdurre in secondo grado prove nuove indispensabili ai fini della decisione o incolpevolmente non dedotte in primo grado. Rispetto a tale regola generale, il divieto assoluto di produzione delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere non trova appiglio nelle caratteristiche oggettive dei suddetti documenti, non essendo rinvenibile in essi un elemento differenziale sul quale il legislatore possa costruire una disciplina diversificata ”. Inoltre - ha rilevato ancora la Corte - la nuova disciplina, dove inibisce il deposito delle deleghe, delle procure e degli atti di conferimento di potere, pur quando ne sia stata incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comprime ingiustificabilmente il diritto alla prova , posto che in tali ipotesi il processo di appello costituisce la prima e unica occasione per dedurre i mezzi istruttori che non siano stati introdotti in primo grado per causa non imputabile alla parte. Per quanto concerne, invece, il divieto di produzione in appello delle notifiche dell’atto impugnato , ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità, la Corte ne ha escluso sia la irragionevolezza sia la contrarietà ai parametri costituzionali dedotti, perché il legislatore ha inteso evitare che l’appello venga promosso al solo fine di effettuare un deposito documentale che, pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio, sia stato omesso in prime cure. La sentenza n. 34, depositata il 21 marzo 2025 , si segnala invece non tanto per il tema trattato (l’assoggettamento anche delle società di gestione del risparmio - c.d. SGR - all’imposta sui redditi delle società con un’addizionale dell’8,5 per cento), ma per i principi generali dettati (meglio: ricordati), in materia di imposizione tributaria : - la Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; essa esige piuttosto un indefettibile raccordo con la capacità contributiva , in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale; - per “capacità contributiva”, ai sensi dell’ art. 53 Cost. , si intende l’idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico cui l’imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità; - in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica; - viste le peculiari caratteristiche del mercato finanziario, non è irragionevole individuare uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile, nella “ appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario, quale indice di capacità contributiva ”; - per cui l’ appartenenza al mercato finanziario , del quale le SGR fanno parte, può rappresentare, in ipotesi circoscritte temporalmente e dettate da una crisi economica generale, un non irragionevole e non arbitrario indice di capacità contributiva, anche alla luce dei principi di uguaglianza tributaria e di solidarietà.

in tema di concessioni “balneari” : - Marco Macchia, Le concessioni balneari e il pragmatismo concettuale (Giornale dir. amm. 1/2025, 5-10) in tema di Golden power (e proposte di riforma): - Sabino Cassese, Il controllo degli investimenti esteri (Giornale dir. amm. 1/2025, 11-14) sul suicidio assistito : - Paco D’Onofrio, Fine vita e ruolo del sistema istituzionale: il caso dell’Emilia Romagna (Giornale dir. amm. 1/2025, 15-30). Eutanasia attiva e passiva; testamento biologico. sull’ AI Act : Regolamento UE 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024 - Regole armonizzate sull’intelligenza artificiale e modifica dei Regolamenti 300/2008/CE; 167/2013/UE; 168/2013/UE; 2018/858/UE; 2018/1139/UE; 2019/2144/UE e delle Direttive 2014/90/UE; 2016/797/UE e 2020/1828/UE - in GUUE, Serie L, 12 luglio 2024. - Bruno Carotti, Le finzioni dell’intelligenza senza corpo, o dell’AI Act (Giornale dir. amm. 1/2025, 31-46) in tema di antiriciclaggio (nuova normativa europea): - Regolamento UE 2024/1624 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 maggio 2024, relativo alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo - GUUE, Serie L, 19 giugno 2024 - Direttiva UE 2024/1640 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 maggio 2024, relativa ai meccanismi che gli Stati membri devono istituire per prevenire l’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica la Direttiva UE 2019/1937, e modifica e abroga la Direttiva UE 2015/849 - GUUE, Serie L, 19 giugno 2024 - Regolamento UE 2024/1620 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 maggio 2024, che istituisce l’Autorità per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo e che modifica i Regolamenti UE n. 1093/2010, UE n. 1094/2010 e UE n. 1095/2010 - GUUE, Serie L, 19 giugno 2024 - Italo Borrello, Il nuovo ordinamento antiriciclaggio europeo (Giornale dir. amm. 1/2025, 47-59). L’Anti-Money Laundering package adottato nel giugno 2024 dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione ha riformato la disciplina in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. in tema di cybersicurezza : Legge 28 giugno 2024, n. 90 (GU 2.7.24 n. 153), Disposizioni in materia di rafforzamento della cybersicurezza nazionale e di reati informatici - Luigi Previti, La nuova legge sulla cybersicurezza, un passo avanti e due indietro (Giornale dir. amm. 1/2025, 60-72) in tema di responsabilità della PA (sentenza Pitruzzella): - Corte cost. 6.7.24 n. 132, pres. Barbera, red. Pitruzzella (Giornale dir. amm. 1/2025, 73 solo massima): Il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i mutamenti strutturali del contesto istituzionale, giuridico e sociale in cui essa opera, giustificano la ricerca, a regime, di nuovi punti di equilibrio nella ripartizione del rischio dell’attività tra l’amministrazione e l’agente pubblico. Il legislatore non potrà limitare l’elemento soggettivo al dolo, perché ciò si giustifica esclusivamente nel quadro di una disciplina provvisoria e in un contesto particolare, ma potrà, nell’esercizio della discrezionalità che ad esso compete, e considerando anche profili diversi da quello dell’elemento psicologico, introdurre una complessiva riforma della responsabilità amministrativa in modo da rendere più equa la ripartizione del rischio di danno, così alleviando la fatica dell’amministrare senza sminuire la funzione deterrente della responsabilità amministrativa. - (commento di) Stefano Battini, Burocrazia difensiva e responsabilità amministrativa: la sentenza “Pitruzzella” (Giornale dir. amm. 1/2025, 73-85) in tema di ricorso straordinario : - Ad. Plen., 7.5.24 n. 11, pres. Torsello, est. Simeoli (Giornale dir. amm. 1/2025, 86 s.m.): Il ricorso straordinario è un rimedio giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide soltanto alcuni profili strutturali e funzionali. La decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell’art. 21-septies, L 241/1990, in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione. - (commento di Francesca Saveria Pellegrino, Il ricorso straordinario: rimedio e non giurisdizione (Giornale dir. amm. 1/2025, 86-100) in tema di spoils system : - Cass. lav., 7.6.24 n. 15971 (Giornale dir. amm. 1/2025, 101 s.m.): Ai fini dell’applicazione della normativa sul c.d. spoil system, la natura apicale dell’incarico conferito con contratto a un dirigente va valutata tenendo conto, in linea di principio, della qualificazione formale di tale incarico contenuta nel contratto medesimo, senza che rilevi di per sé il semplice richiamo dell’art. 16, comma 1, DLg 165/2001, il quale individua le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali statali, pur se in astratto incompatibile con la menzionata qualificazione. Per superare il dato formale, dal quale, comunque, occorre partire, è necessario verificare non tanto i poteri attribuiti al detto dirigente in concreto, ma se egli sia stato posto a capo di una struttura che, da un punto di vista organizzativo, abbia le stesse caratteristiche di un ufficio apicale, in modo da distinguersi e aggiungersi, per la sua totale autonomia, a quelli già esistenti. - (commento di) Valentina Falco, Spoils system: il contratto di lavoro non definisce l’apicalità (Giornale dir. amm. 1/2025, 101-111) in tema di atti amministrativi (ritiro: legittimo affidamento e principio di buona fede): - Cons. Stato V 22.1. 24 n. 688, pres. Sestini, est. Manzione (Giornale dir. amm. 1/2025, 112 s.m.): Laddove il comportamento dell’Amministrazione, a seguito dell’adozione di un provvedimento attributivo di vantaggi economici, abbia confortato il destinatario nel senso della regolarità delle dichiarazioni fornite, il principio di buona fede impone che l’esercizio, altrimenti vincolato, dei poteri di ritiro atti a disporre la decadenza dai finanziamenti avvenga sulla base della previa ponderazione del legittimo affidamento sorto in capo al privato, atteso che lo sviluppo dell’operazione amministrativa in senso sostanzialmente rassicurante non consente di ritenere il privato assoggettabile ad libitum a ripensamenti circa la completezza ed adeguatezza dell’istruttoria effettuata. - (commento di) Enrico Guarnieri, Poteri di ritiro e comportamenti rassicuranti: gli effetti conformativi imposti dal principio di buona fede (Giornale dir. amm. 1/2025, 112-125). Il principio di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità; le conseguenze della violazione del termine per l’esercizio dei poteri di secondo grado. in tema di docenza universitaria (professori a tempo definito): - TAR Trieste 1^, 5.6.24 n. 203, pres Modica de Mohac, est. Ricci (Giornale dir. amm. 1/2025, 126 s.m.): La vocazione “generale” della regolamentazione sugli incarichi istituzionali dei dipendenti pubblici di cui al Testo unico sul pubblico impiego è limitata da un’espressa clausola di esclusione della sua applicazione a talune categorie di soggetti, ivi compresi i docenti universitari a tempo definito. - (commento di) Luca Golisano, I professori a tempo definito e gli incarichi extraistituzionali non autorizzati (Giornale dir. amm. 1/2025, 126-135) c.s. La libertà è sempre a una generazione di distanza dalla sua estinzione (Ronald Reagan)

sul codice appalti : - Giorgio Pagliari* e Oberdan Forlenza**, Codice appalti: convegni e sito internet per creare insieme “una casa comune” (Guida al diritto 12/2025, 12-14, editoriale) [*già professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università degli studi di Parma; **presidente di sezione del Consiglio di Stato] sul c.d. decreto PA : DL 14.3.2025 n. 25 [GU 14.3.25 n. 61, in vigore dal 15 marzo 2025], Disposizioni urgenti in materia di reclutamento e funzionalità delle pubbliche amministrazioni - testo del decreto (Guida al diritto 12/2025, 15-32, stralcio) sotto il titolo: Decreto Pa, per i giovani nuovi concorsi con posti riservati e stabilizzazione - commento di Oberdan Forlenza, Dirigenza di seconda fascia, arrivano le selezioni nazionali (Guida al diritto 12/2025, 33-37) sul reddito di cittadinanza (requisito della residenza): - Corte cost. 20.3.25 n. 31, pres. Amoroso, red. Antonini (Guida al diritto 12/2025, 39): L’art. 2, comma 1, lettera a), numero 2), DL 28.1.2019 n. 4 _ L 28.3.2019 n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), è incostituzionale nella parte in cui prevedeva che il beneficiario del reddito di cittadinanza dovesse essere residente in Italia «per almeno 10 anni», anziché prevedere «per almeno 5 anni». La questione prospettata in via principale dal giudice rimettente - che porterebbe, in sostanza, ad annullare completamente, ai fini del reddito di cittadinanza, il requisito di radicamento territoriale in base alla residenza, rendendo sufficiente solo quello, per i cittadini degli Stati membri, del diritto di soggiorno - non può essere accolta. Non trattandosi di una prestazione meramente assistenziale, un requisito di radicamento territoriale non determina, di per sé, una violazione del divieto di discriminazione indiretta e delle relative disposizioni del diritto dell’Unione, che pure vengono in considerazione nella questione in esame. Per quanto un tale requisito ponga di fatto il cittadino italiano in una posizione più favorevole, «non di meno la discriminazione indiretta ben può ritenersi giustificata quando sussistono ragioni che la rendono necessaria e proporzionata», come affermato dalla stessa Corte di giustizia in più occasioni. sulla interpretazione della legge : - Cass. 3^, 6.2.25 n. 2959 (Guida al diritto 12/2025, 44 T): In tema di interpretazione congiunta di atti normativi e di atti statutari, il giudice deve procedere dapprima a una analisi del singolo atto, secondo un procedimento intellettivo di tipo analitico-atomistico volto alla corretta individuazione del suo intrinseco significato, e poi a una interpretazione di tipo olistico, e cioè fondata sul complessivo esame, connesso e congiunto sul piano logico e giuridico, di tutti gli atti sottoposti al suo giudizio, onde pervenire a una soluzione coerente con il portato finale di tale, complesso procedimento interpretativo. - (commento di) Giuseppe Finocchiaro, La Cassazione chiarisce l’iter logico per interpretare i documenti statutari (Guida al diritto 12/2025, 48-52) in tema di incompetenza : - Cons. Stato IV 12.2.25 n. 1171, pres. Lopilato, est. Furno (Guida al diritto 12/2025, 42): Un organo cade nella disfunzione chiamata incompetenza quando compie un atto che sarebbe legalmente valido solo se compiuto da un altro organo dello stesso o di altro ente pubblico. Deriva che un atto è viziato da incompetenza quando è compiuto da un organo diverso da quello a cui per legge è riservato il potere di compiere validamente atti di quel tipo; mentre esorbita dall’area della incompetenza l’esercizio di un potere che la legge non attribuisce ad alcuna autorità amministrativa. In linea con tali considerazioni, se il giudice negasse l’annullamento, perché convinto che l’autorità competente non avrebbe potuto agire diversamente da come ha agito l’organo ritenuto incompetente, finirebbe col sostituirsi all’autorità competente, esprimendo una valutazione che solo a questa spetta. in tema di responsabilità della PA (colpa): - Cons. Stato III 27.1.25 n. 594, pres. De Nictolis, est. Cerroni (Guida al diritto 12/2025, 42): In materia di responsabilità civile della PA l’azione di risarcimento in forma specifica e per equivalente sono due rimedi in rapporto di concorso alternativo, diretti all’attuazione dell’unico diritto alla reintegrazione della sfera giuridica lesa che trova la sua fonte nella medesima fattispecie di illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (art. 2043 c.c.); in particolare, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria è necessario che ricorrano tutti gli elementi costitutivi della relativa fattispecie. Occorre: › che si sia verificato un danno, non ipotetico e futuro, ma attuale e concreto; › che l’evento dannoso, lesivo di una situazione giuridica meritevole di tutela, sia addebitabile all’Amministrazione, ovvero, che sia a quest’ultima imputabile quale conseguenza immediata e diretta del proprio operato, tradottosi in atti o comportamenti comunque illegittimi (nesso di causalità); › che sussista l’elemento soggettivo, in particolare della colpa che, una volta accertata l’illegittimità del danno, può essere esclusa dalla PA unicamente comprovando di essere incorsa in un errore scusabile. Deve, quindi, riconoscersi che l’esistenza di un danno, e la riferibilità dello stesso sul piano eziologico all’agire illegittimo della PA, non siano elementi sufficienti a configurare la responsabilità aquiliana essendo, altresì, necessario che venga accertata la sussistenza dell’elemento soggettivo costituendo l’illegittimità dell’atto solo un indice della colpa della PA. in tema di salute (trasfusioni da non vaccinati): - Cass. 1^, 3.2.25 n. 2549 (Guida al diritto 12/2025, 53 T, sotto il titolo: “Richiesta di trasfusioni da donatori non vaccinati, l’interesse del minore supera la scelta religiosa”): La richiesta di trasfusioni da donatori non vaccinati è una scelta di coscienza religiosa basata su un'interpretazione dottrinale individuale. Tuttavia, siffatta scelta non può essere imposta a un minore senza previa valutazione attenta dei suoi diritti e interessi, che sono autonomi rispetto alla famiglia: questi possono coincidere con quelli familiari o divergere, tuttavia il giudice deve garantirne il rispetto alla luce del preminente interesse del minore. Nel contrasto tra l'opinione dei genitori e quella dei medici in conformità all'art. 12 della Convenzione di New York, occorre individuare il miglior interesse del minore che nel caso in esame era la tutela della sua salute. Il paziente non può esigere che un trattamento sanitario venga effettuato in modo contrario alla deontologia professionale e ai protocolli sanitari esistenti, poiché questo interferisce con la sfera di autodeterminazione del medico. Il medico ha il dovere di seguire le migliori pratiche cliniche e i protocolli stabiliti per garantire la sicurezza e l'efficacia delle cure, anche contro la volontà condizionata del paziente o dei rappresentanti legali. - (commento di) Valeria Cianciolo, Il trattamento sanitario va effettuato secondo la deontologia e i protocolli (Guida al diritto 12/2025, 61-68) in tema di usucapione (atti interruttivi): - Cass. 3^, 6.3.25 n. 5920 (Guida al diritto 12/2025, 69 s.m., annotata da Mario Piselli): La domanda giudiziale di divisione è idonea ad interrompere il termine per l'usucapione nei confronti del comunista che abbia il possesso esclusivo di uno dei beni comuni, poiché l'azione ha quale finalità ultima la trasformazione di un diritto ad una quota ideale su uno o più beni comuni in un diritto di proprietà esclusiva su singoli beni ed è, quindi, potenzialmente estesa a ottenere la proprietà esclusiva (e quindi il conseguente rilascio) di uno dei beni oggetto di comunione, compresi quelli che eventualmente si trovino nel possesso esclusivo di uno o più comunisti. in tema di trasporto aereo : - Corte giust. Ue 7^, 6.3.25, causa C-20/24 (Guida al diritto 12/2025, 104 s.m.): L’art. 2, lett. g), e l’art. 3, par.2, lett. a), del regolamento n. 261/2004 vanno interpretati nel senso che la carta d’imbarco può costituire un titolo che attesta che la prenotazione è stata accettata e registrata dal vettore aereo o dall’operatore turistico, cosicché si può ritenere che il passeggero in possesso di tale carta possieda una “prenotazione confermata” per il volo di cui trattasi, in una situazione in cui non venga dimostrata alcuna particolare circostanza anomala. L’art. 3, par. 3, del regolamento va interpretato nel senso che non si può ritenere che il passeggero viaggi gratuitamente o a una tariffa ridotta non accessibile, direttamente o indirettamente, al pubblico, ai sensi di tale disposizione, quando, da una parte, l’operatore turistico paga il prezzo del volo al vettore aereo operativo conformemente alle condizioni di mercato e, dall’altra, il prezzo del viaggio “tutto compreso” è pagato a tale operatore non da detto passeggero, ma da un terzo. Spetta a tale vettore aereo dimostrare, secondo le modalità previste dal diritto nazionale, che detto passeggero ha viaggiato gratuitamente o ad una tariffa ridotta. - (commento di) Marina Castellaneta, Ristoro per ritardo voli, spetta al vettore dimostrare che il passeggero ha viaggiato gratis (Guida al diritto 12/2025, 104-106) in tema di revocazione (per contrarietà alla Cedu): - Cass. 3^, 17.3.25 n. 7128 (Guida al diritto 12/2025, 39): La revocazione per contrarietà alla Cedu di una sentenza passata in giudicato va esclusa quanto la domanda “abbia avuto ad oggetto già essa stessa una tutela meramente risarcitoria o, comunque, per equivalente”, e ciò anche se il diritto oggetto della sentenza “sia un diritto fondamentale della persona, ma non di stato”. L’oggetto della tutela revocatoria copre esclusivamente le violazioni che abbiano pregiudicato il “diritto al riconoscimento di un determinato status personale, cioè si siano risolte nella negazione totale o parziale di esso, o anche nel tardivo riconoscimento dello status alla persona, con una compromissione insuscettibile di riparazione solo per equivalente, ovvero ancora i casi in cui vi sia stata erronea attribuzione di uno status personale oggettivamente pregiudizievole secondo l’ordinamento o tardivo disconoscimento di esso e la compromissione derivatane per la persona non sia rimediabile con la sola riparazione per equivalente”. Non è possibile, invece, interpretare l’art. 391-quater c.p.c. nel senso per cui la nuova ipotesi di revocazione possa invocarsi in tutti i casi in cui la violazione commessa dallo Stato mediante la sentenza passata in giudicato, il cui contenuto sia stato dichiarato contrario alla Convenzione, abbia leso, genericamente, diritti personali o, addirittura, tutti i casi in cui la lesione abbia, in generale, avuto ad oggetto diritti fondamentali non patrimoniali, quand’anche gli stessi presupponessero o derivassero da un determinato status personale. (Lettura restrittiva dell’articolo 391-quater c.p.c. introdotto dalla riforma Cartabia: la revocazione per conformarsi alle decisioni della Cedua opera solo per le questioni di status) in tema di mediazione civile : - TAR Lazio 1^, 17.3.25 n. 5489, pres. Politi, est. Tropiano (Guida al diritto 12/2025, 94 T): Le previsioni normative contestate sono coerenti con lo spirito della riforma della mediazione ed immuni da vizi di incostituzionalità, siccome improntate a un generale rafforzamento dell'istituto e, correlativamente, della professionalità dei mediatori. In particolare, va respinta la censura relativa alla violazione della direttiva 2008/52/Ce e dell'art. 47 della Carta di Nizza, posto che non risulta in alcun modo impedito alle parti processuali il diritto di accesso al sistema giudiziario. Deve essere disattesa anche la censura di illegittimità costituzionale dell'art. 5 DLg 28/2010 (come sostituito dall'art. 7, comma 1, lettera d, Dlgs 149/2022), e di risulta di illegittimità derivata del decreto ministeriale gravato per quanto attiene alla lamentata gravosità dei costi di mediazione, con riveniente pregiudizio del principio di uguaglianza (tra cittadini con maggiori e minori capacità economiche) e del diritto di difesa. Egualmente va respinta l'ulteriore censura con la quale si lamenta l'illegittimità costituzionale dell'art. 15-bis Dlgs 28/2010, come inserito dall'art. 7, comma 1, lettera t), Dlgs 149/2022, nella parte in cui subordina il gratuito patrocinio alla condizione che sia raggiunto l'accordo di conciliazione. Pertanto, nessun dubbio di costituzionalità può essere rinvenuto nelle previsioni contestate ed alcuna illegittimità ricorre nel decreto ministeriale gravato. Né vi è luogo per accedere alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, posto che la nuova conformazione dell'istituto risponde alle esigenze professate dalla normativa unionale, nella convinzione che esso possa fornire una soluzione conveniente e rapida per comporre le controversie in materia civile e commerciale. - (commento di) Marco Marinaro, Una disciplina dei costi in linea con il rafforzamento dell’istituto (Guida al diritto 12/2025, 98-102) c.s. Il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che fa di se stesso. (Giacomo Leopardi)

Facendo seguito al n. 32 di Spigolature, nel quale si è introdotto il discorso sul pensiero del prof. Giorgio Agamben, si segnala ora l'interessantissimo scritto di Giulio Pignatti (Università degli studi di Padova) intitolato “ Agamben, homo sacer e l’emersione del «vincolo segreto» biopolitico nell’età contemporanea ”. Il saggio è pubblicato su “In Circolo rivista di filosofia e culture” n. 7 – Giugno 2019 ed è rinvenibile online all'indirizzo https://www.incircolorivistafilosofica.it/wp-content/uploads/2019/07/Pignatti-Agamben-Homo-sacer-n.7.pdf . L'Autore così introduce l'argomento: Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, pubblicato nel 1995, è probabilmente l’opera più importante del filosofo italiano Giorgio Agamben (Roma, 1942). Essa può essere anche individuata come uno spartiacque all’interno della variegata e prolifica pubblicazione del pensatore; questo testo, infatti, inaugura un mosaico di altre otto opere – uscite nel corso dei vent’anni successivi e il cui titolo complessivo è, appunto, Homo sacer – che si pone come obiettivo un’opera genealogica di scavo nelle principali strutture politiche, giuridiche ed economiche della cultura occidentale. Le due opere che prenderemo in esame in questo lavoro, Homo sacer e Stato di eccezione [1], sono, in particolar modo, i tasselli fondamentali di quel «ripensamento di tutte le categorie della nostra tradizione politica» [2] che si propone Agamben. Dal momento che tale ripensamento avviene «alla luce del rapporto fra potere sovrano e nuda vita» [3], l’operazione di scavo assume un carattere eminentemente biopolitico. Nell’Introduzione a Homo sacer, infatti, Agamben dichiara esplicitamente che la presente ricerca concerne precisamente questo nascosto punto d’incrocio fra il modello giuridico-istituzionale e il modello biopolitico del potere. Ciò che essa ha dovuto registrare fra i suoi probabili risultati è precisamente che le due analisi non possono essere separate e che l’implicazione della nuda vita nella sfera politica costituisce il nucleo originario – anche se occulto – del potere sovrano. Si può dire, anzi, che la produzione di un corpo biopolitico sia la prestazione originale del potere sovrano. [4 ] Quanto alla nozione di biodiritto sviluppata da Michel Foucault , Giulio Pignatti, in via preliminare, tratteggia i caratteri della biopolitica: ... Tale concetto si impone nel dibattito filosofico e culturale a partire dall’interpretazione che ne dà Michel Foucault (1926-1984) dalla metà degli anni Settanta. Il termine compare per la prima volta nel quinto e ultimo capitolo dell’opera La volontà di sapere (1976) [5]. Per Foucault si dà una nascita della biopolitica (questo è anche il titolo del corso tenuto al Collège de France nel semestre 1978-1979): «Per millenni l’uomo è rimasto quel che era per Aristotele: un animale vivente ed inoltre capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente» [6]. Nell’epoca moderna la politica diventa biopolitica in quanto il controllo e la cura che essa dispiega sono rivolti primariamente all’esistenza biologica degli individui – sia presi singolarmente come corpi (entra qui in gioco il dispositivo della disciplina), sia complessivamente come specie, cioè come popolazione (attraverso il dispositivo della bio-politica in senso stretto). Il potere, quindi, non si esercita più negativamente come potere di morte (che al limite lascia vivere), bensì si afferma positivamente sulla vita, cominciando «a gestirla, a potenziarla, a moltiplicarla, ad esercitare su di essa controlli precisi e regolazioni d’insieme» [7]. La realtà biologica non è più solo uno sfondo oscuro dominato dalla fatalità, ma funge da referente diretto dei giochi e dei calcoli politici. È solo nella prospettiva della nascita di questo bio-potere che per Foucault si possono spiegare fenomeni caratteristici dell’âge classique (che, nella storiografia francese, corrisponde ai tre secoli compresi tra il 1453 e il 1789) [8] come [lo] sviluppo rapido […] delle varie discipline – scuole, collegi, caserme, ateliers; [l’] emergenza anche, nel campo delle pratiche politiche e delle osservazioni economiche, dei problemi di natalità, longevità, di salute pubblica, di habitat, di migrazione; [l’] esplosione dunque di tecniche diverse e numerose per ottenere la subordinazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni. [9] Infine per Foucault lo sviluppo del capitalismo stesso, in quanto «inserimento controllato dei corpi nell’apparato di produzione» [10], è incomprensibile se si prescinde dalla considerazione del paradigma del bio-potere. Così tratteggiata la nozione di biopotere come sviluppata da Foucault, Pignatti evidenzia il carattere originale e differenziato che il concetto assume nel pensiero di Agamben: Il concetto foucaultiano di biopolitica, la cui idea fondamentale è che la presa del potere avvenga al livello della vita biologica, è lo stesso che caratterizza anche la concezione agambeniana della sovranità [11]. Vi è però una differenza fondamentale tra i due pensatori, che è necessario esaminare prima di approfondire l’argomentazione di Agamben – la quale comunque porta l’analisi del paradigma biopolitico in una direzione in parte diversa e in ogni caso più “radicale” rispetto al filosofo francese. Abbiamo detto che per Foucault la biopolitica nasce: vi è cioè un momento preciso, da collocarsi intorno al XVIII secolo, in cui, in alcuni paesi europei, avviene «l’ingresso della vita nella storia – l’ingresso dei fenomeni propri alla vita della specie umana nell’ordine del sapere e del potere –, nel campo delle tecniche politiche» [12]; questo momento è chiamato dal filosofo francese «soglia di modernità biologica». L’operazione che invece compie Agamben in tal senso è quella di «smontare la periodizzazione proposta da Foucault» [13]; ciò è evidente fin dalle prime parole di Homo sacer, che rimandano all’ambito della cultura greca antica, e quindi alle radici della tradizione occidentale. È Agamben stesso a sottolineare questa differenza rispetto all’approccio di Foucault e a spiegarne il senso: La biopolitica è, in questo senso, antica almeno quanto l’eccezione sovrana. Mettendo la vita biologica al centro dei suoi calcoli, lo Stato moderno non fa, allora, che riportare alla luce il vincolo segreto che unisce il potere alla nuda vita, riannodando così (secondo una tenace corrispondenza fra moderno e arcaico che è dato riscontrare negli ambiti più diversi) col più immemoriale degli arcana imperii. [14] Non si tratta dunque semplicemente di una questione formale o secondaria: quella che Agamben si propone di analizzare è una sorta di struttura originaria della sovranità, che, in quanto tale, come scrive Sandro Chignola, «non ha davvero storia», ma «tuttalpiù figure, angoli di riverbero, soglie di scivolamento nelle quali si evidenzino gradienti minimali di diversificazione…» [15]. Come vedremo questo è un punto quantomeno controverso, che permette di proporre una parziale riarticolazione della prospettiva agambeniana. Nel rinviare necessariamente alla lettura integrale del saggio, si riporta di seguito il secondo paragrafo intitolato: “Sovranità e stato di eccezione”. In che cosa consiste questa struttura originaria della sovranità per Agamben? La sovranità si dà come paradosso; il paradosso consiste nel fatto che il sovrano, a un tempo fuori e dentro all’ordinamento politico-giuridico – sicché egli è definibile secondo l’ossimoro «estasi-appartenenza» [16] –, ne costituisce la soglia-limite e quindi il principio. «Il sovrano, avendo il potere legale di sospendere la validità della legge, si pone legalmente fuori legge» [17]. Per Agamben, che qui segue pedissequamente e dichiaratamente lo Schmitt della Teologia politica (1922), la specificità della sovranità non consiste nel monopolio della sanzione o del potere legislativo, quanto in quello della decisione. Tale Entscheidung ha come oggetto la possibilità della validità stessa della legge, la quale può essere applicata solo in un contesto normale – «non esiste nessuna norma che sia applicabile al caos» [18]. Il sovrano è colui che decide sulla sussistenza di tale normalità (che assume quindi la forma di “normabilità”). Questo «potere legale di sospendere la validità della legge» si configura come «eccezione sovrana», termine che rimanda semanticamente a quello fondamentale di «stato di eccezione». Quest’ultimo è quello stato in cui viene sospesa la vigenza della legge, su decisione del sovrano e a causa della necessità dettata generalmente dall’emergenza (ma vedremo che per Agamben su questo aspetto la questione si fa più complessa); pertanto la decisione sulla normabilità è, in ultima istanza, una decisione sullo stato di eccezione [19]. Lo stato di eccezione non è una condizione di totale anarchia, bensì uno stato in cui il potere sovrano opera una krisis tra applicazione e vigenza della norma: La prestazione specifica dello stato di eccezione non è tanto la confusione dei poteri, su cui si è fin troppo insistito, quanto l’isolamento della «forza-di-legge» dalla legge. Esso definisce uno «stato di legge» in cui, da una parte, la norma vige, ma non si applica (non ha «forza») e, dall’altro, atti che non hanno valore di legge ne acquistano la «forza». […] Lo stato di eccezione è uno spazio anomico, in cui la posta in gioco è una forza-di-legge senza legge (che si dovrebbe pertanto scrivere: forza-di-legge). [20] Effetti e scopi della proclamazione dello stato di eccezione sono due, strettamente collegati. Innanzitutto l’eccezione è «la struttura originaria in cui il diritto si riferisce alla vita e la include in sé attraverso la propria sospensione» [21]. Lo stato di eccezione è quella condizione temporanea – ma vedremo che su questo punto Agamben avrà da eccepire – in cui la legge, attraverso la propria sospensione, si riferisce in maniera immediata alla vita (come pura vis obligandi, forza-di-legge senza legge), in modo da creare le condizioni necessarie alla vigenza stessa del diritto (cioè la normalità, contrapposta all’emergenza). È, questo, il punto fondamentale che sarà necessario approfondire già a partire dal prossimo paragrafo. In secondo luogo, in quanto lo stato di eccezione è condizione di possibilità della vigenza della legge (pur costituendo una sospensione temporanea di tale vigenza), esso è la figura decisiva per la spazializzazione dell’ordinamento giuridico: costituisce la «soglia a partire dalla quale interno ed esterno entrano in quelle complesse relazioni topologiche che rendono possibile la validità dell’ordinamento» [22]. L’idea di fondo di tutta la teoria agambeniana – che motiva la centralità dell’Ausnahmezustand – è che questo spazio vuoto di diritto [lo stato di eccezione] sembra essere, per qualche ragione, così essenziale all’ordine giuridico, che questo deve cercare in tutti i modi di assicurarsi una relazione con esso, quasi che, per fondarsi, dovesse mantenersi necessariamente in rapporto con un’anomia. [23] La paradossalità dello stato di eccezione è che esso costituisce il luogo in cui l’illecito (cioè ciò che è esterno al diritto) assume veste legale. La figura dell’exceptio consiste infatti, per Agamben, in un’inclusione esclusiva: nello stato di eccezione l’inclusione nell’ordinamento implica allo stesso tempo l’esclusione derivata dalla sospensione dello stesso; e «il particolare “vigore” della legge consiste [proprio] in questa capacità di mantenersi in relazione con un’esteriorità» [24]. Proprio perché il vigore dell’ordinamento giuridico si gioca sulla capacità di includere in sé ciò che gli è esterno è così importante per Agamben la disputa – la “gigantomachia attorno a un vuoto” [25] –, in parte diretta e in parte implicita, tra Benjamin e Schmitt sul tema della sovranità, e in particolare il tentativo schmittiano di includere ad ogni costo la violenza pura (o “divina”) benjaminiana all’interno del diritto – proprio attraverso la figura dello stato di eccezione. Infatti, scrive Agamben, ciò che il diritto non può in nessun caso tollerare, ciò che esso sente come una minaccia con cui è impossibile venire a patti è l’esistenza di una violenza al di fuori del diritto; e questo non perché i fini di una violenza siano incompatibili col diritto, ma «per il semplice fatto della sua esistenza al di fuori del diritto». [26] Nel prossimo numero di Spigolature si tratterà delle interessanti (e, a parere del redattore delle spigolature, condivisibili) considerazioni svolte da Giulio Pignatti, nella parte finale del suo scritto, sul ruolo giocato dal nichilismo contemporaneo sul biodiritto. ^^ (note) 1 Giorgio Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 2005; Giorgio Agamben, Stato di eccezione. Homo sacer: II, 1, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 2 Giorgio AGAMBEN, Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 10. Quest’opera raccoglie diversi testi che costituiscono i nuclei o gli spunti per le varie fasi di quel «cantiere aperto» che è Homo sacer. 3 Ibidem. 4 AGAMBEN, Homo sacer, p. 9. 5 Michel FOUCAULT, Histoire de la sexualité I. La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976, tr. it. Pasquale Pasquino e Giovanna Procacci, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 119-142 (capitolo Diritto di morte e potere sulla vita). Altri luoghi in cui Foucault tratta del tema della biopolitica e del biopotere (tema che comunque, in senso stretto, impegna il pensatore francese per un arco relativamente breve della sua attività intellettuale), che però qui non prenderemo in esame, sono: Sorvegliare e punire (1975) e i corsi al Collège de France Bisogna difendere la società (1975-1976), Sicurezza, territorio, popolazione (1977-1978) e Nascita della biopolitica (1978-1979). 6 Ivi, p. 127. 7 Ivi, p. 121. 8 Riccardo CAMPA, Biopolitica e biopotere. Da Foucault all’Italian Theory e oltre, in «Orbis Idearum», Vol. 2, 2015, Issue 1, pp. 125-170; qui p. 129. 9 FOUCAULT, La volontà di sapere, pp. 123-124. 10 Ivi, p. 124. 11 Cfr. AGAMBEN, Mezzi senza fine, p. 16: «La tesi di Foucault, secondo cui “la posta in gioco è oggi la vita” – e la politica è, perciò, diventata biopolitica –, è, in questo senso, sostanzialmente esatta». 12 FOUCAULT, La volontà di sapere, p. 125. 13 CAMPA, Biopolitica e biopotere, p. 134. 14 AGAMBEN, Homo sacer, p. 9; cfr. anche infra: «La tesi foucaultiana dovrà, allora, essere corretta o, quanto meno, integrata, nel senso che ciò che caratterizza la politica moderna non è tanto l’inclusione della zoé nella polis, in sé antichissima, né semplicemente il fatto che la vita come tale divenga un oggetto eminente dei calcoli e delle previsioni del potere statale […]». Ivi, p. 12, corsivo nostro. 15 Sandro CHIGNOLA, Regola, Legge, forma-di-vita. Attorno ad Agamben: un seminario, in ID., Da dentro. Biopolitica, bioeconomia, Italian Theory, DeriveApprodi, Roma 2018, pp. 154-172; qui p. 159. 16 AGAMBEN, Stato di eccezione, p. 48. 17 AGAMBEN, Homo sacer, p. 19, corsivo nostro. 18 Carl SCHMITT, Politische Theologie, Vier Kapitel zur Lehre vor der Souveränität, München-Leipzig 1922, p. 39, cit. in AGAMBEN, Homo sacer, p. 20. 19 Ivi, p. 31: «La sovranità si presenta nella forma di una decisione sull’eccezione». 20 AGAMBEN, Stato di eccezione, p. 52. 21 AGAMBEN, Homo sacer, p. 34. 22 Ivi, p. 23. 23 AGAMBEN, Stato di eccezione, p. 66. 24 AGAMBEN Homo sacer, p. 22. 25 AGAMBEN, Stato di eccezione, pp. 68-83. 26 Ivi, pp. 69-70.

[NDR: la dott.ssa Papaccio, che ha già collaborato con questo sito quando svolgeva l'attività di tirocinio presso il Tribunale amministrativo regionale, è in procinto di assumere adesso le funzioni di MOT presso la Corte di appello di Napoli, dopo avere superato brillantemente le prove (e per ben due volte gli scritti) del concorso in magistratura ordinaria] PREMESSA La riforma Cartabia ha introdotto nel corpo del codice di procedura civile un istituto inedito nel nostro ordinamento, ossia il rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di cassazione, per la risoluzione di una questione di diritto nuova e controversa, prima della decisione del giudice del merito . Fino alla recente modifica, invero, la Suprema Corte quale giudice di legittimità interveniva sulle questioni di diritto, al fine di enunciare il principio da applicare da parte del giudice del merito al caso concreto, solo in via successiva in sede di impugnazione, avverso una pronuncia in grado unico o di appello, censurata dal ricorrente sulla base dei motivi tassativi di cui all’ art 360 c.p.c. . In disparte la ipotesi del regolamento preventivo di giurisdizione, in tutti gli altri casi, la Corte di cassazione si è sempre pronunciata su un provvedimento già adottato da parte del giudice del merito, in funzione di giudizio di pura legittimità ed in veste nomofilattica, come previsto dalla legge sull’ordinamento giudiziario. L’ art 65 del Regio decreto numero 12 del 1941 , in proposito, statuisce che la Corte di cassazione “ assicura l’esatta osservanza e la uniforme interpretazione ed applicazione della legge, garantisce la unità del diritto oggettivo, vigila sul rispetto dei limiti delle giurisdizioni e regola i conflitti di competenza ”, così indentificando i tratti caratteristici del giudice di legittimità, garante della corretta applicazione del diritto oggettivo e della uniformità della sua applicazione nell’ordinamento da parte dei giudici di merito. In tale ottica dispone anche l’ art 111 Costituzione , che proietta il singolo giudizio di legittimità verso una funzione più ampia della risoluzione del caso concreto in punto di diritto, e più precisamente nella dimensione di un processo avente come scopo l’unità del sistema giuridico e la osservanza della legge. In analoga ottica nomofilattica si inscrive anche la norma di recente introduzione di cui all’ art 363 bis c.p.c. , significativamente collocata subito dopo l’ articolo 363 c.p.c. che disciplina le ipotesi in cui, su richiesta del Procuratore generale, o di ufficio, viene enunciato il principio di diritto nell’interesse della legge. L’inedito istituto del rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di cassazione accentua la funzione di cui all’art 65 della legge sull’ordinamento giudiziario, e precisamente ciò si realizza mediante la sottoposizione della questione giuridica controversa alla Suprema Corte, prima che il giudice del merito si pronunci, al fine di fornire allo stesso il principio di diritto da applicare, vincolante nel caso in esame. Lo scopo dell’istituto è quello di fornire al giudice del merito, in via anticipata rispetto alla decisione, la corretta interpretazione della legge da applicare al caso concreto, su una questione di diritto nuova e controversa. In tal modo si consente di realizzare, da un lato, un risparmio di energie processuali , e dall’altro di potenziare la funzione nomofilattica, fornendo ex ante al giudice a quo una pronuncia della Corte di cassazione, che dirima una controversia, in punto di diritto, suscettibile di dar luogo a orientamenti differenti e non uniformi davanti a più giudici di merito. Infatti i presupposti e requisiti, per la attivazione della richiesta alla Suprema Corte, sono: 1-che la questione, “esclusivamente di diritto ”, sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio, ponendosi come passaggio logico indispensabile da compiere per addivenire alla decisione. 2-che la stessa non sia ancora stata risolta dalla Corte di cassazione, ovvero che sia inedita perché non si è ancora posta all’attenzione del giudice di legittimità. 3-che la questione presenti gravi difficoltà interpretative , richiedendo un impegno ermeneutico apprezzabile , per individuare la soluzione adeguata al caso concreto tra una pluralità di potenziali interpretazioni. 4-la serialità , ossia la circostanza che la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi, non predeterminati a priori e appunto molteplici. Ciò significa che, se non risolta una tantum in sede di rinvio pregiudiziale, la medesima questione potrebbe riproporsi davanti a giudici diversi, producendo una proliferazione di differenti interpretazioni e - come il delta di un fiume - moltiplicando le decisioni a scapito della armonia e uniformità tra i decisioni. La norma appena descritta, che ha già trovato applicazioni nel processo civile, sebbene in un numero limitato di casi, ha consentito alla Suprema Corte di risolvere questioni interpretative, prevenendo contrasti giurisprudenziali in materie che presentano oggettive difficoltà ermeneutiche, ovvero riguardanti questioni inedite. LA NORMA E LE SUE APPLICAZIONI “EXTRA VAGANTI” La disposizione sembrava posta per rimanere circoscritta al processo civile , considerata la sua funzione endoprocessuale e dunque focalizzata sulla risoluzione di questioni suscettibili di concretizzarsi, se non preventivamente risolte, in una impugnativa afferente al vizio ex art 360 numero 3), ovvero cd. error in iudicando . Tuttavia si è già riscontrata la prima richiesta di “esportazione” dell’istituto al processo tributario , con l’ordinanza di rinvio della Corte di Giustizia tributaria di Agrigento, che ha dato origine alle recenti Sezioni Unite del dicembre 2023. Con tale rinvio è stata sottoposta alla Suprema Corte una questione di giurisdizione, cui era sotteso il controverso inquadramento della fattispecie sostanziale oggetto di lite: in una controversia inerente al diniego di contributo a fondo perduto ex d.l. 34 del 2020, ha assunto carattere pregiudiziale ai fini della determinazione della giurisdizione, l’esatto inquadramento della natura giuridica della posizione soggettiva sottesa. Le Sezioni Unite – con sentenza 13 dicembre 2023 n. 34851 -, in tale occasione, hanno ritenuto utilizzabile il nuovo strumento ermeneutico anche da parte del giudice tributario, rilevando che “ è proprio la funzione nomofilattico-deflattiva assegnata al rinvio pregiudiziale ad avvalorarne … l’utilità .. in una materia come quella tributaria, nell’ambito della quale si rivela particolarmente pressante l’esigenza di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto, anche al fine di contenere la proliferazione di un contenzioso notoriamente assai consistente sotto il profilo quantitativo e spesso connotato da caratteri di serialità, nonché di consentire una più rapida definizione delle controversie pendenti. ” La stessa relazione di accompagnamento alla riforma, osservano le Sezioni Unite, menziona la esigenza, particolarmente avvertita in materia tributaria, di « rendere più tempestivo l’intervento nomofilattico, con auspicabili benefici in termini di uniforme interpretazione della legge, quale strumento di diretta attuazione dell’art. 3 della Costituzione, prevedibilità delle decisioni e deflazione del contenzioso ». Aggiunge la Suprema Corte che « una interpretazione autorevole e sistematica della Corte resa con tempestività, in poco tempo ed in concomitanza alle prime pronunzie della giurisprudenza di merito, può svolgere un ruolo deflattivo significativo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali ». Una volta ammessa - con la pronuncia del 2023 - la esportazione dell’istituto al di fuori dei confini del processo civile, il TAR Liguria, con la ordinanza del 28 febbraio 2025, n. 230 ha attivato per la prima volta il rinvio nel giudizio amministrativo . Anche in questa fattispecie il rinvio è stato operato al fine di risolvere una questione di giurisdizione. Il ricorso è originato dall’impugnativa degli atti di una procedura concorsuale per il conferimento dell’incarico quinquennale di Direzione della Struttura Complessa “Chirurgia Generale ad Alta Complessità” - disciplina di Chirurgia Generale - Area di Chirurgia e delle Specialità Chirurgiche, dell’Azienda Sociosanitaria Ligure 5. Si tratta di procedure di conferimento di incarichi direttivi di strutture caratterizzate da maggiore autonomia nella gestione, in base a quanto previsto dall’atto organizzativo adottato dalla ASL ( cfr. ex art 15, comma 6, del d.lgs. 502/1992 ). Sul conferimento di tali incarichi dirigenziali è divenuta controversa la giurisdizione , a seguito di una recente modifica normativa, che ha riformato l’art. 15, comma 7 bis del d.lgs 502/92, sostituito dall’ art. 20, comma 1, l. 5 agosto 2022 n. 118 . Per effetto della richiamata novella legislativa, l’art 15 sopra citato ora prevede una maggiore procedimentalizzazione della procedura di scelta del dirigente. Precedentemente, infatti, la procedura era basata su un’analisi comparativa dei titoli, posseduti dai candidati “ai fini della predisposizione di una terna di candidati idonei formata sulla base dei migliori punteggi attributi”; poi si passava alla “individuazione da parte del direttore generale, del candidato da nominare, tra i due che avessero ottenuto il punteggio più elevato”. In tale contesto la giurisdizione ordinaria era fondata – cfr. ex multis Cass., SU, n. 13491/2021- sulle stesse modalità della selezione, articolate in “uno schema che non prevede lo svolgimento di prove selettive, con la formazione di graduatoria finale e l’individuazione del candidato vincitore, ma soltanto la scelta, di carattere essenzialmente fiduciario”. Di qui, in applicazione dell’ art 63 del TU del pubblico impiego , le controversie si ritenevano devolute al giudice ordinario, escludendo la natura concorsuale della procedura e ritenendo la stessa integrata da atti adottati con i poteri del privato datore di lavoro. Infatti è pacifico ormai che , in tema di impiego pubblico privatizzato, il g.a. mantiene una riserva ex art 63 del TU pubblico impiego, solo per le procedure concorsuali finalizzate alla assunzione, o anche alla progressione in un’area o fascia superiore quella di appartenenza. Per contro, il conferimento di un incarico dirigenziale , ivi compresa la dirigenza sanitaria, non costituisce un concorso avendo come destinatari personale già in servizio ed in possesso della relativa qualifica, e rappresentando una scelta tra curricula e non una valutazione comparativa. Con la recente modifica normativa, gli incarichi di direzione di struttura sanitaria complessa sono ora attribuiti sulla base dell’ analisi comparativa dei curricula e dei titoli professionali posseduti dai candidati “secondo criteri prefissati preventivamente”, in modo tale da far prescegliere il candidato con il punteggio migliore. Le interpretazioni di queste novità procedurali, in giurisprudenza, hanno dato origine a due opposte soluzioni in punto di giurisdizione. Secondo un primo orientamento sussiste tuttora la giurisdizione del giudice ordinario, anche dopo la modifica normativa. Infatti la procedura attiene al “conferimento degli incarichi di direzione” , le cui controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario per espressa previsione ex art. 63, comma 1, del d.lgs n. 165/01 ( come ha già affermato ex multis Cass., SU, nn. 13491/2021) e le modifiche del 2022 nulla mutano in ordine alla natura dell’incarico, essendo la procedura selettiva finalizzata all’attribuzione di un incarico dirigenziale e non avendo natura concorsuale. La giurisdizione del giudice amministrativo è per contro configurabile solo nelle ipotesi di concorsi finalizzati alla “assunzione” del dipendente, mentre l’incarico di direttore di struttura complessa è conferibile a chi sia già stato assunto nel ruolo della dirigenza medica mediante concorso pubblico ai sensi dell’art. 15, comma 7, primo periodo del d.lgs n. 502/92 e s.m.i.. In tali termini la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “ la riserva stabilita in favore del giudice amministrativo concerne soltanto le procedure concorsuali strumentali all’assunzione o alla progressione in un’area o fascia superiore a quella di appartenenza, laddove gli atti di conferimento d’incarichi dirigenziali - i quali non concretano procedure concorsuali ed hanno come destinatari persone già in servizio nonché in possesso della relativa qualifica - conservano natura privata in quanto rivestono il carattere di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con i poteri e le capacità del comune datore di lavoro ” (Cass., SU, nn. 13491/2021). In sintesi, secondo tale tesi, la novella legislativa, pur incrementando la procedimentalizzazione della selezione, nulla innoverebbe sul riparto di giurisdizione. (Consiglio di Stato sezione III, 4 giugno 2024, n. 5017; C. S. III, 19 luglio 2024, n. 6534). Secondo un secondo orientamento , più recente, del Consiglio di Stato, tali controversie sarebbero attratte alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto, per effetto della riforma, sarebbe venuto meno il carattere fiduciario del conferimento dell’incarico e la procedura sarebbe ora inscritta nel modello concorsuale. Ciò si desumerebbe dal fatto che la selezione non è limitata ai medici in servizio presso l’Asl interessata, ma “aperta e pubblica” e quindi assume i connotati di una procedura per l’immissione in servizio di un sanitario, in posto qualificato: la stessa sarebbe finalizzata all’assunzione del sanitario sub specie di “progressione in un'area o fascia superiore a quella di appartenenza” ovvero all’acquisizione di uno “status” professionale più elevato (Consiglio di Stato sentenza 18 ottobre 2024 n. 8344). In ordine alla questione così inquadrata, il TAR Liguria ha ravvisato la sussistenza di tutti i presupposti di cui all’art 363 bis c.p.c., ovvero la natura esclusivamente di diritto del quesito, la possibilità che la questione si ponga in molteplici giudizi, come dimostra la giurisprudenza in materia, la novità della questione e il contrasto giurisprudenziale ancora irrisolto, sia in seno alla giurisprudenza amministrativa sia da parte della Suprema Corte in sede di regolamento della giurisdizione. Trattandosi di una questione che indubbiamente condiziona la risoluzione della controversia, in particolare in quanto la scelta tra le diverse opzioni ermeneutiche viene a riflettersi sulla sussistenza in radice della potestas decidendi del g.a., il Collegio, ha operato il rinvio di interpretazione alla Corte di cassazione, rilevando che occorre in limine risolvere una questione da cui dipende la sussistenza della propria giurisdizione. OSSERVAZIONI FINALI La circostanza centrale nel caso in esame è proprio inerente alla utilizzabilità dello strumento del rinvio pregiudiziale da parte del giudice amministrativo , e quindi alla possibilità, anche in tali casi, di sua esportazione al di fuori del contesto del codice di procedura civile. Quanto alla possibilità di operare il rinvio ex art 363 bis c.p.c. da parte dei giudici speciali , occorre rifarsi alla sopra richiamata pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione che ha risolto il problema favorevolmente, rispetto al rinvio operato dal giudice tributario ( SSUU sentenza 13 dicembre 2023 n. 34851). Nell’ottica della estensibilità dell’istituto anche al processo amministrativo, il Tar Liguria rileva come la questione che intende sottoporre alla Cassazione sia relativa alla giurisdizione sulla controversia, la quale ex art. 111, comma 7 Cost. e art. 110 c.p.a. è scrutinabile dalla Suprema Corte, quale organo regolatore della giurisdizione, anche rispetto alle decisioni dei giudici speciali. Ancora, argomenta il TAR Liguria come il rinvio esterno contenuto nell’ art. 39 comma 1, c.p.a. – secondo cui “Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”- consenta l’opzione ermeneutica prescelta. In ciò giova richiamare la similitudine con il processo tributario, ove è presente analogo rinvio esterno al codice di procedura civile, e precisamente all’ art. 1, comma 2, d.lgs. 546/92, norma che è stata adoperata per ritenere consentito il rinvio pregiudiziale da parte del giudice tributario, come affermato dalla Cassazione nel precedente sopra citato ( SSUU sentenza del 13 dicembre 2023 n. 34851). La circostanza che il Tribunale amministrativo regionale appartenga a una giurisdizione speciale non sarebbe ostativa ex se alla facoltà per i giudici amministrativi di sollevare rinvio pregiudiziale ex art 363 bis c.p.c., atteso che il rinvio è operato proprio ai fini della determinazione della giurisdizione, ambito in cui “la Cassazione costituisce l’organo di vertice, con il compito di assicurare l'esatta osservanza, l'uniforme interpretazione della legge e l'unità del diritto oggettivo”. Inoltre tale istituto - “ essendo volto a sollecitare un responso anticipato della Corte in ordine ad una questione di diritto, non ancora risolta dalla giurisprudenza di legittimità ed avente carattere seriale, che presenti gravi difficoltà interpretative ed appaia rilevante ai fini della decisione della controversia ” - sembra specialmente adeguato laddove la questione di giurisdizione sottenda una delicata e complessa questione di diritto afferente l’inquadramento sistematico dell’istituto di diritto sostanziale su cui si fonda l’attribuzione della giurisdizione. A favore della possibilità di applicare l’istituto anche al processo amministrativo, va rilevato l’inquadramento dato allo stesso dalle Sezioni Unite nella richiamata pronuncia 34851/2023, e precisamente le rilevanti differenze che “lo strumento ex art 363 bis c.p.c. presenta” rispetto al regolamento preventivo di giurisdizione, in quanto opera ad iniziativa del giudice, che può utilizzarlo non solo nel giudizio primo grado ma anche in quello di appello. In tal sede è significativa la definizione del rinvio pregiudiziale quale “strumento complementare” di definizione delle questioni di giurisdizione, rispetto a quelli già disciplinati dal c.p.c., il regolamento preventivo ad istanza di parte ex art 41 c.p.c. , e il regolamento di ufficio che è solo successivo. Questo inquadramento consente quindi di dare maggiore spazio ad un rinvio pregiudiziale anche in un’ottica di definizione della giurisdizione, proprio per evitare un inutile dispendio di energie processuali, deflazionando il contenzioso, mediante la enunciazione di un principio suscettibile di essere applicato in controversie seriali. Tuttavia le apprezzabili ragioni favorevoli alla ammissibilità dell’istituto vanno confrontate con le possibili obiezioni, specifiche per il processo amministrativo, che non sembrano essere state ancora vagliate nella fattispecie già esaminata dalla Cassazione, relativa al processo tributario. Può osservarsi che il rapporto tra giudice amministrativo e Corte di cassazione è delineato all’art 111 Costituzione , secondo cui le decisioni del Consiglio di Stato sono sindacabili dalla Suprema Corte solo per “motivi di giurisdizione”, con esclusione dei vizi costituenti errores in procedendo o in iudicando compiuti dal giudice speciale. Di qui occorre porre una particolare cautela alla estensibilità dell’istituto al processo amministrativo, onde evitare che venga piegato ad un surrettizio ampliamento delle cosiddette questioni di giurisdizione conoscibili dalla Cassazione. Il riferimento è alle posizioni espresse dalla Corte costituzionale, in riguardo alla diversa problematica del sindacato sull’eccesso di potere giurisdizionale, che focalizzano la necessità di intendere in senso stretto le questioni di giurisdizione (Corte costituzionale n. 6 del 2018), preservando una autonomia di decisione e procedura del giudice speciale. In tal sede la Consulta ha quindi ridimensionato un'eccessiva dilatazione del concetto di eccesso di potere giurisdizionale , che avrebbe consentito un sindacato sugli errores in iudicando o in procedendo , con una torsione del vizio di cui all’art 360 numero 1 c.p.c. inerente ai motivi di giurisdizione. Nel caso del rinvio pregiudiziale per motivi di giurisdizione questa torsione sembra escludersi, dal momento che la Corte di cassazione è chiamata ad una sorta di actio finium regundorum , che ha lo stesso contenuto del sindacato svolto in sede di regolamento di giurisdizione, o ex post in sede di ricorso per motivi di giurisdizione; può dunque condividersi la tesi per cui l’istituto si pone in linea con l’esigenza del giusto processo , in quanto finalizzato ad ottenere pronunce orientate a garantire la certezza e prevedibilità del diritto. In ultima analisi va condivisa l’osservazione secondo cui il rinvio pregiudiziale, più che destabilizzare le garanzie di autonomia riconosciute ad ogni giudice dall’ art 101, secondo comma Costituzione , rappresenta un’opportunità in più offerta al giudice di merito per rivolgersi alla Corte regolatrice della giurisdizione. Non sembra di ostacolo la osservazione, formulata da una parte della dottrina, secondo cui il rinvio pregiudiziale, anche se limitato ai fini di una questione di giurisdizione, troverebbe una barriera nella circostanza che in tale questione i profili di diritto sono inscindibilmente connessi a quelli di fatto . Al riguardo la Suprema Corte, nella citata sentenza concernente il Giudice tributario, ha osservato che tale inscindibilità contraddistingue tutte le questioni di carattere processuale, ove la Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto. In ogni caso, in tali questioni è ben possibile distinguere l’aspetto riguardante la interpretazione della norma giuridica astrattamente applicabile, dalla ricostruzione della concreta vicenda processuale, che rimane “ affidata al giudice di merito, sia in via preventiva , ai fini della motivazione in ordine alla rilevanza della questione, che in via successiva, ai fini della applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte ”. In altri termini si è rilevato che, fermo che i profili fattuali sono riservati in via esclusiva al giudice di merito, a quello di legittimità può demandarsi il profilo giuridico consistente non già nell’individuare il giudice a cui spetta la giurisdizione, ma nella “interpretazione delle norme sostanziali e processuali dalle quali dipende il riparto di giurisdizione”(cfr. sempre Cassazione, Sezioni Unite numero 34851/2023). Vale sottolineare che in ogni caso la Suprema Corte ha già chiarito nella citata sentenza che la sua pronuncia non sarà mai nel senso di statuire in via diretta a chi spetti la giurisdizione, bensì di qualificare la posizione giuridica sottesa alla questione di giurisdizione , rimanendo nel campo del giudice del merito il compito di trarne le conseguenze, benché entro il vincolo del principio di diritto. In attesa di conoscere la decisione della Suprema Corte in ordine all’estensibilità del rinvio sollevato al processo amministrativo, si rileva come l'ordinanza del giudice di primo grado , nel solco della giurisprudenza di altri giudici speciali, abbia colto la possibilità, offerta dal codice di rito in virtù del rinvio esterno, di dialogo anticipato con la Corte regolatrice della giurisdizione. In tal modo, il giudice amministrativo contribuirebbe a realizzare lo scopo della norma di recente introduzione, ossia una previa risoluzione di questioni di diritto rispetto alla decisione di merito, nell’ottica di economia processuale, ragionevole durata del processo e dell’armonia tra decisioni di diversi giudizi, al fine di assicurare l’uniformità del diritto oggettivo.

sulla riforma della giustizia penale : - Giovanni Verde*, Separazione carriere e l’arduo compito di ricomporre il contrasto tra i poteri (Guida al diritto 11/2025, 12-15, editoriale) [*professore emerito di procedura civile presso l’Università Luiss-Guido Carli di Roma] sulla professione forense (convenzione del Consiglio d’Europa): Consiglio d'Europa - Comitato dei ministri - Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione della professione di avvocato - Documento finale 12 marzo 2025 (CM(2024)191-add1final) - testo della Convenzione (Guida al diritto 11/2025, 16-23) sotto il titolo: Uno scudo a protezione della professione legale da minacce e ingerenze nelle “cause sensibili” - commento di Marina Castellaneta, Il primo trattato internazionale che tutela l’attività degli avvocati (Guida al diritto 11/2025, 25-26) in tema di professione forense (avvocati di società in house - compensi extra): - Cass. lav. 11.3.25 n. 6422 (Guida al diritto 11/2025, 29-30): Alla società in house si applicano, salve le deroghe, le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato” (art. 1, comma 3, DLg 175/2016): sono pertanto revocabili i compensi extra non previsti dai contratti collettivi. [La sentenza della Corte territoriale - confermata dalla SC - sottolineava che l’originaria delibera n. 326/1988 non era stata adottata da Acotral per aderire alle richieste avanzate singolarmente dai propri legali. Solo se ciò fosse invece avvenuto si sarebbe potuto sostenere che l’attribuzione delle somme recuperate da terzi, a titolo di competenze ed onorari, riflettesse una pattuizione di natura contrattuale entrata a far parte del contratto individuale di lavoro di ognuno degli avvocati interessati. Né, come pure argomentato dalla Corte distrettuale, si verteva in un caso di “uso aziendale”. Il trattamento retributivo non rientrava dunque nella retribuzione concordata al momento dell’assunzione, né dipendeva da successiva pattuizione tra le parti, o da uso aziendale, e neppure da disposizione collettiva di qualsiasi livello. Per converso, l’accordo collettivo del 2011 stabiliva: «Le Parti concordano sull’obiettivo di “azzerare” trattamenti economici individuali non derivanti dalla contrattazione collettiva». Ne deriva la chiara volontà delle parti sociali di procedere all’immediata eliminazione delle indennità e trattamenti non previsti dalla contrattazione collettiva, nello spirito collaborativo di attuazione del Piano industriale 2011-2015 di Atac spa. L’emolumento in questione rientrava appunto tra i “trattamenti economici individuali non derivanti da contrattazione collettiva”, perché dipendeva da sempre (dal 1988) solo e soltanto da atti unilaterali ad personam adottati dalle datrici di lavoro nel tempo succedutesi (dalle delibere dei loro organi di vertice)]. in tema di immigrazione : - Corte cost. 7.3.25 n. 25, pres. Amoroso, red. Patroni Griffi (Guida al diritto 11/2025, 34 T): L'art. 9.1 L 5.2.1992 n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), introdotto dall'articolo 14, comma 1, lett. a-bis), DL 4.10.2018 n. 113 - L 1.12.2018 n. 132 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), è incostituzionale nella parte in cui non prevede una clausola di esenzione dalla dimostrazione della conoscenza della lingua italiana per lo straniero che versi in condizioni di oggettiva e documentata impossibilità di acquisirla in ragione di una disabilità. - (commento di) Eugenio Sacchettini, La norma censurata è discriminante e causa una emarginazione sociale (Guida al diritto 11/2025, 39-41) in tema di accesso (accesso e segreto investigativo): - TAR Palermo 4^, 5.2.25 n. 295, pres. Bruno, est. Stefanelli (Guida al diritto 11/2025, 32): Per l’art. 24 della legge 241/1990 il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento. Il codice di procedura penale riconduce nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti quello relativo agli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, a cui sono equiparabili quelli della pubblica amministrazione su delega dei citati. La normativa di riferimento definisce il perimetro del cosiddetto “segreto investigativo” posto a tutela dell’attività di indagine, in quanto la prematura diffusione dell’istruttoria penale potrebbe, in effetti, pregiudicare l’accertamento stesso della verità. La disciplina introdotta con l’art. 329 c.p.p. consente una temporanea compressione del diritto di difesa, a tutela del preminente interesse investigativo. Al contempo, la norma si premura di individuare un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze, differendo alla fase successiva alla chiusura delle indagini la rivelazione degli atti investigativi, che quindi, fino a tale momento, rimangono senz’altro secretati. (Nella vicenda in esame, è stato escluso che le esigenze difensive invocate dal ricorrente fossero in grado di prevalere sul segreto istruttorio). in tema di parità di genere : - TAR Napoli 1^, 10.2.25 n. 1087, pres. Salamone, est Palliggiano (Guida al diritto 11/2025, 32 e 94 T): 1. La nomina e ancora di più la revoca di un assessore, in quanto espressione di un potere amministrativo discrezionale, possono comunque incardinare posizioni contrapposte di interesse legittimo in relazione al rispetto dei parametri di legittimità procedimentale e sostanziale che ne delimitano l'esercizio. 2. Ai fini del rispetto della parità di genere la natura fiduciaria della carica assessorile non giustifica la limitazione di un eventuale interpello alle sole persone appartenenti alla stessa lista o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco; ciò a maggior ragione in realtà locali non particolarmente estese, nelle quali sia il limitato numero di soggetti in astratto idonei sia la natura delle relazioni interpersonali rendono non eccentrica una simile soluzione. 3. Ai fini del rispetto della parità di genere nell'ambito della giunta comunale, spetta al sindaco svolgere l'attività volta ad acquisire la disponibilità di soggetti femminili, anche esterni al consiglio per i comuni con popolazione inferiore a 15.000,00 abitanti, motivando adeguatamente l'eventuale impossibilità di adeguamento alla legge; incombe pertanto sul sindaco l'onere di provare di non essere riuscito ad acquisire la disponibilità allo svolgimento della funzione assessorile da parte di un rappresentante del genere femminile. Una diversa soluzione sarebbe in contrasto cogli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, col principio costituzionale di parità di accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive affermato dall’art. 51 Cost. oltre che con l’art. 46, comma 2, TUEL (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) secondo cui «il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta». - (commento di) Davide Ponte, Gli sforzi della Ga per un’adeguata componente femminile nelle Giunte (Guida al diritto 11/2025, 96-102) in tema di identità di genere (“transidentità”: rettifica anche senza trattamento chirurgico): - Corte giust. Ue 1^, 13.3.25, causa C-247/23 (Guida al diritto 11/2025, 32 e 104 solo massima): L'art. 16 del regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati impone a un'autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all'identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti. L'indicata norma, inoltre, richiede che ai fini dell'esercizio del diritto di rettifica dei dati personali relativi all'identità di genere di una persona fisica, contenuti in un registro pubblico, tale persona può essere tenuta a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che si possono ragionevolmente richiedere a detta persona per dimostrare l'inesattezza di tali dati. Tuttavia, uno Stato membro non può in alcun caso subordinare, mediante una prassi amministrativa, l'esercizio di tale diritto alla produzione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale. [Il regolamento (Rgpd) ha di fatto concretizzato il diritto fondamentale, sancito principalmente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che attribuisce a ogni individuo il diritto di accesso ai propri dati personali raccolti con quello corrispondente di vederseli rettificare. L’identità di genere appartiene sicuramente alla sfera personale e l’interessato può adeguare il dato al caso in cui abbia fatto una transizione: ciò non giustifica l’imposizione da parte del titolare del trattamento di un fatto quale la base chirurgica di tale passaggio. (La vicenda riguardava una cittadina iraniana cui era stato riconosciuto nel Paese membro Ue dove risiede il diritto di asilo)] - (commento di) Marina Castellaneta, Rettifica di un dato sul gender, non va subordinata alla prova della realizzazione di un’azione chirurgica (Guida al diritto 11/2025, 104-106) in tema di famiglia (rapporto nonni-nipoti): - Cass. 1^, 11.2.25 n. 3539 (Guida al diritto 11/2025, 29): Il Codice civile, prevedendo il diritto dei minori, figli di separati, di «conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale», affida al giudice un elemento ulteriore su cui indagare e da valutare per decidere come articolare i provvedimenti sull’affidamento dei minori, a tutela del loro diritto a una crescita serena ed equilibrata. Le norme, nella disciplina precedente alla riforma Cartabia, non consentono di legittimare un intervento dei nonni o di altri familiari. Pertanto, vista la carenza di legittimazione dell’ascendente nell’ambito del giudizio che riguarda la separazione o il divorzio, occorre far riferimento alle facoltà e alla legittimazione dei genitori a stare in giudizio nelle controversie per la regolamentazione della responsabilità genitoriale, estendendo loro tramite la tutela del rapporto dei figli minori con gli ascendenti. In questo quadro, l’interesse del minore a veder realizzato un rapporto significativo con i nonni, quando è ostacolato da uno dei genitori, non può che trovare tutela nel giudizio di separazione con l’attribuzione della legittimazione al genitore che denuncia le condotte ostative, e quindi nocive per il minore. in tema di filiazione (figlio maggiorenne - assegno di mantenimento e obbligazione alimentare): - Cass. 1^, 10.2.25 n. 3329 (Guida al diritto 11/2025, 42 T): L'adempimento dell'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente non può essere regolato dalla disciplina dettata dall'art. 443 c.c. per le obbligazioni alimentari, essendo disciplinato dagli artt. 337-ter e 337-septies c.c. La decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non costituisce, dunque, una modalità alternativa di adempimento che il genitore può scegliere unilateralmente, ma può essere al massimo un elemento da considerare ai fini della quantificazione dell'assegno. - (commento di) Valeria Cianciolo, Nella determinazione del contributo pesa il principio della proporzionalità (Guida al diritto 11/2025, 48-53) in tema di successioni (rappresentazione): - Cass. 2^, 7.2.25 n. 3140 (Guida al diritto 11/2025, 64-65 s.m., annotata da Mario Piselli): Il discendente legittimo o naturale (rappresentante), nel subentrare nel luogo e nel grado dell'ascendente (rappresentato), che non possa o non voglia accettare l'eredità, ex art. 467 c.c., succede direttamente al de cuius e si considera chiamato all’eredità dalla data di apertura della successione, anche quando subentri per effetto della rinuncia all’eredità del rappresentato, la quale ha, infatti, efficacia ex tunc, senza che muti l’oggetto della delazione dell’eredità, che gli viene devoluta nella medesima misura che sarebbe spettata al rappresentato. in tema di condominio (parti comuni): - Cass. 2^, 11.3.25 n. 6515 (Guida al diritto 11/2025, 30): La pavimentazione di parte del cortile condominiale da parte di uno dei comproprietari è legittima solo se è destinata a migliorare l’utilizzo dell’area da parte di tutti i compartecipi alla comunione. Sul bene in comunione sono infatti legittime, in base all’art. 1102 c.c., tutte le attività o gli interventi che siano espressione del legittimo uso del bene assicurato a ciascun comunista. Invece è illegittimo qualsiasi comportamento che di fatto si concretizzi in un uso esclusivo del bene o anche solo di una sua parte. (Nel caso concreto ai ricorrenti era stata imposta la rimozione della pavimentazione apposta sul cortile e prospiciente la loro abitazione. Della parte pavimentata questi ne facevano un uso esclusivo, vista anche la presenza di cordoli che delimitavano l’area pavimentata e l’apposizione di recinzioni sul perimetro. Secondo il controricorrente le opere illegittime impedivano il passaggio e il parcheggio degli autoveicoli degli altri condomini. I ricorrenti, cui il giudice di merito aveva imposto la rimozione delle opere che ritagliavano di fatto una porzione dell’area comune, sostenevano che le opere installate non impedivano il godimento dell’area comune da parte dei compartecipi alla proprietà; e che anzi, la loro installazione costituiva migliorie del bene comune. Tesi respinta dalla Cassazione, secondo cui le migliorie che il singolo comunista apporta al bene comune, a proprie spese, devono essere compartecipate e non determinare alcuna esclusiva attribuzione del godimento del bene a chi le realizza) in tema di azione revocatoria : - Cass. SSUU 27.1.25 n. 1898 (Guida al diritto 11/2025, 54 T): In tema di azione revocatoria, quando l'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, a integrare la "dolosa preordinazione" richiesta dall'art. 2901, primo comma, c.c. non è sufficiente la mera consapevolezza da parte del debitore, del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni dei creditori (cosiddetto "dolo generico"), ma è necessario che l'atto sia stato posto in essere dal debitore in funzione del sorgere dell'obbligazione, al fine di impedire o rendere più difficile l'azione esecutiva o comunque di pregiudicare il soddisfacimento del credito, attraverso una modificazione della consistenza o della composizione del proprio patrimonio (cosiddetto "dolo specifico"), e che, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse a conoscenza dell'intento specificamente perseguito dal debitore rispetto al debito futuro. - (commento di) Mario Piselli, Per le Sezioni Unite è opportuno considerare gli interessi dei terzi (Guida al diritto 11/2025, 61-63) c.s. Infowar - Nella guerra dell'informazione (infowar) l'obiettivo finale non è il singolo, non è che una persona sia d'accordo con il messaggio propalato, ma il caos globale: che si dubiti di tutto. (Asma Mhalla, politologa franco-tunisina, in "Tecnopolitica. Come la tecnologia ci rende soldati") - Se tutti dubitano di tutto, puoi far fare loro ciò che vuoi. È una forma sofisticata di manipolazione. (Hannah Arendt) - Quella di Musk e Trump è la tecnica ipnotica della creazione e soluzione di problemi immaginari. Nel loro comunicare continuo, sfruttano il fenomeno della "trance algoritmica di massa", uno stato in cui non esiste più un confine tra reale e simulato, e in cui tutti diventano incapaci di scegliere. Una sorta di torpore che sovraccarica il sistema. (Jianwei Xun, filosofo di Hong Kong, da “Ipnocrazia”)

in tema di contratti pubblici (“Correttivo” al codice): - Luca Perfetti, Sul “Correttivo” al Codice dei contratti pubblici. Ovvero sulle tensioni tra politica e tecnica, tra potere e contratto (Urban. e appalti 1/2025, 5-20) Il parere 2.12.2024 del Consiglio di Stato e la stesura definitiva del Correttivo, che riassegna spazi di supremazia. al potere e alle determinazioni unilaterali. in tema di autotutela : - Lucia Antonella Buongiorno, La convalida del provvedimento amministrativo illegittimo: una finestra aperta sul rapporto tra privato e P.A. (Urban. e appalti 1/2025, 21-32) sul risarcimento del danno (da illegittima aggiudicazione): - CGA. Sicilia 29.7.24 n. 598, pres. De Francisco, est. Chiné (Urban. e appalti 1/2025, 91 T): 1. Nelle ipotesi in cui il provvedimento giurisdizionale di annullamento dell’aggiudicazione di una gara d’appalto sia riformato in appello e il contratto sia ormai stato eseguito in conseguenza dell’esecuzione della sentenza di primo grado, la causazione del danno subito dal soggetto che risulti legittimo aggiudicatario all’esito di tale giudizio non può essere ascritta alla PA, che non avrebbe potuto sottrarsi dal dare provvisoriamente esecuzione a detta sentenza, in assenza di un provvedimento cautelare che ne avesse sospeso l’esecutività ex lege. 2. La rinuncia alla domanda cautelare può valutarsi negativamente ai sensi dell’art. 1227 c.c., quale condotta colposa del creditore che abbia contribuito alla causazione del danno. 3. L’ordinamento contempla gli strumenti sulla restituzione dell’indebito, ex art. 2033 c.c., e sull’arricchimento senza causa, ex art. 2041 c.c., da ritenersi azionabili per il caso in cui un’impresa, sulla base di un affidamento contrattuale, all’epoca dell’esecuzione pienamente efficace, abbia eseguito il contratto, percependo il relativo corrispettivo, quando si accerti, all’esito di uno specifico contenzioso giurisdizionale, che l’affidamento sarebbe invece spettato ad altra impresa, la quale, pertanto, risulti essere l’unica legittimata a stipulare il contratto e a eseguire il lavoro o il servizio, nonché a percepirne i relativi vantaggi economici. 4. L’art. 30, comma 1, c.p.a., che fa riferimento all’azione di condanna genericamente intesa, ricomprende non solo l’azione tipicamente risarcitoria, ma anche le domande dirette al riequilibrio dello spostamento patrimoniale a seguito di un’aggiudicazione illegittima, tra cui quelle al pagamento di un indennizzo avente a oggetto l’attribuzione dell’utile di impresa da parte dell’esecutore materiale del contratto all’avente diritto pretermesso, sussistendo pertanto la giurisdizione del GA su tali domande, devolute per legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ossequio all’art. 103 Cost., in quanto riguardanti controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a. - (commento di) Massimiliano Mangano, Il C.G.A.R.S. a tutto campo su azioni risarcitorie, ripetizione di indebito e arricchimento senza causa, e relativa giurisdizione, nei pubblici appalti (Urban. e appalti 1/2025, 96-110) in tema di concessioni (ius superveniens): - Cons. Stato IV, 30.7.24, n. 6848, pres. Mastrandrea, est. Santise (Urban. e appalti 1/2025, 81 T): Trova applicazione la normativa regionale sopravvenuta che dispone la sospensione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione ambientale oggetto del contratto di concessione in corso di esecuzione, in applicazione del principio tempus regit actum. È altresì legittima la sospensione dello stesso contratto di concessione, alla luce della medesima novella legislativa. (Il Consiglio di Stato si esprime sulla successione delle leggi nel tempo sia con riferimento al procedimento amministrativo in corso che all’esecuzione del contratto di durata). - (commento di) Sara Vitali, Il diritto sopravvenuto nel corso del procedimento amministrativo e dei contratti di durata (Urban. e appalti 1/2025, 84-90). Il contributo analizza la statuizione del Collegio anche con riferimento all’interesse del soggetto privato che si veda interrompere un’attività pianificata sulla base di precedenti atti e comportamenti dell’Amministrazione. in materia edilizia ( confisca e diritto di ipoteca ): - Corte cost. 3.10.24 n. 160, pres. Barbera, red. Navarretta (Urban. e appalti 1/2025, 33 T): Sono in costituzionali, per violazione degli artt. 3, 24 e 42 Cost., l’art. 7, comma 3, Legge 47/1985 e l’art. 31, comma 3, DPR 380/2001, nella parte in cui non fanno salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire. - (commento di) Luca R. Perfetti, Diritto vivente e ideologie giuridiche. Ragioni di un dibattito su Corte cost. 3 ottobre 2024, n. 160 (Urban. e appalti 1/2025, 39-41) - (commento di) Marina Roma, Confisca edilizia e diritto di ipoteca (Urban. e appalti 1/2025, 41-46) - (commento di) Alfonso Vuolo, La prima pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale avente ad oggetto disposizioni del testo unico in materia edilizia (Urban. e appalti 1/2025, 47-52) - (commento di) Wladimiro Gasparri, Confisca edilizia e creditore ipotecario: la “necessaria concordanza pratica” (Urban. e appalti 1/2025, 52-64) - (commento di) Letterio Buta, Diritto di sequela sul patrimonio del Comune (Urban. e appalti 1/2025, 64-70). La sentenza della Corte nella prospettiva civilistica. in materia edilizia ( condono ): - CGA Sicilia, Sez. giur., 20.9.24 n. 715, pres. de Francisco, est.. La Ganga (Urban. e appalti 1/2025, 71 T): Nell’ordinamento siciliano, l’emanazione del provvedimento di condono edilizio è di esclusiva competenza del Comune. L’omessa acquisizione del parere della Soprintendenza ex art. 32 L 47/1985, in quanto atto endoprocedimentale avente carattere vincolante, determina l’illegittimità del titolo edilizio eventualmente rilasciato, ma non la sua inefficacia; in tale evenienza, l’autorità di tutela del paesaggio prevista dalla disciplina regionale siciliana può soltanto sollecitare l’ente locale a intervenire in autotutela al ricorrere dei relativi presupposti, essendole di contro precluso l’esercizio diretto di poteri di autotutela esecutiva o di poteri repressivi autonomi in contrasto col titolo edilizio già rilasciato, sebbene illegittimo. - (commento di) Francesca D’Angelo, Il provvedimento di condono edilizio emesso in difetto o in contrasto con il parere di compatibilità paesaggistica: regime e rimedi (Urban. e appalti 1/2025, 75-80) in materia edilizia ( abuso edilizio semplice e lottizzazione abusiva ]: - Cass. pen. 3^, 4.12.24 n. 44346 (Urban. e appalti 1/2025, 111-2): Al fine di distinguere tra semplice abuso edilizio e lottizzazione abusiva, va qualificata come lottizzazione quell’insieme di opere o di atti giuridici che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni a scopo edificatorio intesa quale conferimento all’area di un diverso assetto territoriale, attraverso impianti di interesse privato e di interesse collettivo, tali da creare una nuova maglia di tessuto urbano. in materia edilizia ( pergolato ): - Cass. pen. 3^, 19.11.24 n. 42371 (Urban. e appalti 1/2025, 112-3): In materia edilizia, si intende per “pergolato” una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno. (Non può definirsi pergolato una struttura composta da quattro colonne bullonata al suolo su base cementizia) in materia edilizia ( pergotenda ): - Cass. pen. 3^, 28 ottobre 2024 n. 39596 (Urban. e appalti 1/2025, 113-4): La struttura con cui si crea ex novo uno spazio chiuso stabilmente asservito ad un’attività commerciale preesistente e al fine di soddisfare le esigenze non temporanee dell’impresa, non può definirsi “pergotenda”, non essendo la struttura funzionale (solo) a una migliore vivibilità degli spazi esterni di un’unità già esistente, tipo terrazzi e/o giardini. Ne discende che per l’installazione della stessa è necessario il permesso di costruire. c.s. Imparare senza pensare è fatica perduta; pensare senza imparare è pericoloso (Confucio)

in tema di immissioni (art. 844 c.c.): - Antonio Scarpa*, Immissioni, la tutela deve transitare nell’ambito della responsabilità civile (Guida al diritto 10/2025, 12-14, editoriale) in tema di immigrazione (caso Diciotti - responsabilità della PA): - SSUU 6.3.25 n. 5992 (Guida al diritto 10/2025, 15 T, sotto il titolo: “Caso Diciotti”, il Governo deve risarcire i migranti per trattenimento illegittimo sulla nave): 1. Il tema di responsabilità civile della PA, il rifiuto governativo dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare in zona Sar dall’unità navale della Guardia Costiera “Ubaldo Diciotti” protratto per dieci giorni (nella specie perpetrato, per i primi quattro giorni, mediante il mancato consenso all’attracco della nave nei porti italiani e, nei successivi sei giorni, una volta permesso l’attracco della nave nel porto di Catania, a causa del mancato consenso allo sbarco nella terraferma) non può considerarsi atto politico, come tale sottratto al controllo giurisdizionale, trattandosi di atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, nel rispetto della regolamentazione, internazionale e nazionale, in tema di obblighi del soccorso in mare che ne segna i confini, non potendo giammai l’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, sottrarsi al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti imposti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali e dalla legge, specie quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini o delle persone straniere costituzionalmente tutelati; ne consegue che l’indebito trattenimento sulla nave dei migranti non ancora compiutamente identificati - e potenzialmente titolari di diritto di asilo ex art. 10, comma 3, Cost. - non rientrando tra le eccezioni al regime di privazione della libertà personale ammesso dall’art. 5, par. 1, lettera f), della Cedu (convenzione), né trovando altrimenti copertura sovranazionale quale misura assimilabile all’arresto o alla detenzione regolare finalizzata a impedire l’ingresso illegale nel territorio, integra un’ipotesi di forzata e arbitraria limitazione della libertà personale, qualificabile come evento dannoso risarcibile a titolo di danno morale da imputarsi alla responsabilità della pubblica amministrazione-apparato, a fronte di atto amministrativo adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa. 2. In tema di soccorso in mare, lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» (Convenzione SAR, capitolo 3.1.9), fornendo alle un luogo sicuro in cui terminare le operazioni in cui sia garantita non solo la “sicurezza” - intesa come protezione fisica - delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali il diritto dei rifugiati di chiedere asilo; il margine di discrezionalità tecnica che residua in capo agli Stati si estrinseca solo ai fini dell’individuazione del punto di sbarco più opportuno, tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate. [Il principio cardine di uno Stato costituzionale è la giustiziabilità di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona, ancorché posto in essere dal Governo e motivato da ragioni politiche. E allora la sottrazione dell’agire politico a tale sindacato - nel caso specifico col voto del Senato che non ha concesso l’autorizzazione a procedere per il resto di sequestro di persona nei confronti del Ministro Salvini - è una eccezione, come tale soggetta a interpretazione tassativa e riferibile, dunque, solo alla responsabilità penale. Diversamente, prosegue la SC, non residuerebbe spazio per separare la responsabilità civile del Ministro da quella dell’amministrazione come apparato, posto che è dalla decisione del primo di negare il POS e l’autorizzazione allo sbarco che è derivato il trattenimento a bordo della nave costiera indicato come lesivo della libertà personale]. - (commento di) Aldo Natalini, Il rifiuto all’autorizzazione di sbarco non può considerarsi un atto politico (Guida al diritto 10/2025, 28-31) in materia edilizia (fiscalizzazione degli abusi sopravvenuti, ossia conseguenti all’annullamento del titolo edilizio): - Corte cost. 6.3.25 n. 22, pres. Amoroso, red. Sciarrone Alibrandi (Guida al diritto 10/2025, 51): Anche le autonomie speciali devono sottostare al regime sanzionatorio dettato dall’art. 38 TU edilizia (fiscalizzazione dell’abuso) per abusi edilizi sopravvenuti. L’art. 4, comma 10, LP Bolzano n. 01/2022, recante “Disposizioni collegate alla legge di stabilità provinciale per l’anno 2022”, è pertanto incostituzionale, per violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, in quanto in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico sociale, quali sono gli artt. 36 e 38 DPR 380/2001 (TU delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). [La Corte ha per la prima volta riconosciuto che, al pari dell’art. 36 TU edilizia, anche l’art. 38, nel prevedere un peculiare regime sanzionatorio (fiscalizzazione dell’abuso) per i cosiddetti “abusi edilizi sopravvenuti” (ossia realizzati in conformità a un titolo abilitativo in seguito annullato), mira a proteggere interessi di primaria importanza e di segno complessivamente unitario (in quanto correlati al governo del territorio e alla tutela del paesaggio e dell’ambiente), con conseguente necessità di attuazione uniforme a livello nazionale che non può subire differenziazioni regionali] in tema di azione amministrativa ( tutela del legittimo affidamento ): - Cons. Stato V, 18.2.25 n. 1305. pres. Caringella, est. Caminiti (Guida al diritto 10/2025, 50-51): Il principio del legittimo affidamento ha la funzione di consentire una “eccezione” all’applicazione di una regola di diritto, cui permette di derogarvi senza contestarne la validità. Tale principio costituisce il corollario stesso del principio della certezza del diritto, che esige che le norme giuridiche siano chiare e precise, ed è diretto a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici consentendo una deroga alla regola qualora una sua applicazione produca conseguenze irragionevoli a causa di un comportamento concludente tenuto dall’autorità. La tutela del legittimo affidamento riveste, quindi, notevole importanza data la natura derogatoria ed eccezionale della applicazione che infatti viene a essere limitata ad ipotesi straordinarie. La tutela del legittimo affidamento è subordinata a tre condizioni: la prima ha natura oggettiva, e riguarda il vantaggio che la parte consegue dalla situazione giuridica apparente creata dal comportamento oggettivo della PA; in secondo luogo, è necessario che la parte intenda difendere una utilità ottenuta in buona fede; infine, che la situazione di cui si chiede tutela si sia consolidata nel tempo, mostrando una sicura stabilità. in tema di mutui (clausole vessatorie): - Cons. Stato VI 26.2.25 n. 1699, pres. Montedoro, est. Ponte (Guida al diritto 10/2025, 100 T, sotto il titolo “Clausole sui mutui: poca chiarezza non vessatoria, utenti comunque tutelati”): 1. Il carattere vessatorio di una clausola, rilevabile ex art. 37-bis DLg 6.9.2005 n. 206 dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, manca quando a venire in rilievo è la contestazione in merito al carattere non chiaro e comprensibile delle clausole di cui all'art. 35 codice del consumo. Infatti, salvo ricorrano i presupposti dell'art. 34, comma 2, del medesimo Codice del consumo, a mente del quale «La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile», per la violazione dell'art. 35 del Codice del Consumo è previsto un rimedio immediato e specifico consistente nell'interpretazione orientata nei termini più favorevoli al consumatore. 2. Con particolare riguardo ai contratti di mutuo fondiario indicizzati al franco svizzero (CHF) con tasso LIBOR a sei mesi, non viola gli obblighi di chiarezza la clausola che introduce un simile meccanismo di indicizzazione che, seppur complesso, va esaminato tenendo in considerazione le fasi di formazione della volontà contrattuale e il comportamento professionale che ha condotto alla più chiara rappresentazione delle condizioni contrattuali particolarmente rischiose. L'aumento del rischio, concordato, non è di per sé idoneo a configurare una violazione degli obblighi di chiarezza se l'illustrazione dei meccanismi è stata resa nota al contraente. Occorre dunque porre su un piano autonomo dagli obblighi di chiarezza gli effetti dell'aleatorietà laddove, mediante la pattuizione che segue un simile schema di indicizzazione, le parti si espongono a un'alea bilaterale, posta a carico di entrambe, non risultando possibile prevedere ex ante gli addebiti o gli accrediti che seguono le oscillazioni del tasso di interesse e del tasso di cambio. - (commento di) Giulia Pernice, Meccanismo applicato e aleatorietà elementi noti per entrambe le parti (Guida al diritto 10/2025, 105-109) in tema di locazione : . Cass. SSUU 25.2.25 n. 4892 (Guida al diritto 10/2025, 63 T): Il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell'art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore non viene meno, di per sé, in seguito alla restituzione del bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma richiede, normalmente, la dimostrazione, da parte del locatore, di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell'immobile, per una nuova locazione a terzi, fermo l'apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando in ogni caso esclusa l'applicabilità dell'art. 1591 c.c.. - (commento di) Mario Piselli, I mancati canoni predeterminati la base per quantificare l’indennizzo (Guida al diritto 10/2025, 70-72) sulle spese di giudizio (compenso agli ausiliari del giudice): - Corte cost. 10.2.25 n. 16, pres. Amoroso, red. Sangiorgio (Guida al diritto 10/2025, 54 T, stralcio, sotto il titolo: Ausiliari del giudice, no alla riduzione degli onorari dopo la prima vacazione): Contrasta con l'art. 3 Cost., per irragionevolezza, l'art. 4, secondo comma, L 8.7.1980 n. 319 («Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria») nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, dispone la liquidazione di un onorario inferiore a quello stabilito per la prima vacazione. - (commento di) Eugenio Sacchettini, Evidente l’assoluta sproporzione tra compenso e valore dell’attività (Guida al diritto 10/2025, 59-62) in materia penale (“caso Davigo”: violazione del segreto d’ufficio): - Cass. pen. 6^, 4.12.24-29.1.25 n. 3755 (Guida al diritto 10/2025, 49-50 e 32 T, stralcio, sotto il titolo: “Caso Davigo”, annullata la condanna per rivelazione a terzi di segreto d’ufficio): 1. In caso di violazione del segreto investigativo, l'onere di riservatezza della notizia risulta imposto ex lege in ragione della previsione di cui all'art. 329 c.p.p., a prescindere dalla concreta incidenza che abbia assunto il suo disvelamento rispetto all'ordinario e utile sviluppo dell'indagine. Per l’effetto, poiché è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione a un determinato atto o in relazione a un determinato fatto, il reato di cui all’art. 326 c.p. sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto. 2. La successiva propalazione a terzi da parte dell’extraneus della notizia riservata ricevuta dall’intraneus costituisce un post factum non punibile laddove il primo debba rispondere già del reato di cui all’art. 326 c.p., quale concorrente, laddove cioè non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia influito sulla scelta dell’intraneus di operare la rivelazione. Al contrario, laddove l’extraneus non sia risultato punibile come concorrente, la sua autonoma responsabilità ex art. 326 c.p. per la successiva diffusione della notizia non può essere affermata in via automatica, dovendosi invece necessariamente verificare l’eventuale sussistenza nei confronti di questi dell’obbligo di mantenere il segreto sulla notizia (alla luce del proprio specifico ruolo istituzionale e dei doveri di riservatezza imposti dalla relativa posizione qualificata). 3. Il reato di cui all’art. 326 c.p. punisce unicamente il propalatore qualificato (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) della notizia riservata e non il soggetto che la riceve, salvo che quest'ultimo non si sia limitato passivamente a riceverla ma abbia, con il proprio contegno, contribuito al disvelamento illecito, istigando, inducendo o comunque supportando l'intraneus nella esecuzione della relativa condotta materiale; con la precisazione, in proposito, che il contributo morale offerto dal concorrente extraneus, in base all'ordinaria disciplina del concorso di persone nel reato, oltre alle tradizionali forme della determinazione e della istigazione, può estrinsecarsi nei modi più vari ed indifferenziati, sottraendosi a qualsiasi catalogazione o tipizzazione, cui invece deve uniformarsi la condotta dell'autore dell'illecito e, quindi, del concorrente che esegue l'azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe. - (commento di) Alberto Cisterna, Responsabilità morale della condotta rinviata a un nuovo giudizio d’appello (Guida al diritto 10/2025, 41-45) in procedura penale (indipendenza del giudice): - Corte giust. Ue 5^, 6.3.25, cause riunite C-647/21 e C-648/21 (Guida al diritto 10/2025, 51 e 112 s.m.): L’art. 19, par. 1, secondo comma, del Tue osta a una normativa nazionale in forza della quale un organo di un tribunale nazionale, come il collegio di quest’ultimo, può revocare l’assegnazione a un giudice di tale tribunale di una parte o della totalità dei procedimenti a lui attribuiti, senza che detta normativa preveda i criteri che devono guidare tale organo quando adotta una simile decisione di revoca e imponga di motivare la suddetta decisione. In forza del principio del primato del diritto dell’Unione, un tribunale nazionale deve disapplicare una delibera del collegio di tale tribunale che revoca l’assegnazione a un giudice di detto tribunale dei procedimenti a lui attribuiti nonché altri atti successivi, come le decisioni relative alla riassegnazione dei già menzionati procedimenti, qualora tale delibera sia stata adottata in violazione del citato art. 19, par. 1, secondo comma, del Tue. Le autorità giudiziarie competenti a designare e modificare la composizione della formazione giudicante devono disapplicare una tale delibera. [L’indipendenza dei giudici implica che essi debbano essere al riparo da qualsiasi ingerenza indebita che possa influenzare le loro decisioni, comprese le ingerenze provenienti dall’interno dell’organo giurisdizionale di appartenenza. La disapplicazione della revoca effettuata in violazione del diritto dell’Unione, comporta che la giudice destinataria della revoca possa continuare a conoscere dei procedimenti precedentemente assegnati] - (commento di) Marina Castellaneta, L’organo di un tribunale senza criteri precisi non può revocare l’assegnazione al giudice di un procedimento (Guida al diritto 10/2025, 112-114) in procedura penale (processo in assenza): - Cass. SSUU pen., 26.9.24-13.2.25 n. 5847 (Guida al diritto 10/2025, 82 T): La sentenza di non luogo a procedere per assenza impediente dell'imputato pronunciata ai sensi dell'articolo 420-quater c.p.p. può essere impugnata da tutte le parti con ricorso per cassazione, proponibile per tutti i motivi di cui all'art. 606, comma 1, c.p.p., anche prima della scadenza del termine, pari al doppio della prescrizione, previsto dall'art. 159, ultimo comma, c.p., funzionale alle ricerche dell'irreperibile. - (commento di) Aldo Natalini, Una scelta condivisibile nel segno dell’ampliamento dei diritti delle parti (Guida al diritto 10/2025,90-93) c.s. Non esistono pasti gratis [Milton Friedman (Brooklyn, 1912 - San Francisco, 2006), Nobel per l'economia 1976, economista USA, esponente principale della scuola di Chicago]

Ci sono alcuni curiosi e interessanti cortocircuiti su istituti giuridici importanti (processuali e non) tra Giudici di primo grado e Giudici di secondo grado della magistratura amministrativa, che a intervalli più o meno regolari ritornano a galla. Un conflitto attuale di portata fortemente impattante sulle prossime generazioni di giovani avvocati – di coloro cioè che si accingono a partecipare (per possibilmente superarle) alle prove dell’esame di abilitazione – nasce dalle norme che disciplinano lo specifico tema nell’ambito della professione forense . La disciplina in materia, prima di essere novellata con la L. n. 247 del 2012, era dettata dal r.d.l. n. 1578 del 1933 , come modificato e integrato nel 2003. In linea generale, l’art. 22, comma 9, del r.d.l. n. 1578/1933 attribuisce alla Commissione centrale istituita presso il Ministero della Giustizia il potere di fissare i criteri di giudizio delle prove scritte, mentre l’art. 17-bis, r.d. n. 37 del 1934 prevede che le stesse consistano in tre elaborati, per la valutazione dei quali ognuno dei cinque componenti delle commissioni dispone di dieci punti di merito. La commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori, con annotazione immediata del voto deliberato in calce all’elaborato. Con la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 247 del 2012 , il legislatore ha riformato in toto l’ordinamento della professione forense, novellando anche la disciplina dell’esame di abilitazione. L’ art. 46, comma 5 , della legge del 2012 pone in capo alla commissione uno specifico onere motivazionale , innovando in tal senso il precedente assetto normativo e stabilendo che la commissione medesima annoti “ le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti ”. Tuttavia, l’applicabilità della nuova disciplina, ivi compreso, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, il disposto rafforzamento dell’obbligo motivazionale, è stata differita dal successivo art. 49 fino al corrente anno. Nelle more, il Legislatore, oltre ad avere rinviato anno dopo anno l’applicabilità delle nuove modalità d’esame, ha introdotto disposizioni ad hoc per lo svolgimento delle differenti sessioni annuali, ma il problema della consistenza da dare alla motivazione è rimasto e anzi si è aggravato. E’ sufficiente o meno il voto numerico nei giudizi espressi dalla commissione esaminatrice? Il tema è stato vagliato negli anni sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella costituzionale. Il Giudice delle leggi, in un primo tempo, con la sentenza n. 28/2006 , ha dichiarato inammissibili le questioni di illegittimità delle norme del vecchio ordinamento forense, nella parte in cui avrebbero consentito la formulazione di una motivazione solo numerica per l’attribuzione del voto alle prove di esame per l’abilitazione alla professione forense. La Corte ha ritenuto che all’epoca la giurisprudenza amministrativa fornisse un panorama articolato di possibili soluzioni interpretative (tra cui anche la tesi dell’apprezzabilità caso per caso della sufficienza e idoneità del punteggio numerico), e che dunque non sarebbe stato corretto, da parte sua, dare l’avallo “a favore di una determinata interpretazione della norma”. Pochi anni dopo, con la sentenza n. 20/2009 , la Corte costituzionale ha preso atto dell’evoluzione della giurisprudenza amministrativa ed ha riconosciuto che la tesi della sufficienza del voto solo numerico si era consolidata, costituendo ormai un vero e proprio “diritto vivente”. La questione, pur ritenuta ammissibile, venne però respinta nel merito, in quanto i parametri di costituzionalità denunciati afferivano all’aspetto processuale della tutela, non preclusa di per sé dalla ritenuta sufficienza del voto numerico. Successivamente, la Consulta ha anche precisato che dall’art. 17-bis, comma 2, del r.d. n. 37 del 1934, coordinato con i successivi artt. 23, comma quinto, e 24, primo comma, sarebbe emerso che “il criterio prescelto dal legislatore” per la valutazione delle prove scritte nell'esame di avvocato era in ogni caso quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, e che sarebbe bastata ai fini della legittimità e della congruità della valutazione espressa la mera graduazione del dato numerico stesso. In un passaggio importante, però, la Corte ha altresì evidenziato che la ritenuta adeguatezza motivazionale del solo punteggio numerico risponderebbe alle esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa di cui all’ art. 97, primo comma, della Costituzione , le quali rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove. In altri termini, i criteri di economicità e di efficacia che regolano il procedimento amministrativo in genere giustificherebbero in questo caso la scelta del modulo valutativo adottato dal legislatore. Quando però è sopravvenuta la legge 2012 n. 247, che, come visto, ha imposto l’apposizione di osservazioni positive o negative nei vari punti dell’elaborato a motivazione del voto, è stato subito evidente che il Legislatore aveva adottato un’impostazione innovativa rispetto a quella salvaguardata dalla Corte costituzionale, imponendo un obbligo motivazionale ulteriore rispetto al solo voto numerico. Di tale innovazione non ha evidentemente preso atto l’ Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 7 del 2017 ), la quale, nelle more dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ha ribadito l’inapplicabilità dell’art. 46, comma 5, della l. n. 247/2012, a fronte di una disposizione che ne differisce l’applicazione, con scelta, quella del differimento, ritenuta non irragionevole perché non producente effetti distorsivi sul piano della tutela. E’ stata così ancora una volta confermata la capacità e l’idoneità del voto numerico, attribuito in base a criteri predeterminati, ad esprimere e sintetizzare il giudizio tecnico-discrezionale della commissione senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, atteso che il voto medesimo garantirebbe la trasparenza del giudizio. Sono trascorse le stagioni, e con esse le alterne vicende dell’esame di avvocato (la cui struttura ha ovviamente risentito anche degli effetti della pandemia), fino a quando la sessione dell’anno 2023 , disciplinata da una norma ad hoc ( art. 4-quater del d.l. n. 51 del 2023 ), ha addirittura previsto lo svolgimento di una sola prova scritta (oltre ad un esame orale in caso di superamento della prima), per la cui valutazione ognuno dei tre componenti della sottocommissione avrebbe avuto a disposizione dieci punti di merito, senza ovviamente specificare alcun particolare onere motivazionale in capo agli esaminatori. E’ stato lecito a questo punto chiedersi – e così hanno cominciato a fare alcuni Tribunali, sulla spinta dei ricorsi giurisdizionali proposti dai candidati “bocciati” con un semplice numerino – se la particolare situazione di fatto su cui si era basata la Corte costituzionale nel ritenere sufficiente la motivazione meramente numerica sia adesso cambiata. Tanto per dirne una, la contrazione nel tempo del numero dei candidati e delle prove da correggere ha determinato il necessario contenimento dei tempi di correzione. Ad esempio, proprio nella sessione dell’anno 2023 hanno partecipato un numero di candidati molto minore rispetto alle precedenti (9.703 aspiranti avvocati a fronte di 27.451 partecipanti alla sessione del 2016, a cui si riferiva la decisione assunta dall’Adunanza Plenaria nel 2017), e questi stessi candidati hanno dovuto redigere un solo elaborato scritto, a fronte delle tre prove previste dalle sessioni svoltesi sino al 2019. E’ dunque ancora possibile sostenere, nell’attuale contesto, che la finalità di garantire il buon andamento dell’azione amministrativa renda inesigibile la formulazione da parte della Commissione di una motivazione ulteriore rispetto al solo punteggio ? Altra domanda che è lecito porsi è se la scelta operata dal Legislatore con l’art. 46 della legge n. 47 del 2012 (c.d. motivazione rafforzata), pur non sostanziandosi attualmente nell’obbligo di apposizione di specifiche annotazioni – in conseguenza del reiterato rinvio sull’applicabilità di tale norma – abbia comunque un valore precettivo “indiretto”, orientando le commissioni ad apporre quanto meno dei segni grafici idonei a palesare le parti dell’elaborato ritenute insufficienti o particolarmente meritevoli in relazione ai criteri valutativi dettati dalla normativa di riferimento per ciascuna sessione. Una diversa interpretazione potrebbe invero porre un problema di irragionevolezza della disciplina legislativa che ha imposto il differimento delle nuove norme, anno dopo anno, specie se si considera che, con il passare del tempo, si possono attenuare le ragioni, di regola legate alla necessità di approntare una disciplina attuativa, che suggeriscono di rinviare l’efficacia di una riforma legislativa. Il netto cambiamento del contesto di base in cui è maturata l’esigenza di differimento dell’introduzione della motivazione rafforzata (eccessivo numero di domande dei candidati all’esame) potrebbe infatti indubbiamente fare sorgere un problema di coerenza della disciplina stessa con la ratio che la ispira e con la nuova situazione di fatto. Si potrebbe dunque ipotizzare che l’ulteriore differimento dell’applicabilità della riforma dell’esame di avvocato riguardi soltanto le modalità di correzione degli elaborati scritti indicate dal legislatore del 2012, e non già il più generale obbligo di motivazione rinforzata, che deve oramai ritenersi introdotto nell’ordinamento. L’alternativa sarebbe quella di sollevare questione di legittimità costituzionale, una volta realizzata l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina di rango primario. Sotto questo profilo, il Tribunale amministrativo per la Lombardia, con una recentissima pronuncia, ha ritenuto di potere fornire, rispetto all’ultima legge di proroga, un’interpretazione compatibile con il principio di ragionevolezza desumibile dall’ art. 3 della Costituzione , e ha ritenuto necessario che fin da subito i giudizi espressi dalla commissione d’esame siano supportati da una motivazione ulteriore rispetto a quella solo numerica, motivazione che, seppure non debba necessariamente consistere nell’apposizione di annotazioni, consenta di percepire, secondo modalità rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, le ragioni del giudizio espresso, in modo ulteriore e più specifico rispetto a quanto si realizza con il voto numerico. [1] Con la conseguenza che dovrebbe andare “in soffitta”, nel caso di specie, anche la tesi secondo cui la rigida parametrazione dei criteri di valutazione costituirebbe un sufficiente presupposto per l’adeguatezza della motivazione numerica. E il Consiglio di Stato? Cosa ne pensa il Giudice di appello e insieme di cassazione dei TAR? Proprio in uno dei ricorsi “gemelli” che ha poi portato alla decisione innovativa – si direbbe quasi “rivoluzionaria” - del Tar Milano, l’ordinanza cautelare che ha riformato quella di primo grado ha così scolpito il suo giudizio sul tema: “ (…) contrariamente a quanto assume il Tar, la censura relativa all’attribuzione del solo voto numerico non può ritenersi condivisibile alla luce del costante orientamento del Consiglio di Stato che sulla sufficienza del voto numerico ad esternare adeguatamente le ragioni del giudizio della Commissione di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si è espressa in senso affermativo (cfr. ex multis, sez. III, ord., 28 giugno 2024, n. 2452; id., ord., 29 settembre 2023, n. 3994; id. 12 aprile 2023, n. 3712; id., sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 56) ”. [2] E adesso? Adesso non resta che aspettare che il Consiglio di Stato si pronunci nuovamente sul motivatissimo, ulteriore provvedimento (stavolta non un’ordinanza cautelare, bensì una sentenza) del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia. Staremo a vedere. Nel frattempo, la professione di avvocato, che è già diventata una difficile sfida per i giovani laureati che non vogliono o non possono fare altro, si arricchisce di un ulteriore punto interrogativo proprio ai blocchi di partenza , quando servirebbero più che mai regole chiare, trasparenti e uguali per tutti. [1] TAR per la Lombardia, Milano, sez. III, sent. n. 1170/2025, depositata il 4 aprile 2025. [2] Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza n. 2965/2024.

sul c.d. decreto milleproroghe : DL 27.12.2024 n. 202 - L 21.2.2025 n. 15 (testo coordinato in GU 24.2.25 n. 45), Disposizioni urgenti in materia di termini normativi. - testo del decreto convertito in legge (Guida al diritto 9/2025, 16-30) - guida alla lettura e mappa delle principali novità, a cura di Laura Biarella (Guida al diritto 9/2025, 31-42) in tema di giustizia amministrativa : - Marcello Clarich*, Il Tar Lazio chiude il 2024 in “positivo” ma servono risorse per le sfide future (Guida al diritto 9/2025, 12-15, editoriale). A margine della relazione svolta dal presidente del Tar Lazio, Roberto Politi, in occasione della cerimonia di inaugurazione del nuovo anno giudiziario [*professore ordinario di Diritto amministrativo presso La Sapienza Università di Roma] in tema di responsabilità della PA (giudizio di legittimità e giudizio risarcitorio): - Cons. Stato III 7.2.25 n. 1003, pres. Santoleri, est. Fedullo (Guida al diritto 9/2025, 47): La responsabilità della PA può ritenersi accertata quando, tenuto conto del comportamento degli organi intervenuti nel procedimento, la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato. In altre parole, ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’A., occorre avere riguardo al carattere e al contenuto della regola violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile, ai sensi dell’art. 5 c.p. Da questo inquadramento della fattispecie risarcitoria discende che, a differenza che nel giudizio di legittimità, in cui l’oggetto del sindacato è il provvedimento amministrativo e la sua coerenza col quadro fattuale e giuridico esistente al momento della sua adozione, correttamente ricostruito il primo, ed esattamente interpretato il secondo, nel giudizio risarcitorio oggetto di valutazione è la complessiva condotta dell’Amministrazione, di cui il provvedimento costituisce solo un elemento. Si deve quindi verificare se, nell’esercizio del suo compito di perseguimento primario dell’interesse pubblico, essa non abbia travalicato i limiti basilari entro i quali l’azione autoritativa deve essere contenuta e che fungono da cornice esterna della discrezionalità amministrativa: imiti superati i quali essa cessa di essere riconoscibile come tale ed assume i connotati di una mera attività materiale lesiva degli interessi giuridici dei cittadini, della cui violazione l’A. è chiamata a rispondere sul piano risarcitorio. La diversa natura del giudizio risarcitorio rispetto a quello di legittimità comporta che le qualificazioni del provvedimento impugnato sancite dalla sentenza conclusiva del secondo non condizionano in modo automatico l’accertamento della fattispecie risarcitoria, diversi essendo l’oggetto dei due giudizi e i parametri cui deve ispirarsi il loro svolgimento. Proprio perché l’elemento soggettivo costituisce uno dei tasselli della fattispecie risarcitoria, il giudice, ai fini della sua ricostruzione, è chiamato a prendere in considerazione tutte le circostanze, di fatto e di diritto, caratterizzanti la concreta situazione devoluta alla sua cognizione, come emergenti dal materiale processuale e anche laddove non abbiano costituito oggetto di rituale eccezione di parte interessata. in tema di ambiente (zone speciali di conservazione e impianti eolici): - Cons. Stato IV 7.1.25 n. 68, pres. Lopilato, rel. Gambato Spisani (Guida al diritto 9/2025, 96 T): 1. L'art. 2 del DM 17.10.2007 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella parte in cui per introdurre le misure di conservazione richiede di assicurare la concertazione degli attori economici e sociali del territorio coinvolto, in quanto norma di rango regolamentare e quindi sublegislativo, costituisce una norma eccezionale, introdotta per rimediare all'inerzia manifestata dalle regioni nell'adottare le misure di conservazione necessarie per designare la zona speciale di conservazione (ZSC) e la zona di protezione speciale (ZPS). Detto disposto normativo non si applica pertanto nella regione Piemonte che ha superato detta inerzia con la previsione degli artt. 39 e 40 LR 29.6.2009 n. 19, che prevedono che i SIC si individuino su parere degli enti locali interessati e che si tenga conto delle segnalazioni delle amministrazioni dello Stato, degli enti locali, degli enti di gestione, senza richiedere un coinvolgimento degli operatori economici comunque considerati. 2. È legittimo il divieto imposto dalla giunta regionale alla realizzazione in prossimità di un sito Natura 2000 di importanza comunitaria (SIC), designato anche quale zona speciale di conservazione (ZSC), di impianti eolici di qualsiasi tipologia, inclusi singoli aereogeneratori, fatti salvi gli impianti di autoproduzione con potenza non superiore a 20 kilowatt, avendo l'Amministrazione considerato la stessa fascia di rispetto prevista dal precedente atto di indirizzo al piano energetico regionale e per questa fascia costruito una carta del rischio per gli uccelli in transito con criteri non illogici. Né in senso contrario rileva la circostanza che detto atto di indirizzo non vieti in assoluto di installare impianti eolici nella fascia di rispetto considerata, non potendosi considerare illegittimo l'operato della regione stessa nel momento in cui essa, sulla base di una motivazione congrua, abbia reso questa norma più severa per un sito ben individuato. - (commento di) Davide Ponte, No alla costruzione di impianti eolici vicino a siti d’importanza comunitaria (Guida al diritto 9/2025, 102-108) in materia edilizia (abusi): - Cons. Stato II 27.1.25 n. 590, pres. Forlenza, est. Filippini (Guida al diritto 9/2025, 46-47): In caso di esecuzione di lavori (ulteriori) su un immobile abusivo già oggetto di domanda di condono edilizio, vale il principio di diritto secondo cui le opere ampliative, aggiuntive e modificative sono anch’esse abusive. La misura repressiva costituisce dunque atto dovuto, che non può essere evitata ricorrendo all’assunto per cui, per le opere realizzate, non si rendeva necessario il permesso di costruire o, comunque, le stesse avevano natura pertinenziale. In presenza di una mera istanza di condono è del tutto eccezionale la possibilità di effettuare lavori sul relativo immobile (abusivo): precisamente, è impedita la prosecuzione dei lavori e la modificazione dello stato dei luoghi, se non con l’osservanza delle cautele previste ex lege. E così, quando è pendente una domanda di condono edilizio è inibito al privato-istante apportare modifiche all’immobile che travalicano il limite di quelle c.d. non sostanziali. in tema di concessioni “balneari” (proroga): - TAR Genova 1^, 19.2.25 n. 183, pres. Caruso, est. Felleti e TAR Napoli 7^, 14.1.25 n. 365, pres. Maddalena, est. Caprini (Guida al diritto 9/2025, 47-48): Le sentenze, adeguandosi alla decisione dell’Adunanza plenaria n. 18/ 2021), confermano la necessità di procedure competitive per assegnare aree demaniali, ma danno peso alla possibilità di giungere in modo uniforme al 30 settembre 2027, data individuata dal DL 131/2024 per attuare il sistema delle gare. Le concessioni scadute vanno assegnate in modo competitivo, ma non necessariamente subito per periodi lunghi, perché occorre tener presenti, tra l’altro, le esigenze della pianificazione delle aree demaniali. Nell’ottica di procedure uniformi, entro il settembre 2027, si stempera quindi la rigidità della sentenza del Tar ligure che ritiene non applicabile il DL 131/2024 e il termine posto (settembre 2027) come limite massimo tollerabile per effettuare gare. Pochi giorni dopo la sentenza ligure, la Commissione UE, che aveva innescato la procedura (4778/2231) di infrazione sulle proroghe, ha lanciato infatti un informale segno di distensione, confermando che la procedura di infrazione sulle concessioni demaniali turistiche si chiuderebbe qualora lo Stato riformasse ed avviasse, entro il settembre 2027, le procedure di assegnazione. in materia antitrust : - Corte giust. Ue, Grande sezione, 25.2.25, causa C-233/23 (Guida al diritto 9/2025, 48): È abuso di posizione dominante il no della piattaforma digitale dedicata a ospitare app di terzi se nega l’interoperabilità senza motivare in ordine a rischi per la sicurezza. L’abuso scatta anche quando per far girare le app i terzi non necessitano della piattaforma digitale dell’azienda in posizione dominante, ma attraverso di essa il servizio offerto ha la possibilità di raggiungere maggiore attrattività nei confronti del pubblico. (Al rifiuto è seguita l’ammenda inflitta a Google, colosso digitale, dall’Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato. Google ha impugnato la decisione dinanzi al Consiglio di Stato a cui la Corte UE ha chiarito che il rifiuto anche se la piattaforma non è necessaria all’utilizzo della app può scattare per l’appeal che deriva dalla sua presenza sulla piattaforma caratterizzata dalla sua enorme visibilità sul mercato digitale. L’abuso si realizza anche quando l’impresa richiedente non è fuori dal mercato, ma per la sua assenza dalla piattaforma soffre di un gap anticoncorrenziale. Va valutato cioè se nei fatti il rifiuto ostacoli il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza sul mercato rilevante) in tema di social network (responsabilità di Facebook per i commenti): - Cedu 7.1.25, ric. 1847 (Guida al diritto 9/2025, 48): L’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione non è compatibile con la Convenzione se le autorità nazionali non hanno considerato l’interesse generale della questione controversa; una responsabilità per commenti di altri, considerati diffamatori, non è ammissibile senza un preciso quadro normativo. (Secondo la Cedu, le norme dell’ordinamento nazionale rilevanti non contengono alcuna indicazione circa l’obbligo per il titolare della pagina di un social network di monitorare i messaggi pubblicati da terze parti, né sulle le modalità di un eventuale siffatto controllo. A riprova della carenza di prevedibilità della limitazione, la Cedu evidenzia che ciascuna delle corti nazionali aveva argomentato diversamente la responsabilità del ricorrente per la mancata moderazione di commenti di terzi. Per la Corte di Strasburgo, i giudici nazionali si sono spinti oltre il significato letterale e immediato delle disposizioni invocate per affermare la responsabilità del ricorrente. Le norme applicate dai giudici nazionali non possono considerarsi sufficientemente chiare e dettagliate per mettere al riparo i cittadini da possibili ingerenze delle autorità pubbliche nell’esercizio della libertà di espressione. Tali basi giuridiche non hanno individuato il perimetro e le modalità per l’esercizio da parte del ricorrente della libertà di espressione anche rispetto alla moderazione di contenuti di terzi in modo da garantire il livello di protezione richiesto in una società democratica. La Corte ha così dichiarato la violazione dell’art. 10 della Convenzione anche con riguardo alla condanna per i contenuti di terzi). in tema di farmaci (pubblicità): - Corte giust. Ue 5^, 27.2.25, causa C-517-23 (Guida al diritto 9/2025, 110 solo massima): L'art. 86, par. 1, della direttiva 6.11.2001 n. 83 (2001/83/CE), recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, come modificata dalla direttiva 2011/62/UE, va interpretato nel senso che non rientrano nella nozione di «pubblicità dei medicinali», ai sensi di tale disposizione, azioni pubblicitarie realizzate per l'acquisto di medicinali indeterminati, soggetti a prescrizione medica, sotto forma di sconti e di pagamenti, mentre rientrano in tale nozione azioni pubblicitarie realizzate per l'acquisto di medicinali indeterminati, soggetti a prescrizione medica, mediante omaggi promozionali sotto forma di buoni per il successivo acquisto di medicinali non soggetti a prescrizione. L'art. 34 TFUE e l'art. 3, par. 4, lettera a), della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno non ostano a una normativa nazionale che, al fine di tutelare i consumatori, vieta un'azione pubblicitaria con la quale ai clienti di una farmacia stabilita in un altro Stato membro che inviino la loro prescrizione medica e partecipino a un controllo dei medicinali viene offerto un premio pecuniario, senza che sia possibile conoscere l'importo esatto di tale premio. L'art. 87, par. 3, della direttiva 2001/83, come modificata dalla direttiva 2011/62, non osta a una normativa nazionale che vieta azioni pubblicitarie realizzate per l'acquisto di medicinali indeterminati soggetti a prescrizione medica, mediante omaggi promozionali sotto forma di buoni corrispondenti a una certa somma di denaro o a sconti in percentuale per il successivo acquisto di altri prodotti, quali medicinali non soggetti a prescrizione. - (commento di) Marina Castellaneta, Pubblicità di farmaci senza prescrizione, gli Stati possono porre dei limiti sui messaggi di acquisto (Guida al diritto 9/2025, 110-114) in tema di famiglia (accordi di separazione): - Cass. 2^, 4.2.25 n. 2774 (Guida al diritto 9/2025, 63-64 s.m., annotata da Mario Piselli): Una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali - estranei agli obblighi ex legeriguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti - con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre dei beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità. in tema di locazioni : - Cass. 2^, 4.2.25 n. 2770 (Guida al diritto 9/2025, 50 T): Le norme del regolamento di condominio che impongono divieti di destinazione e altre limitazioni similari all'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva concorrono a integrare la disciplina delle cose comuni dell'edificio, in quanto dirette a impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non si esauriscano nello stretto ambito delle proprietà esclusive: di tal che, in caso di violazione di tali prescrizioni, l'amministratore del condominio, indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico con deliberazione della assemblea, ha, a norma dell'art. 1130 c.c., il potere di farne cessare il relativo abuso e, quindi, la relativa legittimazione processuale. - (commento di) Mario Piselli, Non è generico il divieto di destinare le unità immobiliari a “casa alloggio” (Guida al diritto 9/2025, 55-56). La SC ribadisce che i divieti di destinazione degli immobili costituiscono servitù negative. in tema di professione notarile : - Cass. 3^, 6.2.25 n. 2969 (Guida al diritto 9/2025, 57 T): In tema di responsabilità del notaio, l'espressione "ricevere un atto" contenuta nella legge notarile va intesa nel senso non di accettare materialmente un documento, bensì di indagare la volontà delle parti, interpretarla ed esprimerla in forma giuridica in modo che possa conseguire gli effetti voluti dalle stesse. Ne consegue che in caso di pubblicazione di un testamento olografo, l'atto "ricevuto" dal notaio, è l'atto di pubblicazione, il quale nulla aggiunge alla validità, invalidità o mera convenienza del testamento e/o dell'eventuale legato in esso previsto con riferimento alla posizione dell'erede o del legatario. - (commento di) Eugenio Sacchettini, Azione corretta pubblicare l’olografo che il notaio ha avuto dalla legataria (Guida al diritto 9/2025, 59-62) c.s. Le biblioteche sono farmacie dell'anima (definizione data alle biblioteche dai faraoni nell'antico Egitto)

Trib. Potenza, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 30 settembre 2024, n. 1546, Pres. est. Rosa Maria Verrastro IL CASO E LA DECISIONE La decisione del Tribunale lucano consegue all’azione esperita da una società per azioni nei confronti dell'Azienda Sanitaria Locale di Matera, con la quale è stato chiesto l'accertamento, previa interpretazione degli atti costituenti fonte del rapporto contrattuale tra le parti, dell' inadempimento della convenuta alle obbligazioni assunte in forza della convenzione stipulata tra le parti, con condanna della stessa all'esatto adempimento, ovvero al risarcimento del danno in forma specifica. La società, quindi, ha chiesto che fossero accertati e dichiarati i danni subiti e subendi a causa dell'inadempimento dell'Azienda; in subordine, che fosse accertato e dichiarato, l'arricchimento senza causa a favore della convenuta Azienda, con conseguente condanna della stessa al pagamento del giusto indennizzo per ingiustificato arricchimento. Secondo l’attrice, l'Azienda convenuta, in contrasto con gli atti di gara e con il tenore letterale della stessa convenzione sottoscritta dalle parti nel 2015, avrebbe imposto alla prima di sostenere costi per prestazioni estranee rispetto a quelle a suo carico, come contemplate nelle fonti del rapporto contrattuale; in particolare, l'Amministrazione, in base ad una erronea lettura degli atti di gara, avrebbe ritenuto che alcune prestazioni, e segnatamente il servizio di lavanolo, la pulizia e sanificazione dei locali, lo smaltimento dei rifiuti speciali e la ristorazione per merende in corso di trattamento fossero ricomprese nelle obbligazioni di essa concessionaria e, pertanto, che si trattasse di voci di costo integralmente a suo carico; che essa, pure manifestando formalmente il proprio dissenso, aveva sostenuto dette spese, in modo da consentire l'inizio delle attività, riservando di adire l'autorità giudiziaria a tutela delle proprie ragioni. La società, poi, ha specificato di avere sostenuto ingenti costi, non solo per la materiale erogazione dei predetti servizi, lievitati di anno in anno, ma anche per l'organizzazione di essi all'interno della struttura affidatale in gestione. Si è costituita in giudizio l'Azienda convenuta chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, valorizzando l' art. 2 del disciplinare di gara e l' art. 10 della convenzione stipulata tra le parti , nonché la voce " gestione utenze", inserita nello studio di fattibilità costituente parte integrante degli atti di gara, e fonte ulteriore del contenuto del contratto, l’Amministrazione ha eccepito che tali servizi e connessi costi, nei quali rientravano le prestazioni indicate dalla concessionaria come ulteriori e non previste, dovevano intendersi, invece e come da contratto, a carico del concessionario. Il Tribunale con sentenza non definitiva ha accertato l’inadempimento dell’Amministrazione rimettendo la causa sul ruolo per l’accertamento dei danni subiti dalla ricorrente. In via preliminare, il Tribunale ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario , avendo la controversia ad oggetto la fase attuativa del rapporto tra le parti, con conseguente assenza di profili di discrezionalità amministrativa, e la competenza della Sezione Specializzata in Materia di Impresa, giusta art. 3 comma 2 lett. f) del D.Lgs. 168/2003 , stante la rilevanza comunitaria della procedura di evidenza pubblica prodromica alla stipula della convenzione di affidamento. Nel merito, la questione fondamentale oggetto della controversia concerneva l'interpretazione del contratto in essere tra le parti e le fonti della sua disciplina. All'art. 2 della convenzione si legge che il contratto ha ad oggetto " la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la successiva gestione del Presidio Ospedaliero di Tinchi nei modi e nei termini definiti dal bando di gara ulteriormente integrato secondo la proposta offerta in fase di gara ed approvato con deliberazione aziendale ". Al successivo art. 17, le parti hanno individuato quale fonte di disciplina del rapporto: lo studio di fattibilità, il bando di gara, la relazione sulle caratteristiche dei servizi e della gestione, il progetto preliminare, l'offerta economica comprensiva del piano economico finanziario, l'atto di costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese. In ordine alle obbligazioni a carico del concessionario, ricollegate alla "fase di gestione", il contratto, all'art. 10, ha previsto che il primo fosse tenuto ad eseguire tutte le prestazioni ed i servizi di cui al disciplinare di gara, allegato alla convenzione, tutte richiamate testualmente ed indicate in: a) erogazione di prestazioni dialitiche ed eventuali prestazioni affini non contemplate nella tabella inserita nel corpo dell'articolo 10; b) "servizi accessori", questi individuati in: gestione e manutenzione dell'opera ivi comprese le pertinenze esterne, gestione e manutenzione degli impianti; manutenzione di apparecchi di dialisi; servizio di gestione utenze, servizi amministrativi. Nel medesimo articolo, era specificato che gli obblighi dell'Azienda erano individuati esclusivamente negli atti di gara, incluso il piano finanziario, oltre che nel contratto ed ancora che " il concessionario non potrà in nessun caso sollevare eccezione alcuna in merito all'inadempimento, da parte dell'azienda, di obbligazioni non esplicitamente individuate negli atti innanzi citati ". Il corrispettivo in capo al cessionario è stato individuato, all'art. 4, nella remunerazione delle prestazioni di dialisi rese all'utenza e remunerate a mezzo del sistema di DRG, prevedendosi, inoltre, un canone di concessione determinato in complessivi Euro 7.442.885,10 con durata convenuta in anni 9, a decorrere dalla data di effettiva operatività del Centro Dialisi. La proprietà delle opere è risultata in capo all'Amministrazione (il centro è situato all'interno di un Ospedale) che, con la procedura di evidenza pubblica descritta, ne ha affidato la progettazione e realizzazione, oltre che la gestione economica, al concessionario. Ancora, è risultato che l'Amministrazione convenuta all'art. 2 del bando di Project Financing , indetto ex art. 153 e segg. del D.Lgs. 163/2006 , ha manifestato la propria volontà di affidare ad un concessionario " la progettazione, costruzione e gestione del centro dialisi presso l'Ospedale di Tinchi mediante finanzia di progetto ". Al medesimo art. 2 del bando di gara è stato specificato che si intendevano incluse nella concessione tutte le prestazioni inerenti a "lavori, servizi e forniture come in dettaglio riportate nello studio di fattibilità", con la esclusione del personale tecnico sanitario ed infermieristico. Le prestazioni erano elencate in dettaglio nel medesimo art. 2, trattandosi di prestazioni legate al servizio di emodialisi, ovvero prestazioni di tipo sanitario. L'art. 3 del bando ha esplicitato le condizioni economiche dell'intervento, come tratto dallo studio di fattibilità (anch'esso parte dei documenti di gara e fonte della disciplina convenzionale) e ragguagliato "alla remunerazione decennale del 50 per cento sui ricavi dell'anno 2013 realizzati da ASM per prestazioni di dialisi", calcolati come da tariffario regionale per le varie prestazioni. Alla fine dell'art. 3 è stato specificato che per tutta la durata della concessione il concessionario sarebbe stato remunerato in base alle prestazioni effettivamente rese, applicando i DGR, decurtati dello sconto offerto in fase di gara; gli importi erano indicati nella colonna F inserita nel corpo dell'art. 3. L'offerta economica ed il "piano economico finanziario" presentati dal candidato dovevano indicare, tra l'altro, i "valori della gestione operativa" ovvero i ricavi, i costi operativi, le utenze, le tariffe. Un documento fondamentale, costituente allegato al bando di gara e fonte contrattuale, è lo " studio di fattibilità " commissionato a soggetto esterno dall'Azienda, i cui costi sono stati posti a carico del concessionario, in quanto in esso sono indicati i termini esatti dell'investimento. Il bando di gara richiamava, quanto al contenuto prestazionale, sia nella fase di progettazione e realizzazione delle opere, sia nella fase di gestione dell'attività, lo studio di fattibilità; in questo, le prestazioni a carico del concessionario erano dettagliatamente esplicitate e si riferivano, relativamente alla fase di gestione, alla fornitura e posa in opera di arredi, impianti e materiale di consumo funzionale alla erogazione delle prestazioni di dialisi. Nell'analisi dei costi e ricavi dell'intervento erano indicati, senza alcuna specificazione, quali voci di costo: la "manutenzione impiantistica, il service apparecchiature, il materiale sanitario, le "utenze", il personale tecnico amministrativo il personale sanitario (questo relativamente ad eventuali sostituzioni) altri " costi", questi non specificamente individuati (allegato E ed analisi dei costi). Al paragrafo “C” lo studio descriveva in dettaglio le attrezzature e l'impiantistica che avrebbe dovuto essere fornita e tenuta in esercizio nel corso della gestione, ed elencava " il materiale di consumo", qualificando la fornitura come ulteriore voce di costo. Lo studio di fattibilità conteneva gli elementi essenziali sulla scorta dei quali l'imprenditore avrebbe potuto - e dovuto - valutare il proprio piano di investimento, stimando cioè i ricavi ed i costi della concessione, sia quanto alla costruzione, sia quanto alla successiva gestione dell'opera realizzata (nel conto economico compaiono tra l'altro quali voci di costo le utenze e altre spese non meglio specificate nel corpo del documento). All'ultima pagina, sulla scorta dei dati in precedenza analizzati, erano indicati i flussi finanziari ed i tempi di recupero dell'investimento. Il Tribunale, quindi, ha sottolineato la centralità del documento in questione nella redazione del piano dell'investimento redatto dall'aggiudicatario, presentato in sede di partecipazione. Inoltre, il Giudice ha dato conto del fatto che parte attrice ha anche depositato le FAQ a mezzo delle quali la Stazione Appaltante chiariva i termini del servizio, le fonti della disciplina del rapporto, precisando che " viene richiesta al concorrente la realizzazione dell'immobile, la fornitura delle apparecchiature e degli arredi, gli specifici servizi di manutenzione, la fornitura di materiali di consumo e la gestione amministrativa delle attività sanitarie, necessari per le prestazioni sanitarie nella enucleazione minima di cui all'art. 2 del disciplinare che saranno svolte da personale medico, tecnico sanitario ed infermieristico il quale continuerà ad essere a carico di questa Azienda Sanitaria ". Ciò posto in punto di fatto, il Tribunale ha rammentato, in diritto, che, la norma applicata dall'Amministrazione nella indizione della gara, ovvero l' art. 153 del D.Lgs. 163/2006 , nel testo applicabile ratione temporis (la procedura è stata indetta prima della entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016 ) prevede testualmente e nelle parti di interesse che: " 1. Per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità...inseriti nella programmazione triennale e nell'elenco annuale di cui all'articolo 128, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente finanziabili in tutto o in parte con capitali privati, le amministrazioni aggiudicatrici possono, in alternativa all'affidamento mediante concessione ai sensi dell'articolo 143, affidare una concessione, ponendo a base di gara uno studio di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l'utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. 2. Il bando di gara è pubblicato con le modalità di cui all'articolo 66 ovvero di cui all'articolo 122, secondo l'importo dei lavori, ponendo a base di gara lo studio di fattibilità predisposto dall'amministrazione aggiudicatrice. 2-bis. Lo studio di fattibilità da porre a base di gara È redatto dal personale delle amministrazioni aggiudicatrici in possesso dei requisiti soggettivi necessari per la sua predisposizione in funzione delle diverse professionalità coinvolte nell'approccio multidisciplinare proprio dello studio di fattibilità. 3. Il bando, oltre al contenuto previsto dall'articolo 144, specifica: a) che l'amministrazione aggiudicatrice ha la possibilità di richiedere al promotore prescelto, di cui al comma 10, lettera b), di apportare al progetto preliminare, da questi presentato, le modifiche eventualmente intervenute in fase di approvazione del progetto. 4. Le amministrazioni aggiudicatrici valutano le offerte presentate con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa di cui all'articolo 83. 5. Oltre a quanto previsto dall'articolo 83 per il caso delle concessioni, l'esame delle proposte è esteso agli aspetti relativi alla qualità del progetto preliminare presentato, al valore economico e finanziario del piano e al contenuto della bozza di convenzione. 6. Il bando indica i criteri, secondo l'ordine di importanza loro attribuita, in base ai quali si procede alla valutazione comparativa tra le diverse proposte. 7. Il disciplinare di gara, richiamato espressamente nel bando, indica, in particolare, l'ubicazione e la descrizione dell'intervento da realizzare, la destinazione urbanistica, la consistenza, le tipologie del servizio da gestire, in modo da consentire che le proposte siano presentate secondo presupposti omogenei. 9. Le offerte devono contenere un progetto preliminare, una bozza di convenzione, un piano economico-finanziario asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso ed iscritte nell'elenco generale degli intermediari finanziari nonché la specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione. Il piano economico-finanziario comprende l'importo delle spese sostenute per la predisposizione delle offerte, comprensivo anche dei diritti sulle opere dell'ingegno di cui all' articolo 2578 del codice civile . 11. La stipulazione del contratto di concessione può avvenire solamente a seguito della conclusione, con esito positivo, della procedura di approvazione del progetto preliminare e della accettazione delle modifiche progettuali da parte del promotore, ovvero del diverso concorrente aggiudicatario ". L' art. 143 richiamato, a sua volta, prevede che: " 1. Le stazioni appaltanti affidano le concessioni di lavori pubblici con procedura aperta o ristretta, utilizzando il criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 2. Quale che sia la procedura prescelta, le stazioni appaltanti pubblicano un bando in cui rendono nota l'intenzione di affidare la concessione. 3. I bandi relativi alle concessioni di lavori pubblici contengono gli elementi indicati nel presente codice, le informazioni di cui all'allegato IX B e ogni altra informazione ritenuta utile, secondo il formato dei modelli di formulari adottati dalla Commissione in conformità alla procedura di cui all'articolo 77, paragrafo 2, direttiva 2004/18 ". L'allegato, quanto ai requisiti specifici dei bandi in materia di concessioni, prevede l'obbligatoria indicazione, tra l'altro, di "b) Oggetto della concessione; natura ed entità delle prestazioni". Secondo il Tribunale, dalla formulazione delle norme esaminate emerge chiaramente come nella procedura di project financing sia assolutamente centrale l' assunzione del rischio che l'operatore economico assume, e che permea la causa stessa del contratto. Fondamentale, pertanto, è la conoscibilità di tutti i costi connessi con l'investimento , conoscibilità che si realizza attraverso l'obbligo, in capo alla Stazione Appaltante di indicare, in atti e nello studio di fattibilità, il costo dell'investimento ed i criteri - trasparenti - sui quali l'impresa redigerà il piano economico finanziario. Il Tribunale, quindi, ha rammentato che: " Non basta, allora, che le clausole contrattuali in cui si traduce l'operazione economica congegnata dall'amministrazione comportino il trasferimento del rischio economico al gestore del servizio (nel caso di specie, il rischio di disponibilità), di modo che egli non abbia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi, ma è necessario pure che siano specificati tutti gli oneri economici che concorrono a definire il rischio che l'operatore economico è chiamato ad assumere. In mancanza, non potrà dirsi attendibile l'elaborazione Piano economico finanziario - nel quale l'amministrazione è tenuta a riportare i costi preveduti e i ricavi possibili di modo da prefigurare l'utile conseguibile ovvero, in sintesi, le condizioni di equilibrio economico - finanziario dei servizi. D'altronde, se l'operatore non è posto a conoscenza di tutti gli oneri del servizio che dovrà svolgere, non sarà in condizione di valutare se, per la sua organizzazione di impresa, sia in grado di sostenere il rischio senza incorrere in perdite di attività e la sua offerta risulterà inevitabilmente non attendibile, potendo accadere che sia indotto a rivedere al ribasso la qualità del servizio offerto in corso di rapporto solo per evitare perdite " [1] . Ed ancora, sempre in materia di project financing e concessione è stato affermato che: " se con la procedura in questione normalmente la controprestazione a carico del cessionario consiste i nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente l'opera realizzata, allora egli deve essere in grado di conoscere tutti gli oneri ed i costi legati all'investimento, in base a documenti ed atti che è obbligo dell'Amministrazione di predisporre in maniera chiara e trasparente; da tanto discende che le condizioni, anche di costo, dell'intervento non possono essere modificate a detrimento del concessionario, nel corso del rapporto" [2] . Secondo il Giudice, d'altro canto, la conoscibilità degli elementi di costo diviene più essenziale se si riflette sulla circostanza che il procject financing consiste in una sorta di operazione di finanziamento che vede il coinvolgimento di soggetti privati non solo nella realizzazione e gestione di opere di interesse pubblico, ma anche nel finanziamento dei costi iniziali; costi che sono recuperati a seguito della gestione dell'opera stessa e dello sfruttamento delle attività collegate ad essa. Il vantaggio per le Stazioni appaltanti consiste, per converso, nella possibilità di realizzare opere utili alla collettività, nonostante la notoria carenza di fondi pubblici a tal fine necessari, grazie al coinvolgimento nel progetto di privati che si assumono il rischio dell'iniziativa in forza di una prospettiva di guadagno futuro. Il Tribunale, quindi, nel caso concreto, ha ritenuto che non solo nella documentazione di gara, ma anche nella convenzione non era previsto che gli oneri legati al servizio lavanolo, pulizia e sanificazione locali, smaltimento rifiuti speciali e ristorazione per merende in corso di trattamento fossero a carico del concessionario; non ha ritenuto, per contro, che la voce di costo denominata " gestione utenze " ricomprendesse anche tali voci di costo, normalmente rientrando nella nozione di "utenze" le spese di somministrazioni di energia, gas ed altro collegate con il funzionamento della struttura. Conclusivamente, il Giudice non ha ritenuto fondata l'interpretazione del contratto offerta dall'Amministrazione, sottolineando, comunque, come la stessa, in presenza di un dato testuale che enuclea i costi di gestione (non ricomprendendo le voci aggiuntive), non potesse ritenersi conforme all'accordo formatosi tra le parti in base al bando ed ai suoi allegati ed alla offerta del concessionario corredata dal piano economico finanziario, questo redatto in base allo studio di fattibilità posto a base di gara. Inoltre, l’Amministrazione ha sottolineato che si tratterebbe di una interpretazione contraria al principio di buona fede che costituisce fonte aggiuntiva del rapporto, sia nella fase della conclusione del contratto, che nella fase della sua esecuzione, costituendo canone ermeneutico ex art. 1366 c.c. . A tal proposito, il Tribunale rammenta che, in linea generale, l' art. 1362 c.c. prevede che nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la reale intenzione comune delle parti, valutando il loro comportamento successivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. Nella ricerca della comune intenzione delle parti al momento della conclusione del contratto, lo strumento ermeneutico principale non può che essere costituito dalle espressioni utilizzate dalle stesse [3] . Secondo il Giudice di prime cure, il contratto, stante il suo oggetto, deve essere interpretato facendo applicazione dei principi costituzionali e dunque contemperando l' art. 97 Cost. in tema di buon andamento dell'attività amministrativa ma anche di trasparenza, e l' art. 41 in tema di libertà dell'iniziativa economica privata. Alla luce di quanto precede, quindi, il Tribunale ha accertato la violazione da parte dell’Amministrazione dell’art. 7 della convenzione, che, in tema di "obblighi ed oneri a carico del concedente", prevedeva che il primo si impegnasse a " prestare la propria collaborazione a svolgere le attività di propria competenza al fine di consentire il regolare svolgimento del rapporto concessorio ". Ciò in quanto l'Amministrazione ha ingiustificatamente imposto al concessionario (per il quale l'inizio della gestione economica era essenziale per il rientro dell'investimento) l'erogazione di prestazioni ulteriori, in base ad una interpretazione contraria agli atti di gara, alla specificazione degli obblighi a carico del concessionario previsti in convenzione, oltre che al principio di buona fede . [1] Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2022, n. 2809 . [2] Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2012, n. 3474. [3] Cass. civ., sez. lav., 02 agosto 2002, n.11609; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2002, n. 6953.

Corte giust. Ue 2^, 30.1.25, sentenze emesse nelle cause C-510/23 e C-511/23 / Corte giust. Ue, Sezione Grande, 28.1.25, causa C-253/23 La Corte di Giustizia ha risolto, con differenti pronunce emesse in pari data, una questione di massima che ha collegato due diverse vicende, in materia di sanzioni antitrust . In un primo procedimento, una società che fornisce servizi di traghettamento nello stretto di Messina ha subito un provvedimento sanzionatorio dall'AGCM, a seguito di segnalazione di un consumatore che lamentava i prezzi eccessivamente esosi di tali servizi e chiedeva l'avvio di un'indagine. In particolare, l'Autorità Antistrust italiana ha constatato, sulla base dell'articolo 3 della legge n. 287/90, l'esistenza di un abuso di posizione dominante da parte di tale società a causa dell'imposizione di prezzi eccessivi per il servizio di traghettamento di veicoli nello stretto di Messina, intimandole di cessare tale pratica in futuro e, tenuto conto della gravità dell'infrazione, irrogandole una sanzione pecuniaria pari a quasi quattro milioni di euro. La società sanzionata ha contestato il provvedimento dell'AGCM dell'11 aprile 2022 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, giudice del rinvio, invocando, in particolare, la tardività dell'avvio della fase istruttoria in contraddittorio del procedimento che ha dato luogo a tale provvedimento. In un secondo procedimento, secondo la contestazione formulata dall’Autorità, la società Trenitalia (operando quale professionista ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. b), cod. cons.), nell’offerta del servizio di trasporto passeggeri, avrebbe omesso di rendere evidenti ai consumatori alcune opzioni di viaggio. In particolare, l’utente, procedendo ad una ricerca per l’acquisto dei biglietti ferroviari sul sito internet aziendale, sull’ app dedicata oppure presso le biglietterie automatiche presenti nelle stazioni, non otterrebbe tutte le possibilità di viaggio: nel dettaglio, il sistema di ricerca restituirebbe principalmente le soluzioni con treni a mercato , omettendo le coincidenti soluzioni orarie con treni regionali, maggiormente economiche. Anche in questo caso, a fronte dell'irrogazione di una rilevante sanzione pecuniaria (pari a 5 milioni di euro) per pratica commerciale scorretta , il provvedimento lesivo è stato impugnato dinanzi al Tar per il Lazio, con deduzione, tra le altre doglianze, della violazione dell’ art. 14, legge 24 novembre 1981, n. 689 , avendo l’Autorità avviato il procedimento per l’accertamento dell’illecito consumeristico oltre il termine (perentorio) di novanta giorni previsto dalla citata disposizione, con la conseguente decadenza dal potere di accertare la violazione. Secondo il Giudice eurounitario, investito della questione pregiudiziale dal Tribunale amministrativo italiano, in entrambi i casi, la normativa sovranazionale in materia (in particolare, l’ articolo 4, paragrafo 5, e l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2019/1 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, oltre che gli articoli 11 e 13 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno) ostano a una normativa nazionale che, nell’ambito di un procedimento diretto all’accertamento di una pratica anticoncorrenziale condotto da un’autorità nazionale garante della concorrenza, o comunque nell'ambito di un procedimento diretto all’accertamento di una pratica commerciale sleale: - da un lato, impone di avviare la fase istruttoria in contraddittorio del procedimento entro un termine di 90 giorni dalla conoscenza degli elementi essenziali della violazione (potendo peraltro questi ultimi esaurirsi nella prima segnalazione dell'illecito), mediante la comunicazione degli addebiti all’impresa interessata; - dall’altro, ne sanziona l’inosservanza con l’annullamento integrale del provvedimento finale, nonché con la decadenza dal potere di avviare una nuova procedura d’infrazione riguardante la stessa pratica. La normativa eurounitaria sopra citata deve infatti essere letta alla luce del principio di effettività, mentre l'interpretazione sostenuta dal Consiglio di Stato, secondo cui i procedimenti condotti dall’Agcm in materia di tutela dei consumatori sono soggetti al rispetto del citato art. 14 della L n. 689/81 - in forza del quale l’Autorità, a pena di decadenza dal suo potere sanzionatorio, è tenuta ad avviare la fase istruttoria entro tre mesi -, comporta l'applicazione di un termine che implica un rischio sistemico di impunità e di lesione all’indipendenza dell’autorità garante. Il 31 marzo 2020 una società operante in Germania ha proposto dinanzi al Tribunale del Land di Dortmund, giudice del rinvio, un’ azione collettiva per il risarcimento dei danni contro il Land sulla base dei diritti al risarcimento che le erano stati ceduti da 32 segherie stabilite in Germania, in Belgio e in Lussemburgo. Al Land è stato contestato di avere uniformato, quantomeno nel periodo compreso tra il 28 giugno 2005 e il 30 giugno 2019, i prezzi dei tronchi di conifere per sé stesso nonché per altri silvicoltori stabiliti in detto Land, in violazione dell’ articolo 101 TFUE ( decisione/intesa restrittiva della concorrenza ). L'Autorità federale garante della concorrenza tedesca ha peraltro indagato su tale prassi e ha adottato, nel 2009, una decisione non definitiva sulla questione . Le segherie interessate hanno conseguentemente provato ad ottenere dal Land, attraverso la società a cui hanno ceduto il proprio diritto ritenuto leso, il risarcimento del danno che ritengono di aver subito per tutta la durata dell’intesa restrittiva a causa del prezzo, asseritamente eccessivo, al quale esse hanno acquistato il legname tondo proveniente da tale Land. Dinanzi al giudice del rinvio, il Land ha contestato sia la fondatezza del ricorso sia la legittimazione ad agire della società acquirente dei crediti risarcitori, anche perché le cessioni dei titoli sarebbero state nulle, ai sensi del diritto nazionale, in quanto l'autorizzazione posseduta dalla società acquirente non le consentirebbe di perseguire il recupero di crediti risultanti da danni causati da una presunta violazione del diritto della concorrenza. Non offrendo dunque il diritto tedesco alcun mezzo di ricorso giurisdizionale equivalente all’azione di recupero collettiva che consentirebbe di garantire l’effettiva attuazione del diritto al risarcimento nelle cause in materia di intese, l’effettività del diritto al risarcimento del danno causato da un’intesa restrittiva non sarebbe garantita, in particolare, per quanto attiene ai danni di lieve entità riguardanti un numero elevato di soggetti danneggiati. Infatti, in una simile ipotesi, l’importo individuale del danno sarebbe talmente lieve da indurre i singoli a rinunciare a far valere il diritto al risarcimento conferito loro dal diritto dell’Unione. La Corte di Giustizia si è pronunciata nel senso che, in caso di diritto al risarcimento del danno causato da un’intesa anticoncorrenziale, può costituire violazione del diritto Ue una normativa nazionale che impedisca un’azione di recupero collettiva. La violazione si realizza sicuramente quando la mancata previsione in un dato settore di un’altra azione collettiva che raggruppi le pretese individuali dei soggetti danneggiati si accompagni alla circostanza che l’esercizio di un’ azione individuale per il risarcimento del danno si riveli impossibile o eccessivamente difficile , con violazione, di conseguenza, del principio di effettività dei rimedi giurisdizionali . D'altra parte, il diritto UE conferisce a tutti i soggetti danneggiati da una violazione del diritto della concorrenza il diritto di chiedere il pieno risarcimento del danno. Un’azione per il risarcimento del danno può essere proposta sia direttamente dalla persona che beneficia di tale diritto, sia da un terzo al quale tale diritto è stato ceduto. Tuttavia, il diritto dell’Unione non definisce le modalità di esercizio: spetta, quindi, a ciascuno Stato membro stabilirle nel rispetto del principio di effettività e il giudice nazionale è tenuto a verificare se l’interpretazione del diritto interno che vieta il risarcimento dei danni causati da un’intesa attraverso un’azione collettiva soddisfi il requisito di effettività.

in tema di contratti pubblici (equo compenso): - Antonino Ripepi (a cura di), Equo compenso e contratti pubblici: una relazione in divenire (Giurispr. it. 2/2025, 431-437). Il contratto giurisprudenziale sul rapporto tra L 49/2023 e DLg 36/2023: separazione o compatibilità? in tema di affidamenti in house (servizio idrico integrato): - Cass. SSUU 8.7.24 n. 18623 (Giurispr. it. 2/2025, 385 T): Il servizio idrico integrato può essere affidato dall’autorità d’ambito competente ad una società in house purché l’assetto organizzativo di detto gestore rispetti i requisiti richiesti per il controllo analogo congiunto da parte di tutti gli enti locali ricompresi nell’Autorità d’ambito e per l’attività prevalente. Ai fini del controllo analogo congiunto non è tuttavia necessario che tutti gli enti locali detengano una quota di partecipazione nella società in house. Ciò che rileva è che il controllo analogo congiunto sia assicurato dall’esterno della società, attraverso gli organi dell’ente d’ambito, ai quali devono partecipare tutti i Comuni compresi nell’ambito stesso, anche se non partecipano al capitale sociale della società. Quanto al requisito dello svolgimento da parte del soggetto affidatario dell’attività prevalente a vantaggio dell’amministrazione aggiudicatrice o delle amministrazioni aggiudicatrici che lo controllano, nel caso nel caso di controllo analogo congiunto, esso si considera soddisfatto laddove l’impresa eserciti la parte essenziale delle proprie attività con tali enti complessivamente considerati e non con l’uno o con l’altro dei medesimi. - (commento di) Sara Richetto, Affidamenti in-house e controllo analogo congiunto da parte degli enti affidanti (Giurispr. it. 2/2025, 386-391) in tema di affidamenti in house (trasporto pubblico locale): - Cons. Stato VI, 10.12.24 n. 9928 (ordinanza), pres. Montedoro, rel. Vitale, (Giurispr. it. 2/2025, 254-6): Vanno rimessi alla Corte di giustizia Ue: due quesiti pregiudiziali circa i rapporti fra il tema degli affidamenti in house e l’ambito del Trasporto Pubblico Locale (TPL), secondo il Regolamento (CE) n. 1370/2007: (a) se sia possibile procedere all’affidamento diretto in house anche senza trasferimento del rischio operativo sostanziale; (b) se sia possibile procedere all’affidamento in house anche senza una motivazione rafforzata sul “fallimento del mercato” e il vantaggio comparativo connesso alla scelta del modello di delegazione interorganica. in tema di appalti (revoca): - Cons. Stato V 13.9.24 n. 7571, pres. Lotti, est. Caminiti (Giurispr. it. 2/2025, 391 s.m.): 1. Il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 32, 3º comma, DLg 50/2016 per la sottoscrizione del contratto non è rimesso alla totale disponibilità dell’Amministrazione, altrimenti finendo per vincolare sine die l’affidatario alla sottoscrizione e così snaturando la ratio della norma, che mira a presidiare anche l’interesse dell’impresa nell’organizzazione dei propri processi produttivi. 2. I principi di risultato e di fiducia, seppur positivizzati solo dagli artt. 1 e 2 DLg 36/2023, sono riferibili anche a fattispecie soggette alla normativa pregressa, perché immanenti nell’ordinamento e tra loro avvinti inestricabilmente. - (nota di) Ignazio Pagani, Revoca d’appalto per mancata copertura e lesione dei principi di risultato e fiducia (Giurispr. it. 2/2025, 392-4) in tema di accesso : - Cons. Stato IV 25.11.24 n. 9470, pres. Neri, est. Conforti (Giurispr. it. 2/2025, 257-8): Vi sono ipotesi in cui le domande di accesso (nelle diverse forme dell’accesso documentale, dell’accesso civico generalizzato e dell’accesso alle informazioni ambientali) risultano talmente sproporzionate e “massive” da non risultare più ragionevolmente finalizzate alla tutela di specifiche situazioni giuridiche, travalicando i limiti dell’abuso del diritto. in materia edilizia (confisca): - Corte cost. 3.10.24 n. 160, pres. Barbera, est. Navarretta (Giurispr. it. 2/2025, 379 solo massima): L’art. 7, 3º comma, L 47/ 1985 è incostituzionale, per violazione degli artt. 3, 24 e 42 Cost. (irragionevolezza e sproporzionata lesione del diritto di proprietà e di difesa del creditore ipotecario), nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire. In via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 L 87/1953, è incostituzionale l’art. 31, 3º comma, primo e secondo periodo, DPR 380/ 2001, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione. - (commento di) Mario Esposito, Confisca edilizia e caducazione dell’ipoteca: un caso di eccesso di potere interpretativo (Giurispr. it. 2/2025, 379-385) in tema di giurisdizione (responsabilità della PA): - Cons. Stato IV 25.11.24 n. 9467, pres. Neri, est. Santise (Giurispr. it. 2/2025, 259-260): Spettano alla giurisdizione del GA (e non a quella del GO) le controversie risarcitorie nelle quali si faccia questione della responsabilità della PA derivante della lesione del legittimo affidamento ingenerato nei confronti del privato per effetto di un atto amministrativo favorevole ma in seguito rivelatosi illegittimo. Non appare condivisibile l’opposto orientamento delle Sezioni unite (le quali affermano, per le medesime ipotesi, la giurisdizione del GO, atteso che i principi di correttezza e buona fede non inciderebbero - almeno in modo diretto - sull’esercizio del potere amministrativo). in tema di revocazione : - Cons. Stato VII 6.12.24 n. 9773, pres. Contessa, est. Rotondano (Giurispr. it. 2/2025, 256-7): L’omessa pronuncia da parte del giudice su una domanda o un’eccezione espressamente proposta in giudizio dalle parti può concretare un errore di fatto revocatorio ai sensi dell’art. 395 n. 4), c.p.c. (e dell’art. 106 c.p.a.). Tuttavia, per rilevare ai fini revocatori, la questione non delibata deve risultare astrattamente determinante ai fini della decisione e non deve essere stata in alcun modo esaminata (neppure in modo implicito) dal giudice nella sua decisione. in tema di prevenzione antimafia (guida senza patente): - Corte cost. 2.7.24 n. 116, pres. Barbera, est. Amoroso (Giurispr. it. 2/2025, 395 s.m.): L’art. 73 DLg 6.9.2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della L. 13 agosto 2010, n. 136), è incostituzionale, per violazione dei principi di offensività e ragionevolezza, nella parte in cui prevede come reato la condotta di colui che – sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, ma senza che per tale ragione gli sia stata revocata la patente di guida – si ponga alla guida di un veicolo dopo che il titolo abilitativo gli sia stato revocato o sospeso a causa di precedenti violazioni di disposizioni del codice della strada - (commento di) Vittorio Cama, Strada facendo: l’ultima tappa della Consulta sulla guida senza patente del prevenuto (Giurispr. it. 2/2025, 395-403) in tema di famiglia (convivenza more uxorio): - Cass. 1^, 2.1.25 n. 28 (Giurispr. it. 2/2025, 278 T): Le unioni di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, che trova tutela nell’art. 2 Cost., e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso e che possono configurarsi, avuto riguardo alle specificità del caso concreto, come adempimento di un’obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c., ove siano ricorrenti gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità e adeguatezza. Il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto trova rispondenza nel mutato contesto valoriale di riferimento e si pone in lineare rapporto con la valutazione corrente nella società, stante l’affermazione, progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia. - (commento di) Luigi Balestra, Cessazione della convivenza more uxorio, doveri morali e obbligazioni naturali (Giurispr. it. 2/2025, 279-282) in tema di obbligazioni (cessione del credito): - Cass. 2^ 29.3.24 n. 8579 (Giurispr. it. 2/2025, 288 s.m.): In caso di inadempimento del debitore ceduto, l’azione di risoluzione non spetta al cessionario del credito sebbene al cedente in quanto titolare del negozio costitutivo del diritto trasferito. - (commento critico di) Luca Crotti, La spettanza dell’azione di risoluzione per inadempimento post cessione del credito (Giurispr. it. 2/2025, 288-291) in tema di trasporto aereo : - Corte giust. Ue 9^, 16.5.24, causa C-405/23 (Giurispr. it. 2/2025, 271 solo massima): La carenza di personale addetto alle operazioni di carico dei bagagli negli aerei può configurare una “circostanza eccezionale2 ai sensi dell’art. 5, par. 3, Reg. CE 261/ 2004, tuttavia spetta al vettore che opera il volo soggetto a ritardo dimostrare che tale circostanza non si sarebbe comunque potuta evitare anche se avesse adottato tutte le misure del caso e che ha attuato rimedi adeguati alla situazione in grado di ovviare alle conseguenze della medesima circostanza. - (commento di) Valerio Brizzolari, Volo aereo in ritardo e carenza di personale addetto ai bagagli (Giurispr. it. 2/2025, 271-278) in tema di ricusazione (incompatibilità del giudice per “precognizione” della res iudicanda) - Cass. SSUU 10.4.24 n. 9611 (Giurispr. it. 2/2025, 312 T): Nel procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., come disciplinato dal DLg 149/2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, 1° comma, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa. - (commento di) Camilla Scalvini, L’autore della proposta ex art. 380-bis c.p.c. può partecipare alla decisione del ricorso (Giurispr. it. 2/2025, 314-322) in tema di overruling (penale): - Cass. Pen. 6^, 26.3-16.7.24 n. 28594 (Giurispr. it. 2/2025, 403 s.m.): Costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza in malam partem, nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici, che inducessero a prevedere che, in futuro, le stesse Sezioni unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo. - (commento di) Vincenzo Maiello, L’overruling sfavorevole tra tipo e colpevolezza (Giurispr. it. 2/2025, 403-409) in tema di AI (intelligenza artificiale): - Enrico Gabrielli e Ugo Ruffolo (a cura di), AI Act: gli effetti settoriali (Giurispr. it. 2/2025, 438-468) --- Artificial Intelligence Act e AI generativa, di Ugo Ruffolo (438) --- La decisione giudiziaria nell’AI Act, di Antonio Punzi (448) --- L’AI Act: gestione del rischio e tutela dei diritti, di Cesare Pinelli (452) --- IA e consenso informato: reciproci condizionamenti e implicazioni giuridiche, di Carlotta De Menech (457) --- La tutela del consumatore “profilato”: obblighi informativi e asimmetrie negoziali, di Andrea Amidei (461) c.s. Guerre e pace - Odia la contesa, odia la tracotanza (Periandro di Corinto, VII-VI sec. a. C.) - "Cosa si può fare per promuovere la pace nel mondo?" "Vai a casa e rispetta chi hai vicino. Dialogando" (Madre Teresa di Calcutta) - La pace inizia con un sorriso, anche a chi non vuoi sorridere (Madre Teresa di Calcutta) - Quando tace la storia grida la geografia. Se si dimenticano le lezioni della storia, la geografia trasforma i confini in trincee (Mons. Giulio Dellavite, nel Giorno della Memoria, a proposito dei 60 conflitti dichiarati, in corso nel mondo) - Chi sogna la pace chiudendo le caserme si prepari alla guerra (Gabriele Barberis, giornalista)

La diplomazia onoraria si configura quale istituto peculiare nell’ambito delle relazioni internazionali, assumendo un ruolo di supporto complementare alla diplomazia di carriera e contribuendo significativamente alla rappresentanza, all’assistenza consolare e alla promozione degli interessi strategici di uno Stato all’estero. Essa si colloca in una dimensione ibrida, a metà strada tra la rappresentanza ufficiale e la funzione di collegamento con le realtà locali, risultando di cruciale importanza soprattutto in contesti geopolitici caratterizzati da una presenza consolare frammentata o limitata. La regolamentazione della diplomazia onoraria si inscrive nell’alveo del diritto internazionale convenzionale e consuetudinario, trovando il proprio fondamento nella Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963 , che disciplina con precisione l’assetto normativo e giuridico delle funzioni consolari, attribuendo ai consoli onorari prerogative e immunità significativamente ridotte rispetto ai diplomatici di carriera. Nella sua storicità, continua a rappresentare un ambito molto peculiare e di grande rilievo nel panorama delle relazioni internazionali , posizionandosi tra la diplomazia ufficiale e le esigenze pragmatiche dei rapporti bilaterali fra Stati. Sebbene la disciplina giuridica e normativa di tale istituto risieda principalmente nella Convenzione di Vienna sopra citata, numerosi aspetti sollevano questioni di particolare importanza in termini di legittimità, praticabilità e necessità di aggiornamento normativo. L’istituto della diplomazia onoraria si radica in una lunga tradizione storica che risale a tempi in cui la diplomazia ufficiale era limitata nella sua capacità di proiettarsi oltre i confini nazionali. I consoli onorari, originariamente figura di rappresentanza limitata a funzioni di natura commerciale o amministrativa, si sono evoluti nel tempo in attori con un ruolo che va oltre la mera assistenza ai propri connazionali. La funzione di rappresentanza, che inizialmente era circoscritta a contesti commerciali, ha progressivamente abbracciato anche la diplomazia culturale, il rafforzamento delle relazioni economiche e, negli ultimi decenni, il soft power come strumento di proiezione della politica estera. Storicamente, la diplomazia onoraria è nata come risposta alle esigenze pratiche degli Stati di mantenere una presenza minima ma efficace nei territori esteri, laddove le risorse per inviare diplomatici di carriera o aprire consolati permanenti erano limitate. In un contesto geopolitico di costante mutamento, la figura del console onorario ha quindi cominciato a ricoprire funzioni più ampie, espandendosi verso la tutela degli interessi nazionali e la promozione di iniziative culturali e commerciali. Il fondamento normativo della diplomazia onoraria, come detto, si trova principalmente nella Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, che stabilisce i diritti e i doveri dei consoli e definisce le prerogative dei consoli onorari, e fissa i principi generali che guidano le loro attività, stabilendo una netta distinzione tra costoro e i consoli di carriera. In particolare, l' articolo 71 della Convenzione di Vienna stabilisce che i consoli onorari godono di una limitata immunità rispetto alle funzioni svolte, esclusivamente nelle operazioni ufficiali legate alla funzione consolare, ma non per le attività personali. Ciò implica che i consoli onorari, sebbene godano di una certa protezione diplomatica in caso di conflitti legali derivanti dalle loro funzioni, non sono soggetti agli stessi privilegi e immunità di un diplomatico di carriera. Nonostante le limitazioni, essi sono tutelati nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali e non possono essere arrestati o sottoposti a procedimenti giuridici senza il consenso del Governo che li ha designati, se non in circostanze eccezionali. Tuttavia, il trattamento giuridico dei consoli onorari presenta delle differenze significative da Stato a Stato. La mancanza di un quadro normativo globale vincolante ha dato luogo a una molteplicità di prassi applicative che variano in funzione della legislazione nazionale, creando così disparità e incertezze giuridiche. Mentre alcuni Stati conferiscono ai consoli onorari un ampio ventaglio di prerogative, altri sono più restrittivi e limitano l’estensione delle loro funzioni. Pertanto, il diritto internazionale convenzionale e consuetudinario, pur avendo definito il quadro generale delle relazioni consolari, non ha mai fornito una codifica completa della diplomazia onoraria, lasciando ampio margine di discrezionalità agli Stati nel suo esercizio. Tra le prerogative giuridiche dei consoli onorari rientrano la protezione dei propri connazionali e l’assistenza consolare, ma vi sono in linea generale limitazioni evidenti, come detto, sia nell’immunità giuridica che nell’esenzione da imposte o da altre obbligazioni fiscali, che generalmente non si applicano ai consoli onorari. Inoltre, la possibilità per i consoli onorari di esercitare funzioni ufficiali, come l'emissione di visti o la stipula di trattati, è strettamente limitata dalle leggi dello Stato ospitante e dalla prassi internazionale. Un altro aspetto cruciale riguarda la nomina e l’accreditamento dei consoli onorari . Sebbene gli Stati godano di una piena libertà nella scelta dei propri rappresentanti onorari, tale nomina è soggetta a controllo e approvazione da parte dello Stato ospitante, che può rifiutare la designazione di un console onorario se lo ritiene inadeguato o incompatibile con gli interessi locali. E' pacifico il diritto sovrano degli Stati di stabilire le proprie politiche in materia di rappresentanza diplomatica, a condizione che queste non violino i principi fondamentali del diritto internazionale, come il principio di non ingerenza e la protezione dei diritti dei cittadini. Il concetto di soft power ha trovato una straordinaria applicazione nel contesto della diplomazia onoraria. A differenza dell' hard power , che si basa su strumenti coercitivi come il potere militare o economico, il soft power fa leva su risorse non coercitive, come la cultura, i valori, l’immagine internazionale e la diplomazia pubblica. In questo scenario, i consoli onorari svolgono un ruolo cruciale come ambasciatori della cultura e della politica del loro paese. Essi facilitano la costruzione di reti internazionali di influenze che si traducono in vantaggi economici, culturali e politici per il paese che rappresentano. I consoli onorari, infatti, agiscono come moltiplicatori di relazioni, creando un ambiente favorevole per le esportazioni, per l’attrazione di investimenti stranieri e per la promozione delle relazioni culturali. Il loro ruolo si estende a settori che spaziano dall'arte e dalla scienza, fino alle politiche commerciali ed economiche. In questo contesto, l’attività consolare onoraria diventa un importante strumento per l’esercizio del soft power , in quanto il console onorario non è solo un intermediario, ma spesso un leader di opinione che aiuta a consolidare la proiezione dell’immagine di un paese. Il soft power si esplica in una molteplicità di forme, tra cui: -diplomazia culturale, che si realizza attraverso scambi culturali, mostre, eventi artistici e accademici; -diplomazia economica, che mira alla promozione di investimenti, scambi commerciali e partenariati strategici tra Paesi; -diplomazia scientifica e tecnologica, che promuove la cooperazione internazionale in ambiti di ricerca e sviluppo; -diplomazia pubblica, che coinvolge il rafforzamento della comunicazione tra Paesi e tra cittadini dei vari Stati. In tale contesto, i consoli onorari, pur operando in una posizione non ufficiale, si trovano ad essere attori chiave nel facilitare le relazioni internazionali. Grazie alla loro conoscenza delle realtà locali e alla loro capacità di costruire ponti tra le istituzioni del loro Paese d'origine e quelle del Paese ospitante, i consoli onorari sono tra i principali promotori di politiche di soft diplomacy . Il concetto di soft diplomacy diventa cruciale per i consoli onorari, che, pur non godendo dello status ufficiale di diplomatici di carriera, svolgono una funzione che si inserisce perfettamente in questo ambito. La diplomazia onoraria, infatti, è frequentemente orientata alla promozione pacifica degli interessi nazionali, all'intensificazione delle relazioni bilaterali, e al rafforzamento della proiezione culturale di uno Stato all’estero. I consoli onorari, pur operando in un contesto informale, sono i rappresentanti ideali per la diffusione dei valori e degli interessi del loro Stato, in quanto inseriti nel tessuto sociale ed economico del Paese ospitante. La loro posizione, che li pone tra il mondo istituzionale e quello economico e culturale, consente loro di svolgere un ruolo fondamentale nel migliorare l’immagine e la reputazione del Paese che rappresentano, facendo leva su una serie di strumenti tipici della soft diplomacy , quali, le iniziative culturali, la facilitazione dei legami economici e commerciali, la promozione delle relazioni scientifiche e accademiche. Poiché la soft diplomacy si fonda su una serie di strumenti e approcci che richiedono una gestione sensibile e articolata delle relazioni internazionali, è di cruciale importanza che i consoli onorari siano adeguatamente formati sulle regole basilari che governano questa particolare forma di diplomazia. Alcuni degli aspetti essenziali che i consoli onorari devono padroneggiare includono l'etica della diplomazia culturale, la capacità di comunicazione strategica, la costruzione e il mantenimento di reti solide di alleanze locali e la p romozione di politiche di cooperazione Internazionale Ma ci può essere soft power senza adeguata conoscenza dell’attività di lobbyng ? In effetti, grazie alla loro conoscenza profonda delle dinamiche politiche ed economiche del paese ospitante, i consoli onorari possono svolgere un ruolo decisivo nella promozione degli interessi economici, commerciali e politici del loro paese. Essi, infatti, agiscono da mediatori tra il settore pubblico e privato, facilitando accordi, negoziati e la creazione di politiche favorevoli agli scambi internazionali. Tuttavia, però, l’attività di lobbying non è regolamentata in maniera uniforme a livello internazionale, il che può generare conflitti di interesse e preoccupazioni circa la trasparenza dell’attività dei consoli onorari. In alcuni casi, i consoli onorari possono essere visti come agenti privilegiati di specifici interessi economici, soprattutto quando provengono da settori strategici o da aziende di rilevanza internazionale. La regolamentazione di queste attività, con l'introduzione di norme etiche e di trasparenza , potrebbe contribuire a evitare il rischio di conflitti di interesse, garantendo che le azioni dei consoli onorari siano sempre orientate al bene pubblico. La frammentazione normativa e l’assenza di un corpus giuridico uniforme che regoli la diplomazia onoraria sollevano interrogativi circa la necessità di un approccio più strutturato e coordinato a livello internazionale. Seppur la Convenzione di Vienna del 1963 rimanga il riferimento principale per la regolamentazione delle funzioni consolari, compresa quella onoraria, la realtà delle pratiche internazionali ha evidenziato l’esigenza di un aggiornamento delle norme, in particolare per quanto riguarda le nuove dinamiche del soft power e della diplomazia pubblica. In quest’ottica, la creazione di linee guida internazionali , sotto l'egida di organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite o l’Unione Europea o altri Organismi internazionali, potrebbe rappresentare un passo importante per garantire una maggiore coerenza e uniformità nell’applicazione delle norme riguardanti la diplomazia onoraria. L’introduzione di standard comuni potrebbe contribuire a rafforzare la trasparenza, la responsabilità e l’affidabilità dei consoli onorari, evitando situazioni di opacità che possano minare la loro legittimità. In sintesi, la diplomazia onoraria non può più essere considerata una funzione accessoria, ma deve essere riconosciuta come un elemento fondamentale e complementare alla diplomazia di carriera. La sua importanza cresce in un contesto globale in cui la proiezione di soft power e la promozione di relazioni economiche e culturali sono sempre più determinanti per il successo delle politiche estere degli Stati. L’adozione di un quadro normativo più strutturato a livello internazionale, unitamente a una maggiore regolamentazione delle attività di lobbying e dei public affairs , rappresenta la chiave per rafforzare l’efficacia della diplomazia onoraria e per garantire il rispetto delle norme di buona condotta internazionale. Solo con una normazione adeguata e con una chiara definizione delle sue funzioni, la diplomazia onoraria potrà continuare a contribuire in modo significativo alla costruzione di relazioni internazionali stabili e produttive. Nell'attuale scenario geopolitico globale, caratterizzato da una crescente interconnessione tra Stati, organizzazioni internazionali, enti privati e attori non statali, la capacità di gestire efficacemente le attività di public affairs e di relazioni internazionali istituzionali assume un'importanza strategica fondamentale per il successo delle politiche estere di un paese. Le sfide moderne richiedono non solo competenze diplomatiche tradizionali, ma anche una solida preparazione nella gestione delle relazioni con i diversi attori locali e globali, nell'ambito di un sistema sempre più complesso e multidimensionale. In questo contesto, emerge la necessità di figure professionali altamente qualificate, capaci di interpretare al meglio le dinamiche globali e le specifiche necessità interne degli Stati, integrando i principi di diplomazia tradizionale con le sfide legate al contesto socio-politico ed economico contemporaneo. Le attività di advocacy e lobbying , in particolare, sono centrali nell’interazione con gli altri Stati e con le organizzazioni internazionali, e sono essenziali per la gestione di crisi diplomatiche, l’apertura di nuovi mercati o la promozione di iniziative culturali, politiche e commerciali. In questo contesto, è fondamentale disporre di esperti capaci non solo di rappresentare un Paese nelle sedi internazionali, ma anche di interpretare e mediare tra le esigenze politiche interne e le dinamiche globali. Le figure chiamate a svolgere questa funzione devono essere in grado di analizzare la complessità del contesto, costruire reti di alleanze strategiche e, al contempo, promuovere una visione coerente delle politiche pubbliche estere. La gestione dei public affairs e delle relazioni internazionali istituzionali richiede competenze specialistiche che vanno oltre la semplice conoscenza della politica internazionale. Le figure coinvolte devono possedere una vasta gamma di abilità, tra cui la negotiation skills , la capacità di analisi geopolitica, e un approccio multidisciplinare che le consenta di interagire con una varietà di interlocutori, tra cui governi, imprese, ONG, enti sovranazionali e la società civile. In particolare, risultano fondamentali la conoscenza approfondita delle dinamiche internazionali e il costante aggiornamento sulle evoluzioni delle relazioni internazionali, sullo scenario geopolitico globale e sulle politiche estere dei Paesi con cui sono chiamati a interagire. D'altra parte, la mediazione diplomatica richiede l'abilità di comprendere le esigenze di tutte le parti coinvolte e di trovare soluzioni che tutelino gli interessi dello Stato, ma anche quelli degli altri attori coinvolti nel processo negoziale. Il fatto poi che le attività di public affairs si svolgano in contesti multiculturali implica la conoscenza delle differenze culturali e la capacità di operare in ambienti diversi, con costruzione di reti di alleanze politiche, economiche e culturali che consente di ampliare l’influenza di un Paese e di promuovere le proprie politiche all'interno di contesti internazionali complessi. La capacità di interpretare il ruolo di mediatore in contesti internazionali è cruciale per il successo della diplomazia moderna. In situazioni di interazione tra Stati, organizzazioni internazionali e altri attori non statali, il professionista di public affairs deve possedere la capacità di conciliare posizioni diverse, trovare punti di incontro e ottenere risultati tangibili attraverso negoziati efficaci. Questo processo richiede una profonda comprensione delle priorità strategiche, politiche ed economiche degli altri attori, così come la capacità di adattare le proprie posizioni in modo flessibile, pur mantenendo la coerenza con gli interessi nazionali. Vista la crescente complessità e l’importanza delle attività di public affairs e delle relazioni internazionali istituzionali, la formazione delle figure professionali che operano in questo campo è cruciale, di modo che università e istituzioni accademiche, così come enti di formazione specializzati, sono chiamati a sviluppare curricula che rispondano alle esigenze di un mondo globale sempre più interconnesso e dinamico, in cui alla preparazione in discipline giuridiche, politiche ed economiche si accompagni anche una solida base culturale.

Cons. Stato, VII sez. 29 gennaio 2025, n. 711; Tar Emilia Romagna, sez. II, 14 ottobre 2020, n. 628 IL CASO E LE DUE SENTENZE A CONFRONTO Il caso che è stato esaminato in primo e in secondo grado, con visioni opposte, è relativo all’insediamento di scultori e performers denominato “Mutoid Waste Company” in Sant’Arcangelo di Romagna, dove, sin dall’inizio degli anni ’90, un gruppo di artisti noti a livello internazionale - specializzati nella scultura e nella trasformazione dei rottami e degli scarti - si è stabilito in area demaniale già destinata ad attività estrattiva e lavorazione ghiaie e poi dismessa, creando un parco con esposizione di sculture a cielo aperto; il tutto però in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e senza alcun titolo. Su sollecitazione di un vicino, venivano dunque emesse dal Comune delle ordinanze di demolizione , fra l’altro, di camper, roulottes, pullman, furgoni, container, tettoie, cassoni, abusivamente realizzati. In un secondo momento, il Comune di Sant’Arcangelo di Romagna ha tuttavia riflettuto sul valore artistico del parco e sulla valorizzazione che esso era in grado di offrire ad una zona altrimenti abbandonata. Dunque, per legittimare i manufatti abusivi, acquisiti i pareri favorevoli della Soprintendenza, ha adottato uno specifico Piano Operativo Comunale Tematico (il Parco Artistico Mutonia, “Luogo del contemporaneo”) ed ha revocato le ordinanze di demolizione, vista l’incompatibilità della demolizione e rimessa in pristino con le nuove scelte politico-amministrative. In particolare, con il provvedimento di revoca il Comune, per un verso, dà atto di “ aver emanato legittimamente provvedimenti di demolizione e sgombero, in presenza di un accertamento di violazioni urbanistiche/edilizie ”; per altro verso motiva la revoca in relazione “ ad una volontà politica evolutasi nel tempo e oggi sfociata nell’adozione di uno specifico POC che recupera e ripropone la permanenza in loco della compagnia Mutoid Waste Company; di conseguenza i provvedimenti di demolizione e rimessa in pristino, di per sé incontestabili dal punto di vista giuridico/amministrativo al momento della loro emissione, sono diventati incoerenti od incompatibili con le nuove scelte amministrativo-politiche dell’Amministrazione, dettate da una sopravvenuta valutazione del prevalente interesse pubblico ”. La revoca viene quindi motivata sia come esercizio di jus poenitendi , sia in relazione a scelte politiche nel senso della inopportunità delle demolizioni per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. In primo grado, il Tar Emilia Romagna, sez. II, 14 ottobre 2020, n. 628, ha rigettato il ricorso proposto dal vicino avverso i suddetti atti di “sanatoria” degli abusi, affermando fra l’altro che: “ Nel caso di specie, la disposta revoca non si dirige nei confronti di un provvedimento ad effetti continuativi, ma investe un ordine che non ha ancora esaurito gli effetti tipici che lo connotano, non essendosi ancora realizzati il concreto ripristino dello stato dei luoghi, l’esecuzione d’ufficio ovvero l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale. L’ammissibilità della revoca nel peculiare caso esaminato consente di riportarsi alle condizioni previste dal legislatore, e in particolare ai “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” e alla “nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”, non rinvenendosi un’attribuzione di vantaggi economici (cfr. art. 21-quinques comma 1). Come hanno sostenuto le difese delle parti resistenti, nella fattispecie la scelta di mantenere l’insediamento trae sostegno dalla riconosciuta preminenza dell’interesse pubblico culturale, artistico e paesaggistico, che ha stimolato l’avvio del procedimento di adozione di un POC specifico. E’ assodato che alcun ripensamento dell’amministrazione è ordinariamente ammesso a fronte di un illecito edilizio acclarato, che legittima un’attività repressiva totalmente priva di discrezionalità; tuttavia, il vincolo all’azione amministrativa risulta (eccezionalmente) depotenziato a seguito della concorde valutazione degli Enti preposti alla tutela di interessi pubblici costituzionalmente tutelati". I due pareri favorevoli della Soprintendenza " sono stati espressi dalle amministrazioni istituzionalmente competenti alla protezione dell’ambiente, del paesaggio e dei beni storici e artistici. Le ampie e univoche riflessioni sviluppate – recepite nel POC adottato – hanno reso l’ordinanza di demolizione e remissione in pristino non più in linea con la volontà del competente soggetto pianificatore: quest’ultima è in altri termini divenuta incompatibile con gli effetti tipici del provvedimento repressivo assunto in precedenza. L’evoluzione successiva del processo di programmazione dell’assetto dell’area coinvolta è stata poi coerente con l’input proveniente dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici e dalla Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici. In ogni caso, per quanto attiene all’oggetto del gravame, i significativi elementi di cui si è dato conto (pareri e POC adottato) hanno avallato e legittimato il revirement contestato in questa sede: la revoca risulta in buona sostanza supportata da sufficienti ragioni giustificatrici… ”. In grado di appello, il Consiglio di Stato, VII sez., 29 gennaio 2025, n. 711, ha riformato la sentenza di primo grado. Secondo il Consiglio di Stato: “ È illegittimo il provvedimento di revoca di ordinanze di demolizione di opere abusive che sia motivato con la sopravvenuta valutazione del prevalente interesse pubblico al mantenimento dei manufatti (nella specie, sfociata nella adozione di un piano operativo comunale che consente il recupero) poiché l’ampia discrezionalità del potere di revoca presuppone la natura a sua volta discrezionale del provvedimento di primo grado che, nel caso di ordinanza di demolizione di opere abusive, va esclusa trattandosi di potere vincolato. L’ampia discrezionalità propria dello jus poenitendi non può surrogare l’assenza di discrezionalità del provvedimento repressivo degli abusi edilizi e l’accertata abusività degli interventi edilizi impedisce di dare rilevanza agli elementi sopravvenuti". È dunque “ illegittima la delibera di approvazione del piano operativo comunale tematico (POC) che tenda non tanto alla riqualificazione di fabbricati esistenti, quanto alla sanatoria di opere abusive. Difatti, gli obiettivi del recupero, della rinaturalizzazione e della valorizzazione dell’area, oltre a dover risultare coerenti con la pianificazione sovraordinata (nella specie, con il piano strutturale comunale - PSC e con il piano territoriale di coordinamento provinciale - PTCP), non possono avere ad oggetto insediamenti da demolire in forza di provvedimenti comunali repressivi degli abusi accertati (...) In argomento va anzitutto osservato che la “nuova” valutazione dell’interesse pubblico presuppone un originario, analogo potere valutativo: laddove gli interessi pubblici implicati nella vicenda dedotta sono sottratti ex se alla valutazione discrezionale dell’amministrazione circa la rimessione in pristino già in sede di originaria decisione circa la sorte dei manufatti (trattasi di area demaniale soggetta a vincolo paesaggistico), e dunque a fortiori lo sono in caso di revoca. Proprio l’ampia discrezionalità della revoca invocata dalle parti appellate presuppone la natura a sua volta discrezionale del provvedimento revocando: nel caso di specie quest’ultimo è un’ordinanza che, accertata la natura abusiva delle opere (non smentita neppure in sede di esercizio dell’autotutela), risulta vincolato nel senso della loro eliminazione e della rimessione in pristino del sito (la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in argomento è pacifica e consolidata: ex multis e da ultimo, sez. VI, sentenza n. 6734/2024). Non può dunque essere recuperato in sede di esercizio dell’autotutela il carattere discrezionale inesistente ab origine con riguardo alla specifica tipologica provvedimentale che viene in considerazione: l’ampia discrezionalità propria dello jus poenitendi non può evidentemente surrogare l’assenza di discrezionalità del provvedimento repressivo degli abusi edilizi. Le sopravvenienze allegate dall’amministrazione in sede di motivazione della revoca – in disparte quanto si dirà in relazione alle censure relative al POC - non sono dunque tali da supportarne legittimamente l’adozione: proprio l’aver ribadito la perdurante sussistenza in fatto e in diritto dell’accertata abusività degli interventi edilizi in questione impedisce di dare rilevanza agli elementi sopravvenuti, che peraltro hanno riguardo a scelte politico-amministrative che, a loro volta, devono comunque potersi attuare in un contesto (anche fisico) di piena legittimità (non potendo evidentemente tali scelte legittimare la permanenza sul territorio di insediamenti la cui abusività è stata accertata ed anzi ribadita in sede di esercizio dell’autotutela)… ”. REVOCA DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI, LIMITI E NATURA DEL POTERE ESERCITATO La potestà di revoca degli atti amministrativi è una particolare manifestazione delle potestà generali che l’amministrazione possiede al fine di adeguare permanentemente e congruamente situazioni giuridiche originate da precedenti atti alle sopravvenienze e a quello che è l’interesse pubblico attuale, mediante l’eliminazione con efficacia ex nunc della precedente determinazione. L’amministrazione è infatti chiamata a monitorare (di regola nei rapporti regolati da provvedimenti amministrativi discrezionali con efficacia protratta nel tempo) la costante opportunità dei propri atti e a verificare l’eventuale esistenza di interessi pubblici sopravvenuti che richiedono la privazione di effetti del provvedimento in precedenza adottato, tutto ciò a prescindere dalla presenza di profili patologici dell’atto. Così come l’amministrazione, nei rapporti di durata, è tenuta a verificare costantemente l’incidenza dei fatti sopravvenuti sulle condizioni di appagamento dell’interesse pubblico. Si tratta dunque di un potere – di adeguare costantemente il contenuto dell’atto rispetto all’interesse pubblico perseguito (il quale può variare esso stesso o richiedere un adeguamento dei mezzi in conseguenza di una modificazione della situazione fattuale originaria) – che nel contesto storico attuale, caratterizzato da repentini e imprevedibili sconvolgimenti, si sta rivelando particolarmente efficace e di grande utilità per le pubbliche amministrazioni. E’ un potere di adeguamento dell’assetto giuridico posto in essere dal primo provvedimento alla luce di fatti sopravvenuti che garantisce flessibilità all’azione amministrativa e che non trova rispondenza in omologhi istituti del diritto privato, dove mancano rimedi e strumenti atti a ricalibrare gli accordi contrattuali in presenza di sopravvenienze tali da alterarne l’equilibrio originario (senza che si configuri l’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’ art. 1467 c.c. ). Il potere di revoca non deve però sembrare un privilegio della pubblica amministrazione, in quanto si tratta di una prerogativa consustanziale all’azione amministrativa, la quale deve essere sempre orientata al perseguimento dell’interesse pubblico del momento e deve essere espletata con i mezzi che in un determinato e mutevole contesto si rivelano di volta in volta i più adeguati. Presupposti della revoca in base all’ art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 , sono: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero mutamento della situazione di fatto non prevedibile; b) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario : esercizio dello ius poenitendi che incide fortemente sull’affidamento ingenerato nel privato e che però, in base alla modifica apportata nel 2014, non è ammesso laddove vengano in rilievo provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici; tali provvedimenti non sono dunque più soggetti al mero ripensamento dell’amministrazione. Con riferimento all’oggetto, rimangono fuori dalla revoca gli atti non ancora efficaci, soggetti invece a ritiro , e gli atti con effetti istantanei , cioè quelli non in grado di produrre ancora i propri effetti nel momento in cui la P.A. ne valuta la perdurante operatività, nonché, di regola e salvo quanto si dirà in relazione al caso esaminato (ovvero alle ordinanze di demolizione non ancora eseguite), i provvedimenti vincolati . Con riferimento al tempo, il legislatore non dà elementi in ordine al momento entro il quale, a differenza dell’annullamento, può essere adottato il provvedimento di revoca. Pertanto la revoca in linea di principio è praticabile in ogni tempo. Quanto all’ affidamento del destinatario , a differenza che nell’annullamento d’ufficio, ove si richiede di tener “conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”, esso non costituisce un ostacolo all’adozione della revoca: invero, qualsiasi affidamento privato è destinato a soccombere rispetto alle sopravvenienze di pubblico interesse. L’interesse del privato è tutelato unicamente sul piano patrimoniale attraverso l’ indennizzo . La previsione dell’indennizzo si atteggia infatti a contrappeso dell’ampio potere di revoca ed è sorretto da ragioni di giustizia distributiva e di attenuazione del pregiudizio sofferto dal privato, il quale otterrà un ristoro parziale di natura pecuniaria conseguente ad un atto lecito. Nondimeno, specie nel caso di esercizio dello ius poenitendi , l’esercizio del potere di revoca deve essere adeguatamente motivato in considerazione delle posizioni consolidate in capo al destinatario dell’atto revocando e dell’affidamento ingenerato. Quanto alla natura del potere esercitato , secondo una certa dottrina (v. da ultimo, Clara Napolitano “La revoca: profili di un potere di amministrazione attiva” in www.giustizia-amministrativa.it), il potere di revoca non sarebbe inquadrabile pienamente nell’ambito dell’autotutela, bensì nell’ambito dell’amministrazione attiva, riconoscendovi l’immanenza della funzione di tutela dell’interesse pubblico della quale la p.a. è istituzionalmente investita. Infatti, mentre l’annullamento d’ufficio nella sua veste di presidio della legalità starebbe perdendo i tratti dello strumento d’amministrazione attiva e si starebbe progressivamente avvicinando alla giustizialità (basti pensare, per esempio, ai termini d’operatività sempre più rigorosi – oggi, 12 mesi dall’adozione del provvedimento contra legem – con successivo consolidamento dell’atto illegittimo in caso di mancato esercizio di quel potere); la revoca, viceversa, assumerebbe sempre più i tratti di un provvedimento espressivo della buona amministrazione e dell’attenta capacità valutativa di una p.a. che contempera interessi anche dopo l’adozione di un provvedimento ed esercita il suo potere funzionalizzato per adeguarne il contenuto in occorrenza di sopravvenienze. “ Dunque più che il profilo d’atto di autotutela, nella revoca pare emergerne un altro. Che nulla ha a che vedere con l’attività giustiziale: bensì con una valutazione sorvegliata circa l’opportunità dei propri atti, tale da consentire alla stessa p.a. – stante l’unilateralità del suo potere – d’intervenire ed eliminarne gli effetti, alla ricorrenza di determinati presupposti. Come a dire che con la revoca la p.a. non si “autotutela” in senso tecnico: semplicemente si limita a gestire l’interesse di cui è portatrice, né più né meno di come aveva fatto con il provvedimento originario, veglia sugli interessi pubblici perseguiti in origine e, se questi mutano o richiedono un diverso intervento, interrompe gli effetti del provvedimento che li amministra ” (così la dottrina citata). Non v’è dubbio che queste due differenti letture (giustizialità/amministrazione attiva) comportino altrettanti precipitati: ove si aderisse all’idea che la revoca si identifichi sostanzialmente con un potere modificativo di una prima decisione amministrativa , e dunque che si tratti dell’esercizio della stessa funzione affidata all’autorità amministrativa emanante il primo provvedimento, solamente esercitata in senso inverso, allora l’interesse pubblico che si intende soddisfare con il provvedimento di revoca deve appartenere all’area di interessi propri al settore nel quale è preordinato ad operare l’atto da revocare. Dunque, ad esempio, vi dovrebbe essere corrispondenza fra decisione di far cessare gli effetti di un provvedimento ampliativo e possibilità di denegare quel provvedimento ove venisse richiesto in quello stesso momento. Cioè l’ambito di operatività della potestà di revocare e l’ambito della potestà di adottare/denegare quel medesimo provvedimento ampliativo dovrebbero coincidere. Perciò, venendo al caso esaminato, se il provvedimento originario è di tipo repressivo ed è vincolato (come nel caso di un’ordinanza di demolizione) non v’è spazio per la revoca. Ove invece si optasse per la seconda opzione interpretativa, svincolando il potere di revoca da quello di amministrazione attiva per farlo rientrare nel più generale potere di autotutela , allora la discrezionalità potrebbe allargarsi e lo spettro d’interessi oggetto di valutazione potrebbe essere più ampio e generale, potendo anche non riguardare direttamente la sfera di competenza dell’amministrazione emanante ed attingere a esigenze avvertite da altre amministrazioni, con la prima tuttavia in fatto coordinate. Anche rispetto a provvedimenti di tipo repressivo-ripristinatorio come le ordinanze di demolizione (i cui effetti tipici non si sono ancora completamente realizzati, perché non ancora eseguite, come nel particolare caso in esame) vi potrebbe essere spazio per l’esercizio del potere di revoca, involgendosi un livello d’interessi diverso e superiore. Ebbene, sembra che le due differenti soluzioni date al caso in esame rispettivamente dagli organi di giustizia amministrativa di primo e secondo grado, riflettano tali due differenti concezioni della revoca. Infatti, il T.a.r. Emilia Romagna sembra essersi mosso sulla base della concezione della revoca come autotutela, non ravvisando preclusioni all’esercizio di tale potere discrezionale pur in presenza di un provvedimento in origine vincolato, proprio perché si tratterebbe di due poteri diversi, dei quali, quello di autotutela è più esteso e nella fattispecie non limitato dalla considerazione di interessi di natura strettamente edilizia ma aperto alla considerazione di interessi di natura politico-amministrativa di ampio spettro. Invece, il Consiglio di Stato, si è mosso sulla base della considerazione della revoca come esercizio del medesimo potere di amministrazione attiva espletato con il provvedimento originario, con la conseguenza che se quel potere è in origine vincolato non potrà non esserlo anche in sede di revoca. A parere di chi scrive l’impostazione inizialmente adottata dal T.a.r. sembra garantire una certa flessibilità all’azione amministrativa in modo maggiormente rispondente alla ratio del potere di revoca, permettendo di giungere alla soluzione, più opportuna e giuridicamente accettabile, di consentire il mantenimento del parco artistico una volta che le ordinanze di demolizione (nel frattempo non attuate) non erano più in linea con il nuovo strumento pianificatorio, quest’ultimo adottato dal Comune sulla base di un propria ragionevole scelta di natura politico-amministrativa e sulla base dei pareri positivi della Soprintendenza. Viceversa, la soluzione adottata dal Consiglio di Stato appare frutto di un astratto e soffocante sillogismo avulso dalle circostanze concrete: la revoca non si applica ai provvedimenti vincolati/ le ordinanze di demolizione sono provvedimenti vincolati = la revoca non si applica alle ordinanze di demolizione. Con la conseguenza, invero troppo rigida, per cui il previo esercizio del potere repressivo non sarebbe in alcun modo superabile da una sopravvenuta valutazione del prevalente interesse pubblico culturale, artistico e paesaggistico effettuata dagli organi politici del Comune.
Cass. Civile, Sezione V, 14 febbraio 2025, n. 3625 La sentenza qui segnalata ha inteso chiarire “ talune incertezze insite nell’adattamento all’ambito tributario di un assetto già consolidatosi in quello civilistico ”. In termini generali, la questione degli effetti, sia sostanziali sia processuali, della cancellazione di una società è già stata trattata dalle Sezioni Unite con le note sentenze 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072 , le quali hanno formulato un indirizzo interpretativo – fondato sull’ art. 2495, comma 3, c.c., ove è previsto che “ dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione ” – che la pronuncia in esame ha, in primo luogo, confermato e così ricapitolato: - all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponde il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta ma si determina un fenomeno di tipo successorio , in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa; - sul piano processuale, la cancellazione della società dal registro delle imprese priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, in modo tale che qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo , disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c. con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. che, difatti, richiama il venir meno della parte processuale non solo per morte ma anche per altra causa; - la percezione di somme di liquidazione nelle società di capitali è condizione dell’azione inerente (non alla legittimazione passiva ad causam bensì) all’ interesse ad agire , con la precisazione che la mancata percezione di somme di per sé non esclude l’interesse ad agire del creditore sociale in vista, per esempio, dell’escussione di garanzie o della sopravvenienza di beni destinati a confluire in un regime di contitolarità o comunione indivisa; e vertendosi appunto di condizione dell’azione, in caso di contestazione è il creditore sociale che agisce a dover provare tanto la veste di ex socio del convenuto quanto il presupposto dell’avvenuta percezione di somme. “L’assolutamente prevalente giurisprudenza”, come ha sottolineato la pronuncia in esame, ritiene che “ a seguito dell’estinzione della società, il socio / l’ex-socio è successore per il solo fatto di essere tale e non perché ha ricevuto quote di liquidazione; ed il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponde solo nei limiti di quanto percepito. Ciò si spiega con il fatto che la legittimazione dell’ex socio quale soggetto responsabile per i debiti societari residui è conseguenza del rapporto sociale al quale egli diede volontariamente corso. E anche in campo tributario, in linea con le Sezioni Unite del 2013, è stato escluso che gli ex soci possano ritenersi subentrati nella posizione debitoria solo se hanno riscosso quote di liquidazione e, inoltre, che l’accertamento di tale circostanza costituisca presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della sua legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo" (sentenza n. 9672 del 2018). Nondimeno questo sistema, oramai assodato nel diritto societario, “ non è perfettamente trasponibile nell’ambito dell’accertamento della responsabilità per debiti di imposta ”. Il fulcro dell’autonomia del sistema tributario rispetto all’impianto codicistico si individua nell’ art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 , che disciplina la riscossione delle imposte sul reddito (estesa anche all’Iva e alle altre imposte indirette), e che delinea due diverse ipotesi di responsabilità per debiti di imposta della società : - quella dei liquidatori che non abbiano pagato le imposte del periodo della liquidazione o dei periodi antecedenti, e degli amministratori che abbiano compiuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, operazioni di liquidazione ovvero abbiano occultato attività sociali: si tratta di una responsabilità ex lege , risarcitoria ed illimitata, per fatto proprio ex artt. 1176 e 1218 cod. civ.; - quella dei soci che abbiano ricevuto, nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione, danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori, o abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione: si tratta di una responsabilità di “tipo successorio ex art. 2495 c.c.” e che ingenera in capo al socio l’obbligo di pagamento di un debito della società sul solo presupposto obiettivo, e nei limiti, della percezione di attività sociali in fase di liquidazione (o anche, con previsione ampliativa rispetto alla disciplina civilistica, nelle due annualità d’imposta antecedenti); inoltre, il comma 3 dell’art. 36 fa salve “le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”, con ciò implicitamente ma univocamente richiamandosi alla portata generale dell’art. 2495 c.c. Quest’ultimo tipo di responsabilità per percezione di attività sociali va però accertata con uno specifico avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate da notificare agli ex soci. E consegue a tale doverosità che “ nel giudizio già pendente nei confronti della società non potrà trovare ingresso la questione della avvenuta percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci, tema estraneo alla legittimazione e invece suscettibile di essere dedotto nel (diverso) giudizio che potrà originarsi a seguito della notificazione ai soci stessi di autonomo e distinto atto impositivo, ex art. 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, la cui motivazione dovrà evidentemente farsi carico di questo aspetto quale ragione giuridica e presupposto fattuale della pretesa a essi per la prima volta indirizzata ”. Trattasi, questa della motivazione, di una regola generale, oggi anche sancita dall’ art. 7, comma 5 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992 , ed è pertanto il Fisco - attore in senso sostanziale - che dovrà allegare e provare la responsabilità dei soci nei limiti di quanto da essi percepito. Questi, in conclusione, i principi di diritto affermati: - nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estinta per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui all’art. 2495, comma 3, c.c. integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire; - questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco con la notificazione ai soci, ex artt. 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, di un apposito avviso di accertamento, fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi nel bilancio, siano stati trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie; - la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento a essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito (a causa della cancellazione della società dal registro delle imprese), da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa. La Corte di legittimità ha anche spiegato che le peculiarità del processo tributario , radicate nell’obbligo tributario e nel suo accertamento, giustificano tale disciplina normativa che “ appare per certi versi deteriore per il Fisco rispetto a quella applicabile al creditore, per così dire, di diritto comune, venendo alla fine solo ad esso imposto di far valere ex novo, e non già immediatamente e direttamente nel processo interrotto e riassunto, la responsabilità degli ex soci ”. Tuttavia, visto dal lato del contribuente, il sistema appare conforme alla tutela accordatagli dall’ordinamento in ragione delle caratteristiche pubblicistiche e autoritative proprie dell’obbligo tributario e della relativa fase dell’accertamento. In ogni caso, la notificazione di un nuovo atto di imposizione all’ex socio “ non implica propriamente un ‘ripartire da zero’, ben potendo l’Ufficio con esso spendere il giudicato di effettiva sussistenza del debito tributario della società estinta formatosi, nel contraddittorio con i soci, nel giudizio a esso relativo ”.

Tribunale di Milano, Sezione GIP, Ordinanza di applicazione di misure cautelari personali del 15 febbraio 2025, R.G.G.I.P. n. 35138/23 IL CASO E LE CONDOTTE INCRIMINATE In data 25 marzo 2022, il Comune di Milano ha pubblicato il Bando del Concorso Internazionale di Progettazione in unico grado, con procedura aperta, per la realizzazione della “ Nuova B.E.I.C. ” ( Biblioteca europea di informazione e cultura ), unitamente al documento preliminare alla Progettazione. Oggetto del concorso è stata l’acquisizione di un progetto con livello di approfondimento pari a quello di un progetto di fattibilità tecnica ed economica. Nella seduta pubblica del giorno 11 luglio 2022 è stato proclamato il raggruppamento vincitore della gara, ma la Procura della Repubblica, sulla base di notizie apparse sulla stampa riguardo a prospettazioni di conflitti di interessi nella procedura del concorso, ha avviato indagini in merito a possibili condotte penalmente rilevanti di turbata libertà degli incanti e falso da parte di membri della commissione e di partecipanti alla gara stessa. Ad esito di tale indagini, l’accusa ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza dei reati ipotizzati nei confronti del Presidente della commissione e di altro commissario, per avere turbato la gara tramite la falsa attestazione dell’assenza di posizioni di potenziale conflitto di interesse nella apposita dichiarazione prescritta dal bando, e nei confronti di tre professionisti facenti parte del raggruppamento risultato vincitore, per avere costoro omesso, a loro volta, di segnalare la sussistenza di posizioni di potenziale conflitto di interessi rispetto alla posizione del citato Presidente e commissario. Veniva altresì evidenziata, nell’impianto accusatorio della Procura della Repubblica, la collusione tra membri della commissione e professionisti partecipanti alla gara nel raggruppamento risultato vincitore, per tramite dell’intervento sui commissari da parte del socio di uno studio direttamente coinvolto nella redazione del progetto infine premiato ad esito della gara, tramite ripetuti contatti (prevalentemente via whatsapp ) e violazione della regola dell’anonimato prevista dal bando. Il Gip ha ritenuto fondato il nucleo accusatorio delineato dalla Procura. Con particolare riferimento ai rapporti tra il Presidente della Commissione e la legale rappresentante di una delle società facenti parte del raggruppamento vincitore, è stato valorizzato il consistente rapporto di fatturazione tra la società della seconda (creditrice) e la società di cui era rappresentante legale il primo (debitrice), rapporti che peraltro è stato accertato si iscrivessero in una più ampia relazione professionale, che aveva dato vita a collaborazioni ancora in essere nel corso della procedura di gara. La stabile relazione professionale tra i due studi è stata considerata di per sé rilevante a termini dell' art. 13 del bando , in quanto dava forma proprio alla non consentita situazione di condivisione consistente in una reciproca compenetrazione delle rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico-organizzativo, anche in relazione al versante necessariamente complementare di tali attività (architettura e ingegneria). D'altra parte, il rapporto credito-debito tra i due studi in parola è stato ritenuto costante e oggettivamente significativo, in relazione agli importi singoli e complessivi delle fatture emesse, e non risulterebbe inficiato dal fatto di esistere non già tra professionisti persone fisiche bensì tra le rispettive società, posto che un’interpretazione siffatta frustrerebbe le esigenze di imparzialità e indipendenza presidiate dalla normativa di settore. Il Gip ha pertanto accertato, seppure nella particolare fase del procedimento in cui si è pronunciato, la ricorrenza della peculiare fattispecie di conflitto di interessi di cui all' art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 , in ragione delle " condizioni di condivisione affaristica e di cointeressenza economica " in cui versava il Presidente della Commissione con uno dei professionisti vincitori; trattasi di una posizione che avrebbe potuto essere percepita " come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza ", secondo il testuale disposto di cui all'art. 42 del previgente Codice dei contratti pubblici, e che avrebbe autorizzato il sospetto, all'esterno, di un favoritismo interessato , ad esempio finalizzato ad attenuare in qualche modo la posizione debitoria dello studio appartenente al Presidente della commissione, ma anche nella prospettiva di un ulteriore consolidamento dei legami già esistenti. In definitiva, secondo il Giudice adito, la mancata esternazione del proprio conflitto di interessi da parte del Presidente in occasione dell'autocertificazione resa nel corso del procedimento, avrebbe integrato gli estremi oggettivi e soggettivi del reato rubricato all' art. 496 c.p. . Sempre secondo il GIP, infatti, non solo i due Commissari indagati, in violazione delle regole applicabili al caso di specie, avevano piena contezza dell’identità di alcuni partecipanti alla gara, ma rispetto a tali partecipanti versavano anche in situazioni di conflitto di interesse ; tali situazioni non erano state svelate e dichiarate dagli indagati neanche a seguito dell’abbinamento formale tra i nominativi dei partecipanti e i primi progetti classificati, e cioè quando i riferimenti identificativi dei progettisti erano stati resi noti a tutti. Si sarebbe concretizzato, così, quel mezzo fraudolento che è una delle condotte richieste in alternativa dall’ art. 353 c.p. per ritenere configurabile il reato di turbata libertà degli incanti, posto che, in forza delle disposizioni normative applicabili ai concorsi di progettazione, oltre che in virtù dell’ art. 16 del bando della gara in questione, il regolare andamento della gara stessa non si esaurisce con la proclamazione dei vincitori, in quanto eventuali comportamenti fraudolenti tenuti immediatamente dopo, nell’espletamento dei doveri dichiarativi dei commissari, ha diretta efficacia turbativa, impendendo l’estromissione automatica del concorrente per cui sussiste la causa di incompatibilità, e il conseguente scorrimento della graduatoria. REATO DI TURBATIVA, CONFLITTO DI INTERESSI E DICHIARAZIONI FALSE Il delitto di turbata libertà degli incanti è un delitto di evento a condotta vincolata, posto a protezione dell’interesse della pubblica amministrazione a che le gare si svolgano in libertà e in regime di concorrenza, al fine di garantire l’interesse pubblico di volta in volta sotteso. La condotta può realizzarsi soltanto, alternativamente, con violenza, minaccia, doni o promesse, oppure con collusioni o con mezzi fraudolenti . La “collusione”, in particolare, consiste in ogni accordo clandestino teso ad alterare o a eludere il normale svolgimento della gara e la libera concorrenza tra partecipanti. In tale ambito, è rilevante anche l’accordo collusivo tra il soggetto preposto alla gara ed uno dei partecipanti alla stessa, posto che la circostanza aggravante di cui all’art. 353, comma 2 c.p., riferita al soggetto preposto alla gara per il solo fatto della funzione ricoperta (“ Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall'autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da euro 516 a euro 2.065 ”), ha riguardo a tutte le condotte previste dal primo comma del medesimo articolo. D’altra parte, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che integri il reato di turbata libertà degli incanti la collusione per effetto della quale il preposto alla gara fornisca ad uno dei concorrenti suggerimenti e consigli ai fini della determinazione del contenuto dell’offerta da presentare. Il “mezzo fraudolento”, invece, è costituito da ogni altra attività ingannevole idonea a impedire o turbare la gara, tra cui le condotte di mendacio , che possono consistere sia nella presentazione da parte del concorrente di false attestazioni circa la sussistenza dei presupposti per conseguire l’aggiudicazione, sia attraverso false dichiarazioni provenienti dagli organi addetti alla procedura, non essendo necessario che il mendacio produca un’induzione in errore, pur non essendo probabilmente sufficiente – ai fini della realizzazione della fattispecie – un comportamento meramente omissivo. La condotta deve in ogni caso concorrere alla causazione di un evento, rappresentato, alternativamente, dall’impedimento o dal turbamento della gara o dall’allontanamento degli offerenti . L’impedimento si identifica nella mancata effettuazione o nella sospensione per un tempo apprezzabile della procedura, mentre il turbamento si ha, secondo il prevalente orientamento, in presenza di qualunque modifica delle condizioni di svolgimento della gara, in termini di compressione di libertà o di lesione del principio di libera concorrenza. Sotto questo profilo, l’evento di turbamento può in teoria verificarsi anche quando la condotta fraudolenta o collusiva abbia meramente influito sulla regolare procedura della gara medesima, essendo irrilevante che si produca un’effettiva alterazione dei suoi risultati. D’altra parte si tratta di reato che si configura non solo nel caso di danno compiuto, ma anche nel caso di danno mediato e potenziale ( pericolo ), essendo sufficiente la semplice idoneità degli atti a influenzare l’andamento della gara. Nel caso esaminato dal GIP di Milano ai fini dell’emissione dell’ordinanza in commento, il provvedimento giudiziario si è soffermato in particolare sui delitti di falso che hanno rappresentato la parte della condotta “fraudolenta” di turbata libertà degli incanti tenuta dagli indagati. Tra i mezzi fraudolenti ipotizzati dalla Procura è stata ricompresa e valutata, in particolare, la falsa attestazione di situazioni, anche potenziali, di incompatibilità e conflitto di interessi . Al riguardo, è stato evidenziato che nelle procedure di gara volte alla selezione del progetto migliore ex art. 152 del d.lgs. n. 50 del 2016 - norma vigente all'epoca del bando "incriminato" – vigeva (e vige ancora, secondo quanto stabilito dall'art 46 del nuovo codice dei contratti pubblici, che rinvia, tra l'altro, anche all'art. 82 della direttiva 2014/24/UE) il principio dell'anonimato , ciò che le avvicina più a un concorso pubblico che a una procedura di appalto. Secondo tale principio, i membri della commissione esaminano i piani e i progetti presentati dai candidati in forma anonima, e l’anonimato deve essere rispettato sino al parere o alla decisione della commissione giudicatrice. Accanto a tale regola si pongono alcuni rilevanti precetti in ordine all'accertamento e all'emersione delle singole situazioni di incompatibilità, sia in relazione ai candidati che in relazione ai commissari di gara. Vengono in particolare in rilievo l' art. 77, comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016 , che richiama a sua volta, tra gli altri, gli artt. 51 c.p.c. e 42 del medesimo decreto, il quale a sua volta rinvia anche all’ art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 in materia di astensione dei dipendenti pubblici . La sintesi di tali disposizioni è stata pedissequamente richiamata, con un'ulteriore specificazione, dall' art. 13 del bando di gara in questione, secondo cui, tra l’altro, posto che non avrebbero potuto far parte della commissione giudicatrice coloro che avevano in corso con i datori di lavoro o con i dipendenti dei concorrenti un rapporto di lavoro o altro notorio, “ si intende per rapporto notorio quella situazione di condivisione, anche del medesimo ambiente di lavoro, che abbia dato luogo ad una reciproca compenetrazione delle rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico-organizzativo ”. Pertanto, non avendo i due commissari coinvolti nella vicenda ritenuta illecita da Procura e Gip manifestato né prima - al momento della nomina -, né dopo - al momento della proclamazione -, la loro situazione di concreto o potenziale conflitto di interessi con alcuni dei candidati risultati vincitori, tale dichiarazione negativa, essendo risultata non conforme a verità, è stata ritenuta configurante, sul piano dei gravi indizi di colpevolezza, il reato di cui all'art. 496 c.p.. In particolare, è stato ritenuto sussistente il presupposto della falsa dichiarazione su qualità personali , in quanto anche gli eventuali conflitti di interesse – rilevanti in seno a procedure pubblicistiche – rientrerebbero nel novero delle “qualità personali”, la cui non veridica rappresentazione al pubblico ufficiale destinato a ricevere la dichiarazione è sanzionata dalla cennata disposizione incriminatrice. Al riguardo, l’oggetto di tale dichiarazione doverosa era perimetrato dal contenuto del modulo autocertificativo compilato e sottoscritto dai commissari all’atto della proclamazione (e dunque disvelamento) del raggruppamento vincitore, modulo che richiamava per relazionem il contenuto di quello già in precedenza sottoscritto all’insediamento della commissione, che a sua volta aveva ad oggetto l'assenza delle condizioni di conflitto di interesse di cui all’art. 77 del d.lgs. n. 50 del 2016. Conseguentemente - ciò che rileva quanto meno sul piano dell’elemento oggettivo del reato -, in presenza di tali condizioni di conflitto, le stesse avrebbero dovuto essere dichiarate.

sul danno biologico (la TUN nazionale): DPR 13.1.2025 n. 12 [GU 18.2.25 n. 40, s.o. 4], Regolamento recante la tabella unica del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità tra dieci e cento punti, comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, ai sensi dell'articolo 138, comma 1, lettera b), del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - testo del DPR 12/2025 (Guida al diritto 8/2025, 15-17) sotto il titolo: Macrolesioni: operativa dal 5 marzo la Tabella nazionale a “punto variabile” - Allegato I al DPR 12/2025 - Coefficienti moltiplicatori del punto per il calcolo del danno biologico e morale (Guida al diritto 8/2025, 23-24) [nuova TUN nazionale – macropermanenti - coefficienti di base] - Allegato II al DPR 12/2025 - Tabella unica nazionale del valore da attribuire a ogni singolo punto di invalidità (comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso) (Guida al diritto 8/2025, 25-) [nuova TUN nazionale – macropermanenti - danno biologico in rapporto all’età] - Allegato II al DPR 12/2025 - Tabelle 1-2A-2B- 2C (Guida al diritto 8/2025, 55) [nuova TUN nazionale – macropermanenti – l’autonomia della componente morale] - Tabella con i nuovi importi elaborata in base al DM 16.7.2024 del Ministero delle imprese e del made in Italy (GU 25.7.2024 n. 173), recante “Aggiornamento annuale degli importi per il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti - Anno 2024” (Guida al diritto 8/2025, 20-22, sotto il titolo “Per le lesioni fino al 9% vale il Dm di luglio 2024”) [la nuova TUN nazionale - micropermanenti] - commenti: - Giovanni Comandé*, La Tun diventa diritto vigente, la sfida è la “personalizzazione” (Guida al diritto 8/2025, 12-14, editoriale). Dopo una lunga stagione giurisprudenziale, con il DPR 13.1.2025 n. 12 la Tabella per le c.d. micro-permanenti diventa legge [*ordinario di diritto privato comparato presso l’Università Sant’Anna di Pisa] - Maurizio Hazan e Marco Rodolfi, Calcolo delle liquidazioni più facile con il vademecum degli allegati (Guida al diritto 8/2025, 18-19) [nuova TUN nazionale - istruzioni] - Maurizio Hazan e Marco Rodolfi, Un passaggio verso l’uniformità che chiude l’epoca degli squilibri (Guida al diritto 8/2025, 56-62) [nuova TUN nazionale - le novità. Il DLg 209/2005 poneva le basi programmatiche per realizzare uno schema che regolasse su base nazionale la liquidazione del danno per la compromissione del bene salute. L’approvazione della tabella è una grande (seppur tardiva) conquista di civiltà giuridica, che pone fine a discutibili e annosi campanilismi giurisprudenziali. La chiarezza delle nuove regole liquidative dovrebbe migliorare le relazioni tra l’impresa assicurativa e i danneggiati, assolvendo a finalità di deflazione del contenzioso. In sede processuale il metodo tabellare di legge mira a ridurre il perimetro della discrezionalità valutativa dei giudici. L’esercizio di bilanciamento deve tener conto anche della sostenibilità del sistema assicurativo e dei benefici che quest’ultimo accorda al danneggiato] - Marco Ridolfi, Valori percentuali affini a “Milano” che assicurano importi più omogenei (Guida al diritto 8/2025, 63-73) [nuova TUN nazionale - analisi delle tabelle. La scelta del Legislatore è stata fatta per creare armonia tra il punto 9 (microlesione) e il punto 10 (macrolesione) così da conferire più continuità alla curva risarcitoria. Rispetto alle tabelle milanesi cambia solo la redistribuzione dei valori dei risarcimenti per i singoli punti di invalidità così che gli stessi siano conformi ai criteri della norma primaria. La tabella riduce i margini di discrezionalità nella quantificazione monetaria del danno e diminuisce l’incertezza sui risarcimenti] in materia edilizia (pertinenze): - Cons. Stato VII 21.1.25 n. 402, pres. Franconiero, est. Zeuli (Guida al diritto 8/2025, 78): Quando non risulti autorizzata in situ alcuna opera principale, legittimamente edificata, non possono dirsi sussistenti opere pertinenziali a essa riferite. Ciò che deve sussistere è un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa pertinenziale a un uso servente durevole, sussistendo altresì una dimensione ridotta e modesta del manufatto, rispetto alla cosa principale cui essa inerisce. in tema di concessioni “balneari” : - TAR Liguria 1^, 19.2.25 n. 183, pres. Caruso, est. Felleti (Guida al diritto 8/2025, 78): Sulla base del quadro regolatorio attualmente vigente, in forza delle sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021, recepite dall’art. 3 L 118/2022, le concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, beneficiarie di plurime proroghe ex lege, hanno cessato i loro effetti in data 31 dicembre 2023, sicché le nuove assegnazioni devono avvenire mediante selezioni imparziali e trasparenti tra i potenziali candidati, ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) e dell’art. 49 TFUE. Secondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, l’art. 12, comma 6-sexies, DL 198/2022 - L 14/2023, che ha posticipato al 31 dicembre 2024 la scadenza delle concessioni, va disapplicato per contrasto con la direttiva Bolkestein. Non solo, la disapplicazione investe oggi anche l’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1.1), DL 131/2024 - L 166/2024, che ha differito al 30 settembre 2027 il termine finale di durata dei titoli concessori. [Il Tar boccia il ricorso di tre stabilimenti balneari nel comune di Zoagli, in provincia di Genova, contro la delibera di Giunta che aveva confermato la scadenza delle concessioni al 31 dicembre del 2023, dando il via alle gare previste dalla direttiva Bolkenstein. La proroga delle concessioni fino al 2027 non è valida; né esiste un “accordo” scritto in merito con la Commissione, che comunque non potrebbe prevalere sul diktat della Corte Ue] in materia antitrust : - Corte giust. Ue 5^, 13.2.25, causa C-393/23 (Guida al diritto 8/2025, 104 solo massima) (rinvio pregiudiziale dalla Corte suprema dei Paesi Bassi): L'art. 8, punto 1, del regolamento n. 1215/2012 non osta a che, in caso di domande volte a far sì che una società madre e la sua società figlia siano condannate in solido a risarcire il danno subito a causa della commissione, da parte della società figlia, di un'infrazione alle regole di concorrenza, il giudice del domicilio della società madre investito di tali domande si fondi, per stabilire la propria competenza internazionale, sulla presunzione secondo cui, quando una società madre detiene direttamente o indirettamente la totalità o la quasi totalità del capitale di una società figlia che ha commesso un'infrazione alle regole di concorrenza, essa esercita un'influenza determinante su tale società figlia, purché i convenuti non siano privati della possibilità di avvalersi di indizi probatori che suggeriscano che tale società madre non deteneva direttamente o indirettamente la totalità o la quasi totalità del capitale di detta società figlia oppure che tale presunzione dovrebbe comunque essere confutata. - (commento di) Marina Castellaneta, Violazione della concorrenza, decide il giudice dello Stato della società madre (Guida al diritto 8/2025, 104-107) in tema di energia (imposta su extraprofitti): - Corte cost. 20.2.25 n. 21, pres. Amoroso, red. Antonini - Pitruzzella (Guida al diritto 8/2025, 78): Va rimessa alla Corte di giustizia Ue l’imposta sugli “extraprofitti” varata nel 2022. [La legge 197/2022 ha introdotto una misura equivalente al contributo di solidarietà temporaneo previsto dal Regolamento (UE) 2022/1854, relativo a un intervento di emergenza per far fronte all’impennata dei prezzi dell’energia, con livelli mai raggiunti, registrata tra la fine del 2021 e durante il 2022. Tale Regolamento circoscrive il contributo di solidarietà alle sole imprese o stabili organizzazioni che generano almeno il 75% del loro fatturato da attività economiche nel settore dell’estrazione, della raffinazione del petrolio o della fabbricazione di prodotti di cokeria, lasciando. E lascia gli Stati membri liberi di adottare misure equivalenti. La Consulta osserva che tale legge ha sottoposto a imposizione gli extraprofitti congiunturali di una serie di soggetti non presi in considerazione dal Regolamento. In particolare, i produttori e rivenditori di energia elettrica, i distributori, rivenditori di prodotti petroliferi, i rivenditori di gas metano e gas naturale, coloro che importano energia elettrica, gas naturale, gas metano o prodotti petroliferi e che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione europea. Riservata al merito la valutazione della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate in relazione ai parametri “interni” di cui agli artt. 3 e 53 Cost. la Consulta decide, in via pregiudiziale, di interrogare la Corte di giustizia sulla compatibilità con il diritto dell’UE di tale estensione della platea dei soggetti passivi del contributo, da valutarsi anche alla luce della natura eccezionale del potere esercitato dall’UE, della generale competenza degli Stati membri in materia di imposizione fiscale diretta, delle finalità perseguite dal regolamento, nonché dei margini di attuazione da esso lasciati agli stessi Stati membri e delle peculiarità del contesto energetico nazionale] in materia tributaria : - Cass. trib. 14.2.25 n. 3800 (Guida al diritto 8/2025, 75): L’art. 21-bis Dlgs 74/2000 (introdotto con l’art. 1 DLg 87/2024, poi recepito nell’art. 119 Tu giustizia tributaria), in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, nel processo tributario, ha efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali: «si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio. in materia tributaria (IMU al 50%): - Cass. trib. 19.2.25 n. 4305 (Guida al diritto 8/2025, 75): In tema di Imu, la riduzione della base imponibile nella misura del 50%, che l’art. 13, comma 3, lettera a), DL 6.12.2011 n. 201 - L 22.12.2011 n. 214, riconosce per i fabbricati di interesse storico o artistico soggetti alla “dichiarazione di interesse culturale” ai sensi degli artt. 10 e 13 DLg 22.1.2004 n. 42, non si applica ai fabbricati soggetti alle sole prescrizioni di tutela indiretta ai sensi dell’art. 45 DLg 22.1.2004 n. 42, per la materiale vicinanza o adiacenza a terreni o fabbricati dichiarati di interesse culturale, trattandosi di disposizione insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica per l’eccezionalità dell’agevolazione concessa in relazione al valore culturale dell’immobile. in materia tributaria (ICI su immobili della Chiesa a uso misto): - Corte cost. 20.2.25 n. 20, pres. Amoroso, red. Petitti (Guida al diritto 8/2025, 76): La questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera i), DLg 504/1992, sollevata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte con riferimento al regime ICI - quindi per le annualità anteriori al 2012 - riguardante gli immobili ecclesiastici a “uso misto” (in parte religioso e in parte commerciale), sul presupposto che essa non avrebbe consentito lo «scorporo delle superfici», in base alla loro effettiva destinazione, e che tale omissione, determinando la tassazione anche delle porzioni immobiliari destinate ad attività di culto, avrebbe comportato la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'Accordo di revisione del Concordato lateranense che esclude ogni imposizione tributaria per le attività religiose degli enti ecclesiastici, è inammissibile. (La Corte costituzionale ha giudicato inadeguata la ricostruzione del quadro normativo operata dal rimettente e inesatta l’individuazione del parametro effettuata dal medesimo). c.s. Apriamo le istorie e vedremo che le leggi, che pur sono o dovrebbero essere patti di uomini liberi, non sono state per lo più che lo stromento delle passioni di alcuni pochi, o nate da una fortuita e passeggera necessità (Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, Introduzione)

Con la richiesta di ritorno alla vecchia immunità parlamentare originariamente prevista dall'art. 68 della Costituzione [1] , si chiude idealmente un cerchio che è stato ultimamente tratteggiato da alcune componenti partitiche partendo dall'asserita necessità della politica di riprendere il suo primato. È una lunga marcia che ha preso le sue mosse proprio dall'anno (1993) in cui il Parlamento, scosso dal clamore delle numerose indagini penali su corruzione e tangenti che coinvolgevano importanti esponenti politici, e dalla necessità di tenere a freno un'opinione pubblica esasperata dall'emergere di scandali e privilegi ritenuti inaccettabili, oltre che dalle numerose autorizzazioni a procedere negate nei confronti degli onorevoli , fu costretto ad eliminare parzialmente l'immunità originariamente prevista dall’ art. 68 della Costituzione . Mentre fino a quel momento il singolo parlamentare non poteva essere sottoposto neanche a procedimento penale senza autorizzazione della Camera di appartenenza, né tanto meno privato della libertà sulla base di una sentenza di condanna penale divenuta irrevocabile, dopo la riforma costituzionale restò in piedi la necessità di chiedere tale autorizzazione solo per intercettazioni, perquisizioni e applicazione di misure cautelari personali. È passata molta acqua sotto i ponti da allora, gli italiani sono sempre ben divisi tra ultragarantisti e giustizialisti, eppure il crollo della fiducia del cittadino medio nella magistratura e il forte indebolimento delle componenti politiche più disposte a rispettare senza se e senza ma le inchieste giudiziarie (o addirittura a trarne vantaggio competitivo) ha determinato la messa in discussione anche di alcuni istituti giuridici che tendevano a sottrarre il legislatore e l’amministratore da una piena libertà di agire, potenzialmente confinante con il mero arbitrio. Conseguentemente, è tornato in discussione il reale punto di confine (e di contatto) tra ius singulare giustificato da obiettive e specifiche esigenze da salvaguardare, e privilegio tout court . È un sacrosanto diritto a tutela del parlamentare e della sua importantissima e delicatissima funzione godere di particolari garanzie e restare immune da ogni iniziativa giudiziaria o è più forte il principio di eguaglianza di tutti dinanzi alla legge? E quanto è grande lo spazio di libertà e specialità di chi rappresenta la funzione legislativa ed esecutiva rispetto alle regole ordinarie che valgono per il comune cittadino? Oltre alla problematica sempre “calda” delle inchieste giudiziarie – ciò che va più sul versante dell’astratta e ideale contrapposizione tra stabilità dell’azione politica e doverosità delle iniziative della magistratura –, esiste anche un non irrilevante tema “patrimoniale” dei privilegi (veri o presunti tali) di categoria. Si pensi ad esempio ai vitalizi dei parlamentari e alle “retribuzioni” dei ministri. Sul primo fronte, nel corso dell’attuale legislatura il Consiglio di Garanzia del Senato dimissionario ha deciso di ripristinare il calcolo con il sistema retributivo (più favorevole), in luogo di quello con il sistema contributivo (meno favorevole), dell’importo dei vitalizi dovuti ai senatori eletti prima del 2012, aumentandone conseguentemente, in via retroattiva, il valore. Si pensi al riguardo, e in termini di ipotetico confronto, che per tutti i comuni cittadini che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995 la pensione è ormai calcolata soltanto con il sistema contributivo. Sul secondo fronte, invece, caduta “a furor di popolo” la norma che avrebbe parificato tutti gli “stipendi” di ministri e sottosegretari di Stato non parlamentari a quelli dei loro colleghi di governo anche parlamentari (alcune migliaia di euro in più al mese), è stata comunque introdotta a beneficio dei primi, qualora aventi residenza o domicilio diversi da Roma, una sorta di rimborso spese tratto da un fondo speciale di 500 mila euro annui. In particolare, il comma 854 dell’art. 1 della L. n. 207 del 2024 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027) ha riconosciuto in modo “secco” il diritto al rimborso delle spese di trasferta da e per il domicilio o la residenza per l'espletamento delle proprie funzioni agli attuali Ministri e sottosegretari non parlamentari, collegando tale diritto alla “dotazione” di 500.000 euro annui del nuovo fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. In assenza di ulteriori indicazioni nella norma primaria, e sulla base di un mero calcolo aritmetico di natura divisoria, dal primo gennaio del 2025 i potenziali beneficiari della norma (circa quindici persone) potrebbero avere un aumento di “stipendio”, seppure sotto forma rimborsuale, di più di duemila euro al mese. In questo caso, a colpire non è tanto l’individuazione di un principio “speciale” a favore di pochi, ma che di tale principio, fino ad allora non previsto, ne beneficino in termini economici, e immediatamente, gli appartenenti allo stesso Governo dalla cui maggioranza politica proviene la norma. D’altra parte, accanto alle rafforzate garanzie di natura economica e procedurale (queste ultime, nel caso di guai con la giustizia penale), chi esercita la funzione legislativa gode anche della c.d. insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni (art. 68, comma 1, Cost.). Si tratta di un’immunità preventiva e sostanziale da ogni tipo di sindacato giurisdizionale (“ I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere… ”), che elimina in radice l’antigiuridicità del fatto. Anche in questo caso, il confine tra diritto comune e ius singulare è molto labile, e non è facile stabilire fin dove la protezione dell’insindacabilità può spingersi, senza deragliare in un inaccettabile privilegio. Il libero esercizio delle funzioni parlamentari deve essere senz’altro protetto dalla paura di ritorsioni ingiustificate e intimidatorie, ma è ancora esercizio delle funzioni parlamentari l’insulto libero e la delegittimazione pretestuosa di un avversario politico o di un giudice o di un giornalista considerato ostile? Il punto di caduta delle esigenze che qui si vengono a contrapporre è stato a più riprese disegnato dalla Corte costituzionale, la quale ha anche recentemente precisato che “ è pur sempre necessario – affinché l’immunità non si trasformi illegittimamente in privilegio personale, con il correlato e ingiustificato sacrificio dei diritti e degli interessi dei terzi – che essa sia funzionalmente delimitata (…) e che, pertanto, le opinioni espresse siano caratterizzate dalla esistenza di un nesso stretto con l’esercizio delle funzioni ”. Occorre, in altri termini, stabilire di volta in volta se in concreto le opinioni espresse da un parlamentare siano riconducibili all’esercizio delle funzioni ex art. 68, primo comma, della Costituzione, e siano come tali insindacabili, o se invece vadano ricondotte all’esercizio della libertà di libera manifestazione del proprio pensiero di cui tutti godono ai sensi dell’art. 21 della Costituzione. Invero, nella normalità dei casi, profilandosi l’assenza di tale nesso funzionale, è il giudice comune a dovere decidere, nel singolo caso, da quale parte della bilancia pende il rapporto fra diritto di libera manifestazione del pensiero politico e diritto all’onore e alla reputazione del soggetto che si ritiene leso dall’opinione espressa. Passando poi dalle prerogative del Legislatore a quelle di chi rappresenta il potere esecutivo e l’amministrazione pubblica tutta, negli ultimi anni si è cercato di rendere meno alto lo scalino tra le forti garanzie concesse ai primi e la “debole” protezione riservata ai secondi. Ma quali speciali garanzie possono attenuare le importanti responsabilità derivanti dal maneggiare denaro pubblico o dal prendere decisioni che mettono in pericolo potenziale le casse pubbliche? Anche qui, le ordinarie regole di responsabilità hanno ceduto da qualche tempo il passo a un diritto speciale che ha parzialmente eliminato anche le condotte gravemente colpose da quelle sulla cui base scatta la responsabilità del funzionario pubblico. Il c.d. scudo erariale è stato introdotto per la prima volta con il d.l. n. 76 del 2020 , in piena pandemia, con effetti temporali inizialmente limitati alla scadenza del 31 luglio 2021, e successivamente prorogato, a più riprese, fino al 30 aprile 2025. L'ultima proroga risale al d.l. n. 202 del 2024 , convertito dalla L. 21 febbraio 2025, n. 15 (art. 1, comma 9). La norma prevede che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, per il periodo di sua applicazione, non si estende alle ipotesi di colpa grave , ma solo alle ipotesi di dolo, qualora vengano in rilievo condotte commissive. Si tratta di una disciplina provvisoria - ma è una provvisorietà che ormai dura da quasi cinque anni - che è stata recentemente ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale, in quanto avrebbe limitato al dolo l'elemento soggettivo della responsabilità amministrativa in un contesto storico del tutto particolare. [2] Invero, pur indebolendo la funzione deterrente delle ipotesi di responsabilità previste a carico dei funzionari pubblici, la norma "incriminata" avrebbe il merito radicarsi in " uno specifico contesto in cui la tutela di fondamentali interessi di rilievo costituzionale richiede che l'attività amministrativa si svolga in modo tempestivo e senza alcun tipo di ostacoli, neppure di quelli che derivano dal timore di incorrere (al di fuori delle ipotesi dolose) nella responsabilità amministrativa ". E non importa se nel frattempo gli effetti della pandemia siano cessati (adesso però c'è la necessità di raggiungere gli obiettivi del PNRR) o se appare quantomeno discutibile e foriero di possibili disparità di trattamento il diverso regime di responsabilità attualmente esistente tra condotte attive (rispetto alle quali lo scudo erariale si applica) e condotte omissive (rispetto alle quali lo scudo erariale non si applica), posto che proprio nel caso dal quale è partita la Corte dei Conti, per rilevare la sospetta incostituzionalità della norma, era evidente la curiosa frammentazione del tipo di responsabilità accertabile pur con riguardo alla medesima, unitaria vicenda sottostante. Tuttavia, a fronte della tendenza alla c.d. burocrazia difensiva , è stato ritenuto prevalente, sia dal legislatore che dalla Corte costituzionale, "l'obiettivo di stimolare l'attività degli agenti pubblici in un contesto specifico e provvisorio", con la creazione di un "complessivo clima di fiducia" che favorisse "la spinta dell'intera macchina amministrativa". Bisogna a questo punto chiedersi, onde evitare che la macchina di cui sopra vada fuori giri , fino a che punto una disciplina salvata dalla dichiarazione di incostituzionalità soltanto per il suo carattere contingente, possa diventare di fatto strutturale, posto che l'ultima proroga si legherebbe all’obiettivo di consentire al Parlamento di completare la riforma organica della Corte dei conti. Senza contare che adesso l’abuso di ufficio – salvo eccezionali ipotesi ritagliate sul suo paradigma originario – non è più reato. [3] Che poi, se neanche lo scudo erariale riesce a salvare dalla condanna per spreco di denaro dei contribuenti un importante amministratore pubblico come il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca [4] , ci sono pur sempre le fattispecie giuridiche costruite ad hoc a “congelare” le posizioni di potere divenute “cedevoli”. Qui non siamo tanto nello ius speciale o singulare che dir si voglia, ma in un’ipotesi di confine che potremmo definire, invertendo i termini, singolarità giuridica . E’ una tendenza, questa, molto diffusa anche negli apparati pubblici – ivi compresi quelli di più alto livello, come gli organi di autogoverno – dove la necessità di favorire un determinato risultato (buono o cattivo che sia) crea una nuova fattispecie normativa o regolamentare fortemente disallineata rispetto alla normale coerenza del tessuto ordinamentale, anche se non in diretto contrasto con una disposizione specifica. Nel caso di specie, il Presidente De Luca, alla fine del corrente mandato, seguendo la linea tracciata dal disegno costituzionale e legislativo in materia di disciplina delle elezioni regionali, non potrebbe concorrere nuovamente e immediatamente per la carica di Presidente della Regione, perché, nel caso di elezione, si tratterebbe del terzo mandato consecutivo . Tuttavia, l’Assemblea legislativa regionale campana – sostenuta dalla maggioranza eletta con De Luca – ha costruito una fattispecie giuridica apparentemente ineccepibile ma sostanzialmente volta a permettere all’attuale Governatore di restare ancora una volta in sella alla Presidenza della Regione, se eletto per la terza volta. Come emerge infatti dal ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato alla Corte il 10 gennaio 2025 dal Presidente del Consiglio dei ministri [5] , la legge della Regione Campania 11 novembre 2024, n. 16 , composta di un unico articolo, ha sì stabilito, in tardiva applicazione e recepimento dell' art. 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165 , che “ non è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi ”, ma ha altresì contemporaneamente statuito che “ ai fini dell'applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge ”. Si tratta dunque di una norma apparentemente legittima e coerente con il tessuto ordinamentale di riferimento – la legge statale, attuativa dell’ art. 122 della Costituzione , prevede infatti, in via di principio, la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto –, tuttavia subordinata nella sua decorrenza temporale ad un’altra norma di natura transitoria che di fatto è da considerarsi “ad personam”, perché consente solo e soltanto a De Luca (e non a coloro che verranno dopo di lui) di fare un terzo mandato (“… il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge ”). La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dunque giustamente impugnato dinanzi alla Corte costituzionale la norma ad hoc votata dal Consiglio regionale campano, per possibile violazione degli artt. 122, 3 e 51 della Costituzione , ciò che deporrebbe per il tentativo di conservare un corretto equilibrio nelle attribuzioni tra diversi livelli di governo, fatte salve le malevoli interpretazioni giornalistiche sulla scarsa simpatia e non appartenenza politica tra gli attori in gioco. E adesso l’ultima parola spetta alla Corte costituzionale, troppo spesso ultimamente “costretta” a prendere posizione su questioni che in un ordinamento coerente con se stesso e interpretato con spirito di leale collaborazione da tutte le parti istituzionali e politiche neanche si dovrebbero porre. Tuttavia, sembra che in Italia la tentazione di ritagliare per sé delle condizioni di privilegio che stridono con il comune sentire di chi fa quotidianamente fatica a “tirare avanti” continui a trovare terreno fertile nella concezione amorale di un certo tipo di approccio umano, che trova adesso un pericoloso alleato nel definitivo sdoganamento del principio del “risultato ad ogni costo”. [1] Per approfondimenti sulla notizia, si rinvia, tra gli altri, al seguente link: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2025/02/03/balboni-non-vedo-ragioni-di-rivedere-limmunita-parlamentare_f144fb4a-d026-45d8-8157-4a8a98df06f2.html [2] Per una lettura della sentenza: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2024:132 [3] Per alcune considerazioni critiche sull'abolizione del reato di abuso di ufficio, si rinvia ad altro contributo apparso sul sito e reperibile al seguente link: https://www.primogrado.com/il-buco-nero-della-legalita [4] Si veda Sentenza n. 600/2024 emessa dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Campania della Corte dei Conti