30 dicembre 2021
L’ADUNANZA PLENARIA RIBADISCE IL PRINCIPIO SECONDO CUI IL DIRITTO DELL’UNIONE IMPONE CHE IL RILASCIO O IL RINNOVO DELLE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME (O LACUALI O FLUVIALI) AVVENGA ALL’ESITO DI UNA PROCEDURA DI EVIDENZA PUBBLICA, CON CONSEGUENTE INCOMPATIBILITA’ DELLA DISCIPLINA NAZIONALE CHE PREVEDE LA PROROGA AUTOMATICA EX LEGE FINO AL 31 DICEMBRE 2033 DELLE CONCESSIONI IN ESSERE. TALE INCOMPATIBILITA’ SUSSISTE SIA RISPETTO ALL’ART. 49 TFUE CHE RISPETTO ALL’ART. 12 DELLA COSIDDETTA DIRETTIVA SERVIZI. IN PARTICOLARE, QUALSIASI ATTO DELLO STATO CHE STABILISCE LE CONDIZIONI ALLE QUALI E’ SUBORDINATA LA PRESTAZIONE DI UN’ATTIVITA’ ECONOMICA E’ TENUTO A RISPETTARE I PRINCIPI FONDAMENTALI DEL TRATTATO, IVI COMPRESI I PRINCIPI DI NON DISCRIMINAZIONE IN BASE ALLA NAZIONALITA’ E DI PARITA’ DI TRATTAMENTO, NONCHE’ L’OBBLIGO DI TRASPARENZA CHE NE DERIVA. NELL’OTTICA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA DETTO OBBLIGO DI TRASPARENZA IMPONE ALL’AUTORITA’ CONCEDENTE DI ASSICURARE, A FAVORE DI OGNI POTENZIALE OFFERENTE, UN ADEGUATO LIVELLO DI PUBBLICITA’ CHE CONSENTA L’APERTURA DEL RELATIVO MERCATO ALLA CONCORRENZA, NONCHE’ IL CONTROLLO SULL’IMPARZIALITA’ DELLE RELATIVE PROCEDURE DI AGGIUDICAZIONE. NEL CASO SPECIFICO DELLE CONCESSIONI DEMANIALI CON FINALITA’ TURISTICO-RICREATIVE, A VENIRE IN CONSIDERAZIONE COME STRUMENTO DI GUADAGNO OFFERTO DALLA P.A. NON E’ IL PREZZO DI UNA PRESTAZIONE NE’ IL DIRITTO DI SFRUTTARE ECONOMICAMENTE UN SINGOLO SERVIZIO, MA VIENE MESSO A DISPOSIZIONE DEI PRIVATI CONCESSIONARI UN COMPLESSO DI BENI DEMANIALI CHE ACQUISISCONO IMPORTANZA ECONOMICA RILEVANTISSIMA SE VALUTATI UNITARIAMENTE E COMPLESSIVAMENTE, IN QUANTO PATRIMONI NATURALISTICI ESTREMAMENTE RINOMATI. L’ATTRATTIVA ECONOMICA E’ INOLTRE AUMENTATA DALL’AMPIA POSSIBILITA’ DI RICORRERE IN VIA GENERALIZZATA E SENZA LIMITI TEMPORALI ALLA SUB-CONCESSIONE, EX ART. 45 BIS DEL CODICE DELLA NAVIGAZIONE. E’ DUNQUE EVIDENTE CHE, A CAUSA DEL RIDOTTO CANONE VERSATO ALL’AMMINISTRAZIONE CONCEDENTE, IL CONCESSIONARIO HA GIA’ LA POSSIBILITA’ DI RICAVARE, TRAMITE UNA SEMPLICE SUB-CONCESSIONE, UN PREZZO PIU’ ELEVATO RISPETTO AL CANONE CONCESSORIO. D’ALTRA PARTE, IL PATRIMONIO COSTIERO NAZIONALE, PER CONFORMAZIONE, UBICAZIONE GEOGRAFICA, CONDIZIONI CLIMATICHE E VOCAZIONE TURISTICA E’ CERTAMENTE OGGETTO DI INTERESSE TRANSFRONTALIERO, ESERCITANDO UNA INDISCUTIBILE CAPACITA’ ATTRATTIVA VERSO LE IMPRESE DI ALTRI STATI MEMBRI. SONO INOLTRE DEGNI DI CONFUTAZIONE TUTTI GLI ARGOMENTI TESI A SOTTRARRE IL RILASCIO E IL RINNOVO DELLE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME ALL’APPLICAZIONE DELL’ART. 12 DELLA DIRETTIVA 2006/123, CON CONSEGUENTE INCOMPATIBILITA COMUNITARIA, ANCHE SOTTO TALE PROFILO, DELLA DISCIPLINA NAZIONALE CHE PREVEDE LA PROROGA AUTOMATICA E GENERALIZZATA DELLE CONCESSIONI GIA’ RILASCIATE. D’ALTRA PARTE, IL CONFRONTO COMPETITIVO, OLTRe AD ESSERE IMPOSTO DAL DIRITTO DELL’UNIONE, RISULTA COERENTE CON L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA INTERNA SULL’EVIDENZA PUBBLICA, CHE INDIVIDUA IN TALE METODO LO STRUMENTO PIU’ EFFICACE PER LA SCELTA DEL MIGLIOR CONTRAENTE (IN TAL CASO, CONCESSIONARIO), MA ANCHE COME MEZZO PER GARANTIRE TRASPARENZA ALLE SCELTE AMMINISTRATIVE E APERTURA DEL SETTORE DEI SERVIZI AL DI LA’ DELLE BARRIERE ALL’ACCESSO. INOLTRE, IL CONFRONTO E’ ESTREMAMENTE PREZIOSO PER GARANTIRE AI CITTADINI UNA GESTIONE DEL PATRIMONIO NAZIONALE COSTIERO E UNA CORRELATA OFFERTA DI SERVIZI PUBBLICI PIU’ EFFICIENTI E DI MIGLIORE QUALITA’ E SICUREZZA, POTENDO CONTRIBUIRE IN MISURA SIGNIFICATIVA ALLA CRESCITA ECONOMICA E, SOPRATTUTTO, ALLA RIpRESA DEGLI INVESTIMENTI DI CUI IL PAESE NECESSITA. TUTTAVIA, L’ADUNANZA PLENARIA HA RITENUTO DI DOVERE MODULARE GLI EFFETTI TEMPORALI DELLA PROPRIA DECISIONE, STABILENDO CHE IL VENIR MENO DEGLI EFFETTI DELLE CONCESSIONI PROROGATE EX LEGE DEVE ESSERE CONTEMPERATO CON LA NECESSITA’ DI ASSICURARE ALLE AMMINISTRAZIONI UN RAGIONEVOLE LASSO DI TEMPO PER INTRAPRENDERE SIN D’ORA LE OPERAZIONI FUNZIONALI ALL’INDIZIONE DI PROCEDURE DI GARE, E ADEGUATO AGLI EFFETTI AD AMPIO SPETTRO CHE INEVITABILMENTE DERIVeRANNO SU UNA MOLTITUDINE DI RAPPORTI CONCESSORI, DI MODO CHE L’INTERVALLO TEMPORALE PER L’OPERATIVITA’ DEGLI EFFETTI DELLA DECISIONE E’ STATO INDIVIDUATO AL 31 DICEMBRE 2023. SCADUTO TALE TERMINE, TUTTE LE CONCESSIONI DEMANIALI IN ESSERE DOVRANNO CONSIDERARSI PRIVE DI EFFETTO, INDIPENDEnTEMENTE DALLA SUSSISTENZA O MENO DI UN SOGGETTO SUBENTRANTE NELLA CONCESSIONE ( Adunanze plenarie n. 17 e 18 del 2021 ) L’Adunanza plenaria ha deciso di non disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE in merito alla questione esaminata, ricorrendo, nel caso di specie, una delle situazioni in presenza delle quali, in base alla c.d. “giurisprudenza Cilfit” (di recente, ribadita, sia pure con alcuni correttivi volti a renderla più flessibile, dalla Corte di giustizia, Grande Camera, nella sentenza 6 ottobre 2021, C-569/19), i giudici nazionali di ultima istanza non sono sottoposti all’obbligo di rinvio pregiudiziale. La questione controversa è stata, infatti, già oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia e gli argomenti invocati per superare l’interpretazione già resa dal giudice europeo non sono in grado di sollevare ragionevoli dubbi, come confermato anche dal fatto che i principi espressi dalla sentenza Promoimpresa sono stati recepiti da tutta la giurisprudenza amministrativa nazionale sia di primo che di secondo grado, con l’unica isolata eccezione del T.a.r. Lecce, il quale, peraltro, più che mettere in discussione l’esistenza di un regime di evidenza pubblica comunitariamente imposto cui sottoporre il rilascio o il rinnovo della concessioni demaniali, ha negato la sussistenza di un potere di non applicazione in capo agli organi della P.A., toccando, quindi, una questione sulla quale esistono orientamenti giurisprudenziali (elaborati dai giudici europei e nazionali) ancor più consolidati e granitici. In effetti, quanto alla doverosità o meno della disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (con particolare riferimento alla sussistenza dell’obbligo, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro, di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e all'interrogativo se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati), l’Adunanza plenaria ha ribadito che l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria gravi in capo all’apparato amministrativo, anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing . In termini generali, è stato osservato che la sussistenza di un dovere di non applicazione anche da parte della P.A. rappresenta un approdo ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea sia nazionale. In particolare, nella sentenza Fratelli Costanzo si legge espressamente che “tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali”, sono tenuti ad applicare le disposizioni UE self-executing, “disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi” (22 giugno 1989, C-103/88). Anche la Corte costituzionale (sentenza n. 389 del 1989) ha ribadito che “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) – tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme” comunitarie nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea. Il Consiglio di Stato, a sua volta, sin dalla sentenza sez. V 6 aprile 1991, n. 452, ha chiarito che tutti i soggetti dell’ordinamento, compresi gli organi amministrativi, devono riconoscere come diritto legittimo e vincolante le norme comunitarie, non applicando le norme nazionali contrastanti. Opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto. Queste conclusioni, secondo l’Adunanza plenaria, valgono anche per il caso in cui a venire in rilievo sia una direttiva self-executing . Secondo il T.a.r. Lecce, occorrerebbe valorizzare la distinzione tra regolamenti comunitari – che sono, per loro stessa natura, direttamente applicabili e tali quindi da giustificare la non applicazione anche da parte della P.A. – e direttive, che, al contrario, di regola non possono produrre effetti diretti e la cui eccezionale natura self-executing richiederebbe una complessa attività interpretativa, la quale, ove rimessa ai singoli organi amministrativi, rischierebbe di legittimare non applicazioni della legge nazionale affidate a valutazioni soggettive ed opinabili del singolo funzionario, prive di riscontro in sede di giurisprudenza nazionale o europea. In senso contrario a tale argomentazione, è tuttavia dirimente, secondo l’Adunanza plenaria, la circostanza che nel caso di specie tale incertezza circa il carattere self-executing della direttiva 2006/123 non sussiste, perché tale carattere è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa (C-174/06), oltre che da una copiosa giurisprudenza nazionale che ad essa ha fatto seguito. In secondo luogo, la prospettata distinzione, nell’ambito delle norme U.E. direttamente applicabili, fra i regolamenti, da un lato, e le direttive self-executing , dall’altro – al fine di ritenere solo le prime e non le seconde in grado di produrre l’obbligo di non applicazione in capo alla P.A. – si tradurrebbe nel parziale disconoscimento del c.d. effetto utile delle stesse direttive autoesecutive e nella artificiosa creazione di un’inedita categoria di norme U.E. direttamente applicabili (nei rapporti verticali) solo da parte del giudice e non della P.A. Di tale limitazione non vi è traccia nella giurisprudenza comunitaria, la quale, anzi, è da tempo orientata verso una progressiva valorizzazione dell’effetto diretto della direttiva self-executing (cui si riconosce una crescente incidenza anche nella disciplina dei rapporti orizzontali). Infine, la tesi della non disapplicabilità da parte della P.A. della legge in contrasto con una direttiva self-executing cade in una contraddizione logica, che finisce per sterilizzarne ogni utilità pratica. Basti pensare che, anche ad ammettere che la legge in contrasto con la direttiva self-esecuting non sia disapplicabile dalla P.A. ma solo dal giudice, rimarrebbe fermo che l’atto amministrativo emanato in base ad una legge poi riconosciuta anticomunitaria in sede giurisdizionale sarebbe comunque illegittimo e, come tale, andrebbe annullato. E allora, nel momento in cui la P.A. ha comunque deciso di “non applicare” quella legge (nel caso di specie, negando la proroga) e il privato ha sottoposto al vaglio giurisdizionale l’atto amministrativo frutto di quella non applicazione, il giudice, che certamente ha il potere di non applicazione, non potrebbe che prendere atto della legittimità dell’atto e respingere il ricorso. Altrimenti si dovrebbe ritenere che nemmeno il giudice può disapplicare la legge che la P.A. ha applicato, con chiara violazione di consolidati principi sui rapporti tra ordinamenti nazionale e comunitario. Ne consegue dunque che la legge nazionale in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, ancorché contenuta in una direttiva self-executing , non può essere applicata né dal giudice né dalla pubblica amministrazione, senza che sia all’uopo necessario (come chiarito dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 170 del 1984) una questione di legittimità costituzionale, dal momento che un sindacato di costituzionalità in via incidentale su una legge nazionale anticomunitaria è oggi possibile solo se tale legge sia in contrasto con una direttiva comunitaria non self-executing oppure, secondo la recente teoria della c.d. doppia pregiudizialità, nei casi in cui la legge nazionale contrasti con i diritti fondamentali della persona tutelati sia dalla Costituzione sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cfr., in particolare, Corte Cost., sentenze n. 289/2017, n. 20/2019, n. 63/2019, n. 112/2019). Non rilevano, in senso contrario, neanche le esigenze correlate alla tutela dell’affidamento degli attuali concessionari. In primo luogo, l’affidamento del concessionario dovrebbe trovare tutela (come chiarito da Corte di giustizia e anche dalla Corte costituzionale) non attraverso la proroga automatica, ma al momento di fissare le regole per la procedura di gara. In secondo luogo, secondo il diritto europeo un legittimo affidamento può sorgere solo se un certo numero di condizioni rigorose sono soddisfatte. In primo luogo, rassicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate ed affidabili, devono essere state fornite all’interessato dall’amministrazione. Inoltre, tali rassicurazioni devono essere idonee a generare fondate aspettative nel soggetto cui si rivolgono. In terzo luogo, siffatte rassicurazioni devono essere conformi alle norme applicabili. Tali condizioni, ad avviso dell’Adunanza plenaria, non sussistono nella materia in esame, specie se si considera che, ancor prima e a prescindere dalla direttiva 2006/123, il Consiglio di Stato aveva già affermato che per le concessioni demaniali la sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai suddetti principi di trasparenza e non discriminazione.